Anche le società consortili sono soggette a razionalizzazione

Le società consortili a partecipazione pubblica rientrano a pieno titolo nella disciplina dettata dal d.lgs. 175/2016, in ragione della loro qualificazione soggettiva. Le stesse sono assoggettate a razionalizzazione secondo i criteri e con le modalità indicate dagli artt. 20 e 24 del detto Testo Unico, senza deroghe di alcun tipo legate ai loro attuali caratteri organizzativi ed all’assenza di scopo di lucro. È quanto ha stabilito la Corte dei conti, Sez. Lazio, con deliberazione n. 27/2020.
Posto che le società aventi ad oggetto sociale lo svolgimento di attività consortili ai sensi dell’art. 2615 ter c.c., ove costituite secondo i tipi di cui ai titoli V e VI, capo I, del libro V del codice civile (società per azioni o a responsabilità limitata) rientrano per espressa previsione normativa nell’ambito di quelle consentite (art. 2, comma 1, lett. f, come modificato dal decreto correttivo – art. 4, comma 1, lett. b), D.Lgs. 16 giugno 2017, n. 100 – e art. 3, comma 1, TUSP), non vi è ragione perché le stesse siano sottratte ai principi di razionalizzazione.
La società consortile ex art. 2615 ter cc non è figura giuridica autonoma e diversa dai tipi societari disciplinati dal codice civile, trattandosi al contrario di fattispecie volta a consentire alle società commerciali di agire con obiettivi mutualistici e non lucrativi. E ciò, pur investendo direttamente la possibilità di ripartire eventuali utili derivanti da eventuale attività verso terzi ed il rapporto con i soci anche al fine di assicurare l’equilibrio del bilancio sociale con versamenti contributivi annui, non determina né giustifica deroghe pattizie alle regole fondamentali che connotano il modello legale di riferimento (così Cass.Civ. sent. n. 18113/2003, Cass. SS.UU. sent. n. 12190/2016, Cass.Civ. sent. n. 7473/2017), con sottrazione sostanziale dall’ambito delle società. Inoltre, la società consortile ha, per espresso richiamo normativo, le finalità proprie del consorzio di diritto privato di cui all’art. 2602 c.c., in quanto compatibili con gli elementi propri del contratto di società sociale, consistenti nello svolgimento di attività di impresa in comune per conseguire un vantaggio da parte dei soci, diverso dal riparto di utili ma comunque patrimonialmente valutabile.
Pertanto, rientra nella considerazione dei singoli casi concreti, di spettanza delle amministrazioni interessate, stabilire se l’attività da svolgere sia compatibile con il modello societario, anche in alternativa a organizzazioni di stampo pubblicistico reputate meno convenienti, ovvero se si annoveri nell’attività funzionale in senso stretto per la quale esistono specifiche forme pubbliche di gestione associata (come unioni di comuni e convenzioni).

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION