Corte dei conti: Divieto soccorso finanziario anche in caso di società partecipate in liquidazione

La Corte dei conti, Sez. Lombardia, con deliberazione n. 220/2023, in riscontro ad una richiesta di parere, in riferimento all’ipotesi di liquidazione di società partecipata, ha ribadito il divieto di soccorso finanziario per le società in liquidazione quale principio di ordine pubblico economico.

Nel caso di specie, il Comune istante rappresenta che l’Ente è socio unico di una società a responsabilità limitata, di cui ha deliberato la liquidazione e scioglimento ricorrendo l’ipotesi ex art. 20, c.2, lett.d), Tusp (società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro). Nella richiesta di parere il Comune chiede alla Sezione “se l’ordinamento consenta l’accollo da parte del comune dei debiti della società a responsabilità limitata risultanti in sede di liquidazione essendo il patrimonio insufficiente per estinguere i debiti sociali”.

La Sezione ricorda che le previsioni contenute nell’art.21 Tusp sono, da tempo, all’attenzione della giurisprudenza contabile, che, in materia, è pervenuta ad un orientamento consolidato, come evidenziato dalla Sezione nella recente deliberazione n.31/2022/PAR. In tale sede è stato chiarito che “Secondo le norme di diritto comune, applicabili anche alle società partecipate, nelle società di capitali per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio (articoli 2325 e 2462 c.c.), sicché in assenza di una deroga normativa, anche il socio pubblico, al pari di ogni altro socio, resta esposto nei limiti della quota capitale detenuta”.

Nel caso di partecipazione pubblica ad una società, pur se finalizzata all’esercizio di un servizio alla collettività, non sussiste a carico del socio pubblico, anche se unico socio, l’obbligo di procedere al ripiano delle perdite oltre la propria quota di partecipazione e all’assunzione diretta dei debiti della partecipata.

Ai sensi del comma 5 dell’art.14 del TUSP, il soccorso finanziario è consentito solo al ricorrere degli specifici presupposti individuati dalla norma, laddove la logica “del salvataggio ad ogni costo” dell’organismo partecipato può giustificarsi solo in una prospettiva di conservazione e risanamento dell’organismo partecipato, dettata dal raggiungimento di un pubblico interesse, e, per le società con perdite triennali, al ricorrere degli specifici presupposti individuati dal comma 5. Deve trattarsi, quindi, di trasferimenti straordinari che si giustificano alla luce delle previsioni contenute in atti convenzionali (convenzioni, contratti di servizio o di programma) sottoscritti dall’ente pubblico a fronte dell’affidamento alla società della gestione di servizi pubblici o della realizzazione di investimenti e a condizione che tali misure siano contenute in un piano di risanamento (sottoposto, a sua volta, ad uno specifico iter amministrativo) volto a raggiungere l’equilibrio finanziario entro tre anni.

Nel caso in cui il risanamento e la conservazione siano esclusi, o per volere legislativo o per decisione dell’ente pubblico, e l’organismo sia posto in liquidazione, non solo le  previsioni dei commi 4 e 5 dell’art. 14 sul soccorso finanziario non trovano applicazione, ma viene, altresì, meno l’obbligo per l’ente di accantonamento al fondo perdite, cessando l’attività e l’organismo stesso.

 

La redazione PERK SOLUTION

No all’accollo del debito della società partecipata in liquidazione

Con la deliberazione n. 67/2022, la Corte dei conti, Sez. Emilia-Romagna, affronta il tema dei rapporti finanziari tra le società pubbliche e gli enti partecipanti. Nel caso di specie, il Comune istante chiede se un ente locale, che dispone di apposito accantonamento ai sensi dell’art. 21 del TUSP, possa accollarsi i debiti di una propria società interamente partecipata in liquidazione, nell’intento di tutelare l’interesse pubblico caratterizzato dalla continuità dello svolgimento di un evento caratterizzante in modo peculiare e infungibile l’intera città e l’economia territoriale.
La Sezione ricorda, preliminarmente, che il codice civile agli articoli 2325 e 2462, riguardanti rispettivamente le s.p.a. e le s.r.l., applicabili anche alle società partecipate pubbliche, prevede che delle obbligazioni sociali rispondono solamente le società di capitali con il loro patrimonio, essendo, peraltro, eccezionali i casi in cui si può delineare la responsabilità illimitata del socio unico (ipotesi contemplate nel secondo comma di entrambe le norme appena menzionate, nonché nel caso del soggetto che esercita l’attività di direzione e coordinamento di cui all’art. 2497 e ss. cod. civ.). Da ciò si desume che anche il socio pubblico, al pari, pertanto, di ogni altro socio di società di capitali, risponde delle obbligazioni sociali nei limiti della propria quota di partecipazione al predetto capitale sociale, a meno che non sia esposto direttamente nei confronti dei creditori sociali e salva una eventuale normativa derogatoria.
L’assetto normativo delineato, invece, dagli artt. 14, c. 5 e 21 del TUSP pone dei limiti all’intervento finanziario delle amministrazioni partecipanti qualora la società partecipata registri per tre esercizi consecutivi perdite di esercizio o abbia utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali, salva la ricorrenza delle condizioni derogatorie che, per contro, tale intervento consentano ed è previsto l’accantonamento di appositi fondi, da parte del socio, in caso di risultato di esercizio negativo della partecipata; accantonamenti che vengono liberati nel caso in cui, in particolare, l’ente dismetta la partecipazione o il soggetto partecipato sia posto in liquidazione (art. 21). Peraltro, le norme in argomento sono chiaramente finalizzate alla dinamica salvaguardia degli equilibri finanziari ma non comportano l’automatico obbligo di ripiano delle perdite o l’assunzione dei debiti della partecipata, poiché gli accantonamenti ex art. 21 Tusp non hanno eliso i limiti al soccorso finanziario, né la necessità della dimostrazione da parte del socio, in caso di soccorso finanziario, della sussistenza di un particolare interesse a coltivare la società partecipata, sotteso, in particolare, alla capacità della stessa di ritornare in bonis. Con riguardo, pertanto, all’accollo di debiti già maturati da una società partecipata con riferimento alla quale la decisione dell’ente di dismissione della propria quota e di messa in liquidazione della stessa ha già dato evidenza dell’impossibilità di realizzazione della sua mission istitutiva, viene meno l’obbligo di accantonamento ex art. 21, attesa altresì l’impossibilità di continuità aziendale, e non può darsi luogo ad un soccorso finanziario, non ricorrendo le condizioni previste dall’art. 14 Tusp. La delibera sottolinea peraltro che l’eventuale decisione dell’ente di procedere al soccorso, pur non sussistendone i presupposti ex artt. 14, c. 5 e 21 Tusp, evidenzierebbe una palese intrinseca contraddizione rispetto alla precedente determinazione dismissiva (la cui importanza e centralità in ottica programmatoria è principio consolidato nella giurisprudenza contabile) che vizierebbe irrimediabilmente sotto il profilo funzionale e della legittimità il provvedimento di intervento finanziario.

 

La redazione PERK SOLUTION

Partecipate, Soccorso finanziario ammesso solo nel caso di prospettiva dimostrabile di recupero dell’efficienza

Il soccorso finanziario a favore degli organismi partecipati, di norma precluso per quelli che presentino reiterate perdite di esercizio, in base all’art. 14, co.5 TUSP è ammesso unicamente, a tutela dell’interesse pubblico, in presenza di una documentata e motivata prospettiva di recupero dell’economicità e dell’efficienza della gestione dei soggetti beneficiari, escludendo ripiani a consuntivo. È quanto ribadito dalla Corte dei conti, Sez. Lombardia, con deliberazione n. 31/2022, in riscontro ad una richiesta di parere di un Comune, circa la possibilità per l’Ente di ripianare le spese legali e di soccombenza conseguenti a un giudizio di responsabilità promosso – dalla propria società partecipata al 100%, che presenta da anni perdite di esercizio e attualmente in liquidazione – nei confronti di un ex amministratore.

Esaminate le norme del TUSP e il consolidato orientamento della giurisprudenza contabile, la Sezione ricorda che non sussiste a carico del socio pubblico, anche se unico socio, alcun obbligo di procedere al ripiano delle perdite o all’assunzione diretta dei debiti di una partecipata. Il socio di capitali che ripiani i debiti della propria società, rinunciando al limite legale della responsabilità patrimoniale, di fatto si accolla i debiti di un terzo soggetto. L’art. 14, comma 5, primo periodo, D. Lgs. 175/2016 sancisce espressamente il cd. “divieto di soccorso finanziario”, quale particolare forma di ripiano degli squilibri e conseguente integrazione delle perdite della società in mano pubblica da
parte dell’ente partecipante a favore delle partecipate “che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali”. La regola cristallizza “l’abbandono della logica di salvataggio obbligatorio degli organismi in condizione di irrimediabile dissesto. Ciò anche nell’ottica delle regole europee che vietano ai soggetti che operano nel mercato di fruire di diritti speciali od esclusivi”.

L’ accantonamento di quote di bilancio previsto dall’art. 21 del TUSP, in conseguenza di risultati gestionali negativi degli organismi partecipati, non determina per l’ente socio alcun obbligo di provvedere al ripiano delle perdite né l’assunzione diretta dei debiti del soggetto partecipato. Tali principi operano anche in relazione alle società poste in liquidazione e per quelle a partecipazione pubblica totalitaria. L’obbligo di accantonamento costituisce una regola prudenziale di bilancio, il cui rispetto non contraddice la sussistenza del divieto di ripiano perdite attualmente previsto dall’art. 14, comma 5, d.lgs. n. 175/2016 se non nel quadro di un piano di risanamento che garantisca l’equilibrio futuro dei conti della partecipata. Mentre, infatti, le ipotesi di soccorso finanziario sono disciplinate dall’art. 14 del medesimo d.lgs. n. 175/2016, l’accantonamento de quo risponde alla diversa ratio di neutralizzare prospetticamente le ricadute negative delle gestioni societarie, riducendo le capacità di spesa dell’ente pubblico partecipante.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Società partecipate, semplificazioni su fondo accantonamento e soccorso finanziario

Come noto, l’art. 21 del D.lgs. n. 175/2016 – “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica” (TUSP) – prevede l’obbligo di costituzione di uno specifico fondo nel momento in cui la società in cui l’ente locale detiene quote partecipative presenti un risultato di esercizio negativo. Tale obbligo consiste nell’accantonamento, nell’anno successivo rispetto al periodo di esercizio in perdita, di un importo pari al risultato negativo non immediatamente ripianato e in misura proporzionale alla quota di partecipazione. Gli importi accantonati sono resi disponibili solo qualora l’ente partecipante ripiani in tutto o in parte le perdite di esercizio oppure dismetta la partecipazione ovvero il soggetto partecipato risulti in fase di liquidazione. Come più volte ribadito dalla Corte dei conti, la tassatività delle prescrizioni del D.lgs. n. 175/2016 ha una funzione di salvaguardia degli equilibri di bilancio e non consente scelte metodologiche differenti, in considerazione del fatto che è garanzia di contenimento dei rischi connessi ad avvenimenti pregiudizievoli afferenti alla gestione del soggetto partecipato e che inevitabilmente possono incidere negativamente sugli equilibri di bilancio dell’ente partecipante. Parimenti, l’art. 14, comma 5 del TUSP sancisce l’obbligo del soccorso finanziario da parte degli enti pubblici partecipanti in favore dell’organismo partecipato che abbia registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbia utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali. La norma impone l’abbandono della logica del “salvataggio a tutti i costi” di strutture ed organismi partecipati o variamente collegati alla pubblica amministrazione che versano in situazioni di irrimediabile dissesto. In questo senso non possono reputarsi ammissibili “interventi tampone” con dispendio di disponibilità finanziarie a fondo perduto, erogate senza un programma industriale o una prospettiva che realizzi l’economicità e l’efficienza della gestione nel medio e lungo periodo.
A tal riguardo, si rappresenta che in sede di conversione in Legge del DL 77/2021 “Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure” (c.d. Decreto Semplificazioni bis), la Commissione Affari costituzionali della Camera ha approvato un emendamento che consente di non computare l’esercizio 2020 nel calcolo del triennio ai fini dell’applicazione dell’articolo 14, comma 5, né ai fini dell’applicazione dell’articolo 21 del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica. di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Corte dei conti, soccorso finanziario società pubbliche

La Corte dei conti, Sez. Lombardia, con deliberazione n. 64/2021, ha evidenziato che l’eventuale trasferimento di risorse per la copertura di costi sostenuti dal gestore per l’erogazione della prestazione di servizio pubblico, ulteriori rispetto a quelli originariamente definiti e programmati con il contratto di servizio, assuma carattere straordinario e debba essere ricondotto alla disciplina dell’art. 14, co. 5, del d.lgs. 175/2016, quand’anche effettuato in adempimento di un’obbligazione contrattuale.
Nel caso di specie, l’ente istante – nel rappresentare di essere socio unico di una società affidataria, “tra l’altro”, del trasporto pubblico locale (TPL), la quale ha riportato perdite per tre esercizi consecutivi (2016/2018) – ha chiesto di sapere se anche gli eventuali contributi pubblici previsti dal contratto di servizio in favore della società, dovuti a copertura “residuale” del costo dei servizi resi, esulino dalla nozione di “trasferimento straordinario” di cui all’art. art. 14, co. 5, del d.lgs. 175/2016, e consentano trasferimenti alla società senza la previa adozione di un piano di risanamento con le modalità prescritte dalla norma citata. La Sezione ricorda che le norme che prevedono deroghe al divieto di “soccorso finanziario” sono essenzialmente limitate ad ipotesi in cui i trasferimenti alle società siano corrispettivi di prestazioni di pubblico interesse resi dalla stessa oppure siano giustificabili in relazione alla realizzazione di un programma di investimenti. Per tale ragione, le disposizioni in parola sono state considerate espressione, o meglio, confermative di un principio generale secondo cui, in un’ottica di abbandono della logica del salvataggio a tutti i costi di strutture e soggetti in condizioni di precarietà economico-finanziaria, deve ritenersi fortemente limitata per le amministrazioni locali, considerato l’uso di risorse della collettività, l’ammissibilità di interventi a sostegno di organismi partecipati mediante erogazione o, comunque, dispendio di disponibilità finanziarie a fondo perduto, che appaiano privi quantomeno di una prospettiva di recupero dell’economicità e dell’efficienza della gestione dei soggetti beneficiari. Ne deriva, pertanto, che un ente locale che intenda assorbire a carico del proprio bilancio i risultati negativi della gestione di un organismo partecipato è tenuto a dimostrare lo specifico interesse pubblico perseguito in relazione ai propri scopi istituzionali, evidenziando in particolare le ragioni economico-giuridiche dell’operazione. E, come ovvio, la motivazione degli eventuali interventi decisi in tal senso potrà essere oggetto di valutazione secondo i parametri della legalità finanziaria, ovvero anche in rapporto ai canoni di efficienza, efficacia ed economicità su cui l’azione amministrativa si regge (articoli 1 e 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e articolo 97 della Costituzione. In altre parole, la natura di corrispettivo della eventuale contribuzione decisa dall’ente in favore della società che gestisca un servizio di pubblico interesse non esclude la riconducibilità del contributo economico alla nozione di “trasferimento straordinario” ai sensi dell’art. 14, co. 5, del d. lgs. 175/2016.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Partecipate in perdita, piano di risanamento e divieto di soccorso finanziario

Il “soccorso finanziario” nei confronti degli organismi partecipanti è da considerare precluso, allorché si versi nella condizione di reiterate perdite di esercizio, e di cui all’articolo 6, comma 19, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, con disposizione confermata dall’art. 14, comma 5, del testo unico di cui al decreto legislativo n. 175 del 2016. Per le società partecipate che gestiscono servizi di pubblico interesse in caso di crisi d’impresa è necessario predisporre un piano di risanamento, approvato dall’autorità di regolazione di settore comunicato alla Corte dei conti, ai sensi dell’art 14, co. 5, d.lgs. 175/2016, che contempli il raggiungimento dell’equilibrio finanziario entro tre anni, nell’ottica della continuità aziendale. Non costituisce un idoneo piano di risanamento “la previsione di un ripianamento delle perdite da parte dell’amministrazione o delle amministrazioni pubbliche socie, anche se attuato in concomitanza a un aumento di capitale o ad un trasferimento straordinario di partecipazioni o al rilascio di garanzie o in qualsiasi altra forma giuridica, a meno che tale intervento sia accompagnato da un piano di ristrutturazione aziendale, dal quale risulti comprovata la sussistenza di concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività svolte, approvato ai sensi del comma 2, anche in deroga al comma 5”. Sono in ogni caso consentiti i trasferimenti straordinari alle società di cui al primo periodo, a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti, purché le misure indicate siano contemplate in un piano di risanamento, approvato dall’Autorità di regolazione di settore ove esistente e comunicato alla Corte dei conti, che contempli il raggiungimento dell’equilibrio finanziario.
Inoltre, la norma di cui all’articolo 21 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (TUSP), prevede che, qualora un organismo partecipato presenti un risultato di esercizio negativo che non venga immediatamente ripianato, l’Ente locale partecipante è tenuto ad accantonare, in misura proporzionale alla quota di partecipazione, l’importo corrispondente in apposito fondo vincolato del bilancio di previsione dell’anno successivo. Come precisato dalla giurisprudenza contabile, “il meccanismo dell’accantonamento risponde all’esigenza di consentire una costante verifica delle possibili ricadute delle gestioni esternalizzate sui bilanci degli enti locali e si pone quindi nell’ottica dalla salvaguardia degli equilibri finanziari presenti e futuri degli enti stessi. Le citate disposizioni prevedono anche che le somme accantonate nel fondo vincolato in questione tornino nuovamente nella disponibilità dell’ente partecipante (e possano cioè essere destinate alla copertura di spese effettive) qualora il medesimo ripiani le perdite di esercizio o dismetta la partecipazione, oppure il soggetto partecipato sia posto in liquidazione. Lo stesso effetto si realizza ove le perdite conseguite in esercizi precedenti siano ripianate dagli stessi soggetti partecipati, cioè siano riassorbite attraverso la gestione successiva” (Sez. Liguria, deliberazione n. 24/2017/PAR). L’adempimento dell’obbligo di accantonamento di quote di bilancio, in correlazione a risultati gestionali negativi degli organismi partecipati, non comporta l’insorgenza a carico dell’Ente socio, anche se unico, di un conseguente obbligo di ripiano di dette perdite o all’assunzione diretta dei debiti del soggetto partecipato. Pur in presenza degli accantonamenti in argomento, pertanto, il “soccorso finanziario” nei confronti degli organismi partecipati permane del tutto precluso, allorché si versi nella condizione di reiterate perdite di esercizio, presa in considerazione dall’articolo 6, comma 19, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, con disposizione confermata dall’art. 14, comma 5, del testo unico di cui al decreto legislativo n. 175 del 2016. Ne deriva che un ente locale, che dovesse assorbire , sistematicamente, a carico del proprio bilancio, i risultati negativi della gestione di un organismo partecipato, pur in presenza degli accantonamenti prudenziali di cui all’art. 21, sarà tenuto a dimostrare lo specifico interesse pubblico perseguito, in relazione ai propri scopi istituzionali, evidenziando in particolare le ragioni economico-giuridiche dell’operazione, le quali, devono necessariamente essere fondate sulla possibilità di assicurare una continuità aziendale finanziariamente e positivamente sostenibile. La trasgressione degli obblighi di vigilanza, d’indirizzo e di controllo, unitamente al perdurare di scelte del tutto irrazionali e antieconomiche, può far scaturire una responsabilità per danno erariale dei pubblici amministratori. È quanto ribadito dalla Corte dei conti, Sez. Piemonte, con deliberazione n. 33/2021/SRCPIE/PRSE.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Niente soccorso finanziario in caso di partecipate in liquidazione

Con la deliberazione n. 157/2020 la sezione regionale di controllo per l’Abruzzo interviene sul tema del soccorso finanziario in caso di società o enti posti in liquidazione.
Richiamato il principio generale e la finalità di quanto disposto dall’art. 14 del D.lgs 175/2016 che sancisce il “divieto del soccorso finanziario” da parte di un ente pubblico rispetto ai suoi organismi partecipati e impone l’abbandono della logica del “salvataggio a tutti i costi”, quanto al perimetro di applicazione soggettiva del citato articolo, la Corte conferma l’applicabilità della norma ai consorzi, quali realtà operative inserite a tutti gli effetti nel contesto della finanza territoriale.
Esaminando il caso di specie, la Corte sottolinea come il principio generale del divieto di soccorso finanziario, valga a maggior ragione, relativamente all’ammissibilità di interventi nei confronti di società o consorzi, posti in stato di liquidazione, considerato che restano in vita al solo fine di provvedere al soddisfacimento dei creditori sociali, previa realizzazione delle attività sociali ed alla distribuzione dell’eventuale residuo attivo tra i soci. Tenuto conto quindi della particolare fase della vita sociale che la liquidazione rappresenta, l’apporto finanziario richiesto al socio è in re ipsa destituito delle finalità proprie di duraturo riequilibrio strutturale, venendo piuttosto a tradursi sul piano sostanziale in un accollo delle passività societarie.
Eccezioni al divieto di soccorso finanziario sono previste soltanto a seguito di uno specifico iter procedurale, previa valutazione circa la concreta possibilità di recupero dell’economicità e dell’efficienza dell’organismo partecipato. In particolare, lo stesso art. 14, comma 5, T.U.S.P., consente i trasferimenti straordinari alle società in parola “a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti”, purché le misure indicate siano contemplate in un piano di risanamento, approvato che contempli il raggiungimento dell’equilibrio finanziario entro tre anni. Inoltre, gli interventi di sostegno finanziario in questione possono essere autorizzati al fine di salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e la sanità. Si tratta quest’ultima di una ipotesi derogatoria e residuale – come evidenzia anche la Corte.
La Sezione conclude disponendo che “un ipotetico sostegno finanziario nei confronti di un organismo partecipato, indipendentemente dalla natura giuridica dello stesso, deve essere preceduto da un puntuale e specifico piano di risanamento, che fornisca una analitica motivazione in ordine alle sottostanti ragioni oltre che di interesse sociale, di convenienza economica e sostenibilità finanziaria (cfr. Sezione regionale di controllo per la Puglia, deliberazione n. 47/2019/PAR) di tale scelta, stante l’ampio perimetro operativo, sopra ricordato, del principio di divieto di soccorso finanziario.”

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Contributo straordinario a fondo perduto ad una società partecipata

La Corte dei conti, Sez. Veneto, con deliberazione n. 119/2020, fornisce un’utile analisi in merito alla possibilità di un ente di deliberare l’erogazione di un contributo a fondo perduto ad una società partecipata. I giudici contabili, nel richiamare preliminarmente il principio generale in materia di provvedimenti attributivi di vantaggi economici contenuto nell’art. 12 della L. 7 agosto 1990, n. 241, ricordano che, sul piano gestionale, la violazione di detto articolo è ritenuta indice di una scorretta gestione delle risorse finanziarie di un ente locale.
In merito al divieto di soccorso finanziario, sancito dall’art. 14, comma 5 del D.Lgs. n. 175/2016, la giurisprudenza contabile (Corte dei conti, sez. contr. Piemonte, 29 settembre 2011, n. 119/PAR) ha stabilito che non può essere disconosciuta, in via generale, la possibilità per gli enti locali di utilizzare lo strumento dell’indebitamento nell’ambito della propria attività amministrativa, purché esso sia finalizzato a coprire spese da cui derivi un aumento di valore del loro patrimonio immobiliare e mobiliare (cfr. SS.RR. 28 aprile 2011n. 25) e, quindi, anche per il finanziamento, nei limiti normativamente previsti, di società di cui sono azionisti e, come nella specie, a partecipazione pubblica totalitaria, nonché affidatarie in house di servizi pubblici dal quale derivi un aumento di valore delle medesime. L’operazione deve rispettare i principi di cui agli artt. 201-204, D. Lgs. 267/2000 con riferimento agli equilibri di bilancio e ai vincoli di indebitamento. Sono in ogni caso consentiti i trasferimenti straordinari alle società, a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti, purché le misure indicate siano contemplate in un piano di risanamento, approvato dalla Autorità di regolazione di settore ove esistente e comunicato alla Corte dei conti che contempli il raggiungimento dell’equilibrio finanziario entro tre anni. Il divieto di soccorso finanziario delle società partecipate in perdita è superabile, quindi, soltanto se ciò è giustificato da un piano di risanamento che garantisca l’equilibrio dei conti della partecipata.
In caso di trasferimento straordinario a fondo perduto a società partecipata (inteso come eccezionale, perché extra ordinem, dell’intervento contributivo) è possibile “derogare” al divieto di soccorso finanziario laddove l’eccezionalità del trasferimento trovi condizione legale di ammissibilità e, più specificamente, titolo giuridico nelle preliminari, specifiche cautele contemplate dalla disposizione di cui all’art. 14, comma 5, secondo periodo, ossia:
1) convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti;
2) contemplazione delle misure indicate in un piano di risanamento, approvato dalla Autorità di regolazione di settore ove esistente e comunicato alla Corte dei conti con le modalità di cui all’articolo 5, che contempli il raggiungimento dell’equilibrio finanziario entro tre anni.
In tal caso, l’ente pubblico è tenuto ad evidenziare ed esplicare in atti la straordinarietà dell’intervento nei termini sovra citati e a fornirne adeguata motivazione con puntuale esposizione delle ragioni fattuali e giuridiche che devono risultare logicamente differenti da quelle legittimanti la deroga espressa al divieto di soccorso finanziario, contemplate dal richiamato art. 14, comma 5, terzo periodo (gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e la sanità). Diversamente opinando verrebbe agevolmente eluso, in generale, l’intento del legislatore di razionalizzazione societaria in ambito pubblico e, in particolare, il predetto divieto.
Ulteriore aspetto dell’istanza di parere riguarda la possibilità di deliberazione unilaterale dell’intervento finanziario da parte dell’ente, senza condivisione con gli altri enti pubblici partecipanti la struttura societaria. Sul punto la Corte evidenzia che l’intervento straordinario in favore della società in mano pubblica pluripartecipata segue, per quanto in via derivata, le regole del controllo dei soci pubblici applicabili agli atti presupposti dell’intervento stesso.
E’ ragionevole, infatti, ritenere che tale principio di contribuzione in proporzione alla porzione giuridica partecipativa sia estensibile per analogia alla fattispecie degli “interventi straordinari”, di che trattasi, nel caso di società in mano pubblica pluripartecipata, salvo che nel conferimento del trasferimento straordinario ed unilaterale da parte di un socio pubblico, senza la compartecipazione degli altri, il soggetto conferente non configuri un’utilità corrispettiva -diretta od indiretta- comunque gravante sui soggetti non conferenti, escludendo in tal modo l’ipotesi dell’accollo di oneri altrui e/o dell’atto con causa mista di natura donativo/liberale.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION