ANAC: No a sovra incentivi al personale dell’ente per lo svolgimento di funzioni tecniche

Anac, con il Parere di funzione consultiva 53/2023 del 25 ottobre 2023, nel rispondere ad una società di Servizi intercomunali per l’ambiente del Piemonte concernente le società in house, ha ribadito che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti possono prevedere una modalità diversa di remunerazione delle funzioni tecniche del proprio personale. Nel caso in un l’ente abbia già previsto la remunerazione delle funzioni tecniche del proprio personale, non è necessario che aggiunga nuovi incentivi a copertura dello svolgimento delle stesse funzioni tecniche. Altrimenti il personale si vedrebbe riconosciuto un doppio incentivo per svolgere le medesime funzioni.

Nel caso di specie, l’istante ha chiesto se le società in house siano obbligate a destinare risorse finanziarie per le finalità indicate dall’art. 45 del d.lgs. 36/2023, in relazione quindi al riconoscimento dell’incentivo per funzioni tecniche al personale impegnato nelle attività indicate nell’Allegato I.10 del Codice dei contratti pubblici.

L’Autorità, ricordato la sottoposizione alle disposizioni del Codice dei contratti pubblici delle società in house, che consente di ricondurre le stesse nella definizione di “stazione appaltante” ai fini dell’applicabilità del d.lgs. 36/2023 (e quindi la diretta applicabilità alle stesse società in house, anche della disciplina in tema di incentivi per funzioni tecniche, disciplinata dall’art. 45, del d.lgs. 36/2023), evidenzia, ai fini dell’esclusione dall’obbligo di destinazione delle incentivanti, la facoltà delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti di prevedere una modalità diversa di retribuzione delle funzioni tecniche svolte dai propri dipendenti (art. 45, co.2).

Come chiarito nella Relazione Illustrativa del Codice, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti possono «prevedere una modalità diversa di remunerazione delle funzioni tecniche del proprio personale. In tal caso, l’incentivo non si applica, escludendo qualunque sovraincentivazione».

 

La redazione PERK SOLUTION

Trattamento IVA dei contributi pubblici per la gestione di un tratto della pista ciclopedonale, affidata in house providing

Con la risposta a interpello n. 433 del 20 settembre 2023 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il contributo annuale pagato dal Comune ad una Società in house a seguito di stipula di una convenzione pluriennale di una tratta della pista ciclopedonale, costituisce il corrispettivo della prestazione di servizi che la Società dovrà effettuare e come tale soggetto a IVA con aliquota ordinaria.

La Società istante rappresenta l’intenzione di stipulare con il Comune (partecipata al 77%) una Convenzione pluriennale della durata di 18 anni, avente ad oggetto la concessione di una tratta della pista ciclopedonale e delle relative pertinenze. Trattasi di un affidamento in house providing e a titolo gratuito nel senso che non è dovuto al Comune alcun canone e per la fruizione non è previsto alcun pagamento da parte dell’utenza. Essendo  gli introiti attesi comunque limitati nella loro entità, in quanto ricavabili esclusivamente da limitate sub­concessioni (per sottoservizi, attraversamenti, accessi) e dallo sfruttamento economico diretto di alcuni beni pertinenziali (parcheggi) il Comune si obbliga a un duplice intervento finanziario: ­ a) versamento in conto aumento di capitale, così da fornire all’Istante le risorse sufficienti a eseguire alcuni lavori di manutenzione straordinaria sulla tratta
assegnata; b)­ riconoscimento di una somma di denaro a titolo di contributo annuale, finalizzato a garantire l’equilibrio economico­ finanziario della Società, soggetto a revisione per adeguarlo all’interesse pubblico e agli effettivi risultati consuntivi della gestione.

L’Agenzia ricorda che secondo la Circolare n. 4/E del 2013 un contributo assume rilevanza ai fini IVA se erogato a fronte di un’obbligazione di dare, fare, non fare o permettere, ossia quando si è in presenza di un rapporto obbligatorio a prestazioni corrispettive. In altri termini, il contributo assume natura onerosa e configura un’operazione rilevante agli effetti dell’IVA quando tra le parti intercorre un rapporto giuridico sinallagmatico, nel quale il contributo ricevuto dal beneficiario costituisce il compenso per il servizio effettuato o per il bene ceduto. Di contro. l’esclusione dal campo di applicazione dell’IVA va ravvisata ”ogni qualvolta il soggetto che riceve il contributo non diventa obbligato a dare, fare, non fare o permettere alcunché in controprestazione” (cfr. risoluzioni 24 aprile 2001, n. 54/E, 11 giugno 2002, n. 183/E e 16 marzo 2004, n. 42/E).

La medesima circolare, al paragrafo 1, chiarisce altresì che la valutazione della natura di un contributo pubblico va,­ innanzitutto, effettuata esaminando le norme di legge che regolano la relativa elargizione da parte del soggetto pubblico, siano esse specifiche o generali, nonché le norme di rango comunitario e ­ solo laddove non sia riscontrabile un riferimento normativo che ne individui l’esatta qualificazione nonché la relativa natura giuridica anche agli effetti tributari, occorre fare ricorso a criteri suppletivi, riportati in ordine gerarchico nella stessa circolare.

 

La redazione PERK SOLUTION

Anac, società in-house: mancanza di requisiti e di controlli

Non può essere inserito nell’elenco delle società in-house l’amministrazione o l’ente aggiudicatore che non rispetti il requisito del controllo, o che presenti cause ostative di iscrizione. Pertanto tali amministrazioni non possono operare mediante affidamenti diretti attraverso le proprie società in house. È quanto stabilito da ANAC, con delibera n. 232 del 24 maggio 2023, respingendo la richiesta di un Comune di essere accreditato nell’elenco delle società in-house.

L’Autorità Nazionale Anticorruzione ha rilevato carenza del controllo analogo congiunto, derivante dalla totale inattività, finanche inesistenza, del comitato di controllo. “Tale grave carenza, associata al modus operandi che contraddistingue le società appartenenti al cosiddetto “sistema Asmel” – scrive Anac – “confermata sia nell’istruttoria che in diverse pronunce dell’Anac, nonché in diverse sentenze, evidenzia che si è di fronte ad un gruppo societario proteso a svolgere con connotazione prettamente commerciale e profittevole, ed al di fuori del perimetro pubblicistico, le attività strumentali degli Enti locali consorziati sotto l’egida formale degli affidamenti in house providing, e rende, nel caso di specie, la promessa di modifiche statutarie, peraltro non pienamente utili a superare i rilievi istruttori alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali, non sufficiente per procedere all’iscrizione dell’amministrazione istante, in uno agli enti locali consorziati”.

“Con riferimento al fatturato conseguito dalla consortile Asmenet Campania nel triennio 2019-2021 – continua Anac- , quanto sostenuto dall’amministrazione istante circa l’avvenuta acquisizione delle quote sociali ad opera di Asmenet Calabria a far data 29.10.2018, non comunicato in Camera di Commercio, non risulta minimante comprovato da riscontri documentali. Viceversa, sul sito amministrazione trasparente della società Asmenet l’elenco dei soci al 2021 non indica Asmenet Calabria e nel registro delle imprese, fascicolo storico, non si rinviene l’atto di trasferimento delle quote sociali alla predetta Asmenet Calabria”.

“Nessun rilievo può avere il tentativo in extremis della società di adeguarsi pro futuro ai rilievi dell’Ufficio. La normativa di riferimento, così come confermato in più occasioni dal Consiglio di Stato, prevede infatti che i requisiti dell’in house providing debbano essere posseduti dalla società già al momento dell’affidamento e, conseguentemente, della domanda di iscrizione e devono essere successivamente confermati negli anni, in quanto la determina di iscrizione nell’Elenco non produce effetti costitutivi. La mera presentazione della domanda, infatti, abilita le amministrazioni, sotto la propria responsabilità, a procedere con gli affidamenti diretti”.
“Per tali ragioni – conclude l’Autorità Nazionale Anticorruzione – si ritiene che non sia in alcun modo superabile la rilevata non conformità del fatturato e che, pertanto, anche alla luce degli effetti pregiudizievoli sul controllo analogo, non sia possibile procedere con l’iscrizione nell’Elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori di Asmenet Consortile” (Fonte Anac).

 

La redazione PERK SOLUTION

ANAC, Vademecum per le società in house

L’Autorità Nazionale Anticorruzione e il Consiglio Nazionale del Notariato hanno redatto il ‘Vademecum per le società in house nel nuovo Codice degli appalti e nel Testo unico delle società pubbliche’. Il documento è stato realizzato per coadiuvare i notai nella predisposizione degli statuti o di altri atti che disciplinano le società in house.

Tra le informazioni presenti nel Vademecum sono evidenziati i requisiti tipici delle società in house, tra i quali le clausole sulla percentuale di fatturato derivante dallo svolgimento dei compiti a esse affidati dall’ente pubblico o dagli enti pubblici soci. Altro requisito fondamentale riguarda il capitale pubblico dell’organismo affidatario in house che non potrà mai essere inferiore al 100% del capitale sociale per tutta la durata della Società. Nel vademecum sono indicate anche le linee operative per l’esercizio del ‘controllo analogo’ esercitato sui propri servizi da parte delle amministrazioni aggiudicatrici.

Tra le ipotesi di controllo analogo: il controllo sugli statuti, sul piano industriale, di sviluppo, di investimenti, sul piano occupazionale, sul budget economico e finanziario. E ancora: il controllo orientato ad indirizzare l’attività della società in house verso il perseguimento dell’interesse pubblico, il controllo sulla gestione e sui risultati intermedi, l’esercizio di poteri ispettivi che comportano una diretta attività di vigilanza e controllo presso la sede e nei confronti dell’organo amministrativo della società in house.

 

La redazione PERK SOLUTION

Società in house: Intesa tra Anac e Consiglio nazionale del notariato

L’Anac e il Consiglio nazionale del notariato hanno approvato un protocollo d’intesa con l’obiettivo di diffondere un vademecum condiviso per le società in house: l’intenzione è quella di coadiuvare i notai quando si trovano di fronte alla predisposizione degli statuti o di altri atti che disciplinano le società in house. Non solo. Anac e Cnn collaboreranno anche attraverso attività di formazione alle stazioni appaltanti sempre in merito al tema dell’in house.

Tra le informazioni presenti nel Vademecum, al quale hanno lavorato Anac e Cnn, si segnalano una serie di requisiti tipici delle società in house. Una delle clausole che deve essere presente nello statuto di una società in-house è quella che stabilisce che oltre l’ottanta per cento del fatturato deve essere prodotto nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall’ente pubblico o dagli enti pubblici soci. Altro requisito fondamentale è che il capitale pubblico dell’organismo affidatario in house, detenuto sia direttamente che indirettamente, non potrà mai essere inferiore al 100% del capitale sociale per tutta la durata della Società.

Nel documento vengono anche delineate le linee operative per l’esercizio del “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi da parte delle amministrazioni aggiudicatrici. Tra le ipotesi di controllo analogo: il controllo sugli statuti, sul piano industriale, di sviluppo, di investimenti, sul piano occupazionale, sul budget economico e finanziario. E ancora: il controllo orientato ad indirizzare l’attività della società in house verso il perseguimento dell’interesse pubblico, il controllo sulla gestione e sui risultati intermedi, l’esercizio di poteri ispettivi che comportano una diretta attività di vigilanza e controllo presso la sede e nei confronti dell’organo amministrativo della società in house.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

 

Società in house: sulla nomina del revisore legale dei conti decide il giudice ordinario

Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia riguardante la nomina del revisore legale dei conti di una società a totale o parziale partecipazione pubblica, anche nel caso in cui la società stessa sia costituita secondo il modello del c.d. in house providing. È quanto ribadito dal TAR Sicilia, sezione II, sentenza 24 dicembre 2021, n. 3609.

La scelta del paradigma privatistico per la realizzazione delle finalità perseguite dalla pubblica amministrazione comporta l’applicazione del regime giuridico proprio dello strumento societario adoperato. Da ciò deriva che gli atti di nomina e revoca di amministratori e sindaci delle società a totale o parziale partecipazione pubblica devono essere configurati come manifestazione di una volontà essenzialmente privatistica, e che le azioni ad essi relative devono essere sottoposte alla giurisdizione del giudice ordinario, anche nel caso in cui le società stesse siano costituite secondo il modello del c.d. in house providing” (Cass. civ., Sez. un., ord. 1° dicembre 2016, n. 24591) (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 14 febbraio 2019, n. 432). Il Collegio ritiene che ciò valga anche per la nomina del revisore legale.

Del resto lo stesso d.lgs. n. 39/2010 che viene in considerazione nella vicenda all’esame ha portata generale per tutte le imprese e non solo per quelle pubbliche. Ne consegue che le questioni relative alla nomina del revisore legale restano attribuite alla giurisdizione ordinaria.

Nel caso di specie, la circostanza che il Comune abbia fatto un avviso pubblico per sollecitare la presentazione di candidature all’incarico di revisore legale presso la società in house, non trasforma la procedura in una selezione di tipo concorsuale e non vale a spostare la giurisdizione in favore del giudice amministrativo proprio perché si tratta di atti (la nomina e la revoca del revisore legale) aventi – anche nelle società a partecipazione pubblica o in house – natura privatistica e non di provvedimenti amministrativi; natura che non muta per il fatto che tra i soci della società via sia un soggetto pubblico.

Ed invero sebbene le società in house costituiscano articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano, ciò non implica che anche sotto ogni altro profilo l’adozione del paradigma organizzativo societario che caratterizza tali società sia irrilevante e che le regole proprie del diritto societario siano inoperanti: “sarebbe illogico postulare che la scelta di quel paradigma privatistico per la realizzazione delle finalità perseguite dalla pubblica amministrazione sia giuridicamente priva di conseguenze, ed è viceversa del tutto naturale che quella scelta, ove non vi siano specifiche di[s]posizioni in contrario o ragioni ostative di sistema, comporti l’applicazione del regime giuridico proprio dello strumento societario adoperato” (Cass. civ., Sez. un., 27 marzo 2017, n. 7759).

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Corte dei conti, rientrano nei limiti di spesa del personale gli oneri finanziati con contributo della Società in house

La Sezione regionale di controllo per la Liguria, con deliberazione n. 84/2021, in riscontro ad una specifica richiesta di parere in merito alla corretta applicazione di talune disposizioni legislative che pongono limiti alla spesa per il personale degli enti locali, ha evidenziato che le spese relative al trattamento fondamentale ed accessorio del personale di un ente locale non sono escluse dall’applicazione delle norme che pongono limiti e vincoli in materia di spesa di personale e di nuove assunzioni di personale, sebbene finanziate col contributo di una società in house dello stesso ente.
La Sezione ricorda che il perimetro applicativo dei vincoli finanziari, relativi al contenimento della complessiva spesa storica per il personale e alla spesa per le assunzioni, risulta delineato a livello di normazione positiva, ovvero, rispettivamente, dall’art. 1, comma 557-bis, della legge n. 296 del 2006 e dall’art. 2, comma 1, lett. a), del decreto interministeriale del 17 marzo 2020, attuativo dell’art. 33, comma 2, del d.l. n. 34 del 2019. Tali disposizioni, peraltro, nel proposito di definire, anche con indicazioni specifiche, l’area della spesa di personale oggetto delle regole di contenimento, adottano una formulazione sostanzialmente identica. In base alla lettura combinata delle varie disposizioni, sono considerate spese di personale e sono conseguentemente sottoposte ad entrambi i limiti di finanza pubblica in questione anche quelle sostenute “per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e organismi variamente denominati partecipati o comunque facenti capo all’ente”.
Per la Sezione, l’assoggettamento a limitazione anche di tali specifiche voci di spesa si pone in linea con l’ottica consolidata e sostanziale (cfr. per esempio, deliberazione della Sezione delle Autonomie n. 8/2011/SEZAUT/QMIG), con cui il legislatore mostra di considerare le esigenze di controllo e riduzione degli oneri di personale degli enti locali e degli organismi ad essi strettamente collegati.
Il testo delle disposizioni richiamate comporta evidentemente che, ai fini della verifica del rispetto da parte di un ente dei limiti finanziari in esame, sono conteggiate anche le spese relative a dipendenti assegnati presso organismi anche societari in qualche modo riconducibili all’ente stesso, e ciò avviene, in assenza di espresse indicazioni legislative, a prescindere da quale di tali soggetti effettivamente sopporta sul proprio bilancio i relativi oneri economici.
Nel computo relativo ai considerati vincoli di spesa rientrino “a fortiori” quelle riferite al personale in regime ordinario di dipendenza funzionale ed organizzativa dell’ente di appartenenza, indipendentemente dalla eventuale circostanza che il relativo peso economico sia assunto da organismi dell’ente stesso.
Le spese di personale sostenute dagli enti che hanno disposto l’affidamento in house di propri servizi non possono essere, quindi, escluse dall’applicazione dell’art. 1, commi 557 e ss., della legge n. 296 del 2006 e dell’art. 33, comma 2, del d.l. n. 34 del 2019, anche nel caso in cui l’incidenza delle spese stesse sui propri bilanci sia in qualche modo compensata da contributi destinati alla loro copertura e provenienti dalla società in house, posto che questa rientra a tutti gli effetti nella nozione di organismo “facente capo” agli enti medesimi.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house

In tema di società a partecipazione pubblica, la giurisdizione sull’azione di responsabilità proposta nei confronti degli organi sociali per i danni arrecati al patrimonio della società spetta alla Corte dei conti soltanto se sussistono i seguenti requisiti, che consentono di qualificare l’ente come società in house providing:

a) il capitale sociale sia integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, e lo statuto vieti la cessione delle partecipazioni a soggetti privati;

b) la società esplichi statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo tale che l’eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale;

c) la gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, con modalità ed intensità di comando non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile.

Soltanto in presenza di tali condizioni, che devono sussistere contemporaneamente e risultare da precise disposizioni statutarie in vigore all’epoca cui risale la condotta illecita, la società può essere assimilata ad un’articolazione organizzativa interna dell’ente pubblico, con il conseguente superamento della distinzione tra le rispettive personalità giuridiche e dell’autonomia patrimoniale della società, che ordinariamente escludono la configurabilità di un rapporto di servizio tra il socio pubblico ed i soggetti che hanno agito nella veste di organi sociali, nonché l’imputabilità al primo del pregiudizio arrecato al patrimonio della società. Tali principi sono stati sostanzialmente recepiti dall’art. 12 del d.lgs. n. 175 del 2016, il quale, nel disciplinare la responsabilità dei componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società a partecipazione pubblica, ha stabilito che gli stessi “sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali”, facendo tuttavia salva “la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house”.
La definizione di società in house ex art. 2, lett. o), del d.lgs. n. 175 del 2016, subordina l’operatività della predetta qualificazione alla configurabilità di un controllo analogo esercitato, in via alternativa, individualmente da un’amministrazione o congiuntamente da più amministrazioni, senza richiedere la coincidenza di queste ultime con tutte quelle titolari di una partecipazione al capitale sociale.

La configurabilità di una società a partecipazione pubblica come società in house, giustificandone l’assimilazione ad un’articolazione organizzativa interna dell’ente pubblico titolare della partecipazione sociale, cui è immanente il rapporto di servizio tra quest’ultimo e gli amministratori o i dipendenti della società, comporta il superamento della distinzione tra le rispettive sfere giuridiche e patrimoniali, consentendo di qualificare come danno erariale, cioè come pregiudizio arrecato direttamente al socio pubblico, quello subìto dal patrimonio della società per effetto della mala gestio degli amministratori o dei dipendenti: a tali società non è quindi applicabile il principio, operante in tema di società di capitali e normalmente riferibile anche a quelle a partecipazione pubblica, secondo cui la distinzione tra la personalità giuridica della società e quella dei singoli soci e la piena autonomia patrimoniale della prima rispetto ai secondi non consentono di riferire al patrimonio del socio il danno che l’illecito comportamento degli organi sociali abbia eventualmente arrecato al patrimonio dello ente.

Tale conclusione non si pone in contrasto con il disposto dell’art. 12, c.2, del d.lgs. n. 175 del 2016, il quale si limita ad includere nella nozione di danno erariale anche il pregiudizio eventualmente arrecato al valore della partecipazione sociale dell’ente pubblico dalla condotta dei suoi rappresentanti o comunque delle persone fisiche titolari del potere di decidere per esso, il quale, incidendo direttamente sul patrimonio del socio pubblico, costituisce un danno distinto ed ulteriore rispetto a quello subìto dal patrimonio della società per effetto della mala gestio degli amministratori o dei dipendenti della stessa. Pertanto, nessun rilievo può dunque assumere la circostanza che nel caso di specie, la ricorrente non abbia rivestito la qualifica di rappresentante della Regione, risultando sufficiente, ai fini della configurabilità del danno erariale, che nella gestione dei fondi assegnati alla società in house ella abbia agito in qualità di dipendente della società, il cui pregiudizio è stato allegato a sostegno della pretesa risarcitoria. È quanto evidenziato dalla Corte di Cassazione, Sezioni Uniti Civili, ordinanza del 1/10/2021 n. 26738.

Danno erariale per gli amministratori della Società in house per sottoscrizione accordo sindacale senza il controllo del Comune socio

Il Presidente del Consiglio di amministrazione ed il Direttore generale di una società in house che sottoscrivono un accordo sindacale per l’aumento delle ore lavorative settimanali pro capite, prima del rinnovo della convenzione con il comune, senza la preventiva approvazione del Consiglio di amministrazione ed il preventivo controllo del Collegio sindacale e del socio unico, rispondono per il danno all’erario costituito dalle ore lavorative pagate ma non effettuate. È quanto evidenziato dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale d’Appello per la Regione siciliana, con la sentenza n. 136/A/2021, che ha confermato la responsabilità per danno erariale in capo agli amministratori della Società per aver sottoscritto l’accordo sindacale, con il quale veniva deliberato un aumento da 30 a 33 delle ore lavorative settimanali per singolo lavoratore, in mancanza di una preventiva manifestazione di volontà dell’Assemblea (nella fattispecie, del socio unico Comune di Catania).
Nel caso di specie, è emerso che nel 2013, il Direttore generale e il Presidente del C.d.a. di una società in house, costituita da un ente locale (socio unico) per la gestione dei parcheggi a pagamento, delle zone a traffico limitato e di altri servizi connessi, nelle more del rinnovo della convenzione con l’amministrazione comunale, scaduta nel 2012, avevano siglato e comunicato ai dipendenti un accordo sindacale con il quale veniva deliberato un aumento da 30 a 33 delle ore lavorative settimanali per singolo lavoratore, sottoponendolo all’approvazione del C.d.a. ed alla verifica dell’organo di controllo interno solo dopo il suo perfezionamento, generando così un ingente aumento dei costi – circa 500.000,00 euro annui – non giustificato da un corrispondente aumento dei ricavi o delle effettive esigenze della società, prima del rinnovo della convenzione, avvenuto nel 2016). Per la Sezione, la sottoscrizione dell’accordo sindacale da parte del Presidente e del Direttore generale, in mancanza di una preventiva manifestazione di volontà del Consiglio di amministrazione e/o dell’Assemblea (nella fattispecie, del socio unico Comune) deve considerarsi una grave ed ingiustificabile negligenza ed una altrettanto grave imprudenza, sia per il mancato coinvolgimento degli organi societari in una scelta del massimo rilievo che per aver operato una scelta vincolante ed estremamente onerosa per la società, prima del formale rinnovo della convenzione con l’amministrazione comunale.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

 

Erogazioni liberali da parte delle società in house a favore degli Enti soci

In linea generale, le società in house possano porre in essere negozi a titolo gratuito o liberale, sempre che siano volti alla realizzazione di un interesse, patrimonialmente valutabile, rientrante nell’oggetto sociale. Tuttavia, compete esclusivamente all’ente socio valutare la rispondenza dell’atto dispositivo all’oggetto sociale e la compatibilità con la specifica destinazione impressa dalla società alle somme oggetto di liberalità in favore dei comuni soci, elementi sui quali la Corte dei conti non può interferire. È quanto previsto dalla Corte dei conti, Sez. Lombardia, con deliberazione n. 100/2020/PAR in risposta ad una richiesta di parere in merito alla possibilità del Comune di ricevere, da parte di una società partecipata, erogazioni liberali in denaro a sostegno delle misure di contrasto all’emergenza epidemiologica da COVID-19, da destinare in favore di operatori economici individuati dall’Ente. L’ente istante riferisce che la società in house intende effettuare, in favore dei Comuni soci, erogazioni liberali di risorse economiche attualmente destinate alla mitigazione del costo del servizio di igiene urbana gravante sugli utenti finali. La somma sarebbe ripartita non in ragione della partecipazione al capitale di ciascun socio, ma del valore degli affidamenti ricevuti. Nel merito, i giudici hanno evidenziato che nel contesto della riforma delle società in controllo pubblico operata con il decreto legislativo n. 175/2016 (c.d. testo unico delle società partecipate), “le società cc.dd. pubbliche, al pari di tutte le altre società, possano propriamente disporre negozi gratuiti, ovvero caratterizzati dall’assenza di controprestazione, in quanto volti alla realizzazione di un proprio interesse, patrimonialmente valutabile, comunque rientrante nell’oggetto sociale”. In ogni caso, esiste un limite intrinseco alle liberalità poste in essere da organismi societari, rappresentato dalla riconducibilità all’oggetto sociale dell’atto dispositivo. È stato così sottolineato, da un lato, come “l’eventuale atto liberale o gratuito, estraneo all’oggetto sociale, pur rimanendo valido (arg. anche ex art. 2384 c.c.), sia di per sé suscettibile d’essere eventualmente sanzionato tramite le azioni civilistiche poste a presidio delle prerogative della società, dei soci e dei creditori sociali (artt. 2393, 2394 e 2395 c.c.)”. Dall’altro lato, “tali fattispecie, con riferimento specifico alle società in controllo pubblico, paiono in astratto idonee, di conseguenza, ad intersecare diminuzioni patrimoniali qualificabili, ricorrendone le condizioni, in termini di danno erariale, secondo la nozione ora accolta dall’art. 12, comma 2, del TUSP”. L’inerenza dell’atto dispositivo all’attività svolta dall’organismo societario e le ricadute dirette sul valore della partecipazione non rappresentano gli unici aspetti che condizionano l’atto donativo della società partecipata. Anche nell’ambito della più ampia funzione di vigilanza che l’ente pubblico socio istituzionalmente svolge nei confronti delle proprie partecipate ai sensi dell’art. 147- quater del TUEL, allorché venga in rilievo lo svolgimento di un servizio pubblico locale rivolto alla collettività, remunerato mediante tariffa, non possono essere obliterati gli effetti economici in capo all’utenza del servizio.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION