Corte dei conti: Divieto soccorso finanziario anche in caso di società partecipate in liquidazione

La Corte dei conti, Sez. Lombardia, con deliberazione n. 220/2023, in riscontro ad una richiesta di parere, in riferimento all’ipotesi di liquidazione di società partecipata, ha ribadito il divieto di soccorso finanziario per le società in liquidazione quale principio di ordine pubblico economico.

Nel caso di specie, il Comune istante rappresenta che l’Ente è socio unico di una società a responsabilità limitata, di cui ha deliberato la liquidazione e scioglimento ricorrendo l’ipotesi ex art. 20, c.2, lett.d), Tusp (società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro). Nella richiesta di parere il Comune chiede alla Sezione “se l’ordinamento consenta l’accollo da parte del comune dei debiti della società a responsabilità limitata risultanti in sede di liquidazione essendo il patrimonio insufficiente per estinguere i debiti sociali”.

La Sezione ricorda che le previsioni contenute nell’art.21 Tusp sono, da tempo, all’attenzione della giurisprudenza contabile, che, in materia, è pervenuta ad un orientamento consolidato, come evidenziato dalla Sezione nella recente deliberazione n.31/2022/PAR. In tale sede è stato chiarito che “Secondo le norme di diritto comune, applicabili anche alle società partecipate, nelle società di capitali per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio (articoli 2325 e 2462 c.c.), sicché in assenza di una deroga normativa, anche il socio pubblico, al pari di ogni altro socio, resta esposto nei limiti della quota capitale detenuta”.

Nel caso di partecipazione pubblica ad una società, pur se finalizzata all’esercizio di un servizio alla collettività, non sussiste a carico del socio pubblico, anche se unico socio, l’obbligo di procedere al ripiano delle perdite oltre la propria quota di partecipazione e all’assunzione diretta dei debiti della partecipata.

Ai sensi del comma 5 dell’art.14 del TUSP, il soccorso finanziario è consentito solo al ricorrere degli specifici presupposti individuati dalla norma, laddove la logica “del salvataggio ad ogni costo” dell’organismo partecipato può giustificarsi solo in una prospettiva di conservazione e risanamento dell’organismo partecipato, dettata dal raggiungimento di un pubblico interesse, e, per le società con perdite triennali, al ricorrere degli specifici presupposti individuati dal comma 5. Deve trattarsi, quindi, di trasferimenti straordinari che si giustificano alla luce delle previsioni contenute in atti convenzionali (convenzioni, contratti di servizio o di programma) sottoscritti dall’ente pubblico a fronte dell’affidamento alla società della gestione di servizi pubblici o della realizzazione di investimenti e a condizione che tali misure siano contenute in un piano di risanamento (sottoposto, a sua volta, ad uno specifico iter amministrativo) volto a raggiungere l’equilibrio finanziario entro tre anni.

Nel caso in cui il risanamento e la conservazione siano esclusi, o per volere legislativo o per decisione dell’ente pubblico, e l’organismo sia posto in liquidazione, non solo le  previsioni dei commi 4 e 5 dell’art. 14 sul soccorso finanziario non trovano applicazione, ma viene, altresì, meno l’obbligo per l’ente di accantonamento al fondo perdite, cessando l’attività e l’organismo stesso.

 

La redazione PERK SOLUTION

No all’accollo del debito della società partecipata in liquidazione

Con la deliberazione n. 67/2022, la Corte dei conti, Sez. Emilia-Romagna, affronta il tema dei rapporti finanziari tra le società pubbliche e gli enti partecipanti. Nel caso di specie, il Comune istante chiede se un ente locale, che dispone di apposito accantonamento ai sensi dell’art. 21 del TUSP, possa accollarsi i debiti di una propria società interamente partecipata in liquidazione, nell’intento di tutelare l’interesse pubblico caratterizzato dalla continuità dello svolgimento di un evento caratterizzante in modo peculiare e infungibile l’intera città e l’economia territoriale.
La Sezione ricorda, preliminarmente, che il codice civile agli articoli 2325 e 2462, riguardanti rispettivamente le s.p.a. e le s.r.l., applicabili anche alle società partecipate pubbliche, prevede che delle obbligazioni sociali rispondono solamente le società di capitali con il loro patrimonio, essendo, peraltro, eccezionali i casi in cui si può delineare la responsabilità illimitata del socio unico (ipotesi contemplate nel secondo comma di entrambe le norme appena menzionate, nonché nel caso del soggetto che esercita l’attività di direzione e coordinamento di cui all’art. 2497 e ss. cod. civ.). Da ciò si desume che anche il socio pubblico, al pari, pertanto, di ogni altro socio di società di capitali, risponde delle obbligazioni sociali nei limiti della propria quota di partecipazione al predetto capitale sociale, a meno che non sia esposto direttamente nei confronti dei creditori sociali e salva una eventuale normativa derogatoria.
L’assetto normativo delineato, invece, dagli artt. 14, c. 5 e 21 del TUSP pone dei limiti all’intervento finanziario delle amministrazioni partecipanti qualora la società partecipata registri per tre esercizi consecutivi perdite di esercizio o abbia utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali, salva la ricorrenza delle condizioni derogatorie che, per contro, tale intervento consentano ed è previsto l’accantonamento di appositi fondi, da parte del socio, in caso di risultato di esercizio negativo della partecipata; accantonamenti che vengono liberati nel caso in cui, in particolare, l’ente dismetta la partecipazione o il soggetto partecipato sia posto in liquidazione (art. 21). Peraltro, le norme in argomento sono chiaramente finalizzate alla dinamica salvaguardia degli equilibri finanziari ma non comportano l’automatico obbligo di ripiano delle perdite o l’assunzione dei debiti della partecipata, poiché gli accantonamenti ex art. 21 Tusp non hanno eliso i limiti al soccorso finanziario, né la necessità della dimostrazione da parte del socio, in caso di soccorso finanziario, della sussistenza di un particolare interesse a coltivare la società partecipata, sotteso, in particolare, alla capacità della stessa di ritornare in bonis. Con riguardo, pertanto, all’accollo di debiti già maturati da una società partecipata con riferimento alla quale la decisione dell’ente di dismissione della propria quota e di messa in liquidazione della stessa ha già dato evidenza dell’impossibilità di realizzazione della sua mission istitutiva, viene meno l’obbligo di accantonamento ex art. 21, attesa altresì l’impossibilità di continuità aziendale, e non può darsi luogo ad un soccorso finanziario, non ricorrendo le condizioni previste dall’art. 14 Tusp. La delibera sottolinea peraltro che l’eventuale decisione dell’ente di procedere al soccorso, pur non sussistendone i presupposti ex artt. 14, c. 5 e 21 Tusp, evidenzierebbe una palese intrinseca contraddizione rispetto alla precedente determinazione dismissiva (la cui importanza e centralità in ottica programmatoria è principio consolidato nella giurisprudenza contabile) che vizierebbe irrimediabilmente sotto il profilo funzionale e della legittimità il provvedimento di intervento finanziario.

 

La redazione PERK SOLUTION