Legittima la revoca dell’assessore per «divergenze inconciliabili» col sindaco

È legittimo il provvedimento del sindaco che dispone, ex art. 46, comma 4, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 la revoca di un assessore comunale a motivo dell’esistenza di «divergenze inconciliabili» fra i due soggetti. È quanto stabilito dal TAR Friuli-Venezia Giulia, 19 settembre 2023, n. 271.

Il TAR ricorda che per costante giurisprudenza (vedi ex multis, C.d.S., Sez. V, 10 luglio 2012, n. 4057) la revoca dell’assessore da parte del sindaco è atto ampiamente discrezionale, la cui motivazione può validamente basarsi sulle più ampie valutazioni di opportunità politico-amministrativa.

Nel caso di specie, peraltro, il fondamento logico-giuridico delle determinazioni risulta diffusamente esposto nel contenuto di tali atti, ove si rappresenta l’emersione di “divergenze inconciliabili” tra il sindaco e gli assessori, relativamente a tematiche in materia di politica ambientale (specificamente indicate nel “sistema di raccolta dei rifiuti urbani”), con compromissione di quella coesione necessaria a perseguire il programma di mandato. Detta motivazione risulta congrua e del tutto idonea a sostenere l’interruzione di un rapporto che ha carattere prettamente fiduciario (alla luce della natura fiduciaria dell’incarico (T.A.R. Piemonte, Sez. II, 15 luglio 2021, n. 743) e la cui permanenza in vita può ben essere condizionata da valutazioni di natura politica (T.A.R. Liguria, Sez. II, 30 settembre 2016, n. 964).

 

La redazione PERK SOLUTION

L’indennità di funzione non può essere corrisposta per la durata del periodo di sospensione dalla carica elettiva

Il Ministero dell’interno, in merito alla possibilità di corrispondere al sindaco – sospeso ai sensi dell’art. 11 del decreto legislativo 31 dicembre 2012 e successivamente reintegrato nelle proprie funzioni a seguito di assoluzione con formula piena – l’indennità non percepita per la durata del periodo di sospensione, con parere del 6 giugno 2023, ha evidenziato che l’indennità di funzione non è correlata automaticamente all’elezione del sindaco quanto all’esercizio effettivo del mandato politico. Pertanto l’indennità di funzione non può essere corrisposta per la durata del periodo di sospensione dalla carica elettiva.

L’emolumento, in quanto correlato alla carica, non può essere corrisposto all’amministratore colpito da misure restrittive della libertà personale, che inibiscono l’esercizio delle funzioni elettive.

 

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Responsabilità erariale per il Sindaco in caso di revoca illegittima di una posizione organizzativa

La Corte dei conti, Sez. Giurisdizionale per la Regione Sicilia, con sentenza n. 89/2023, ha riconosciuto la responsabilità amministrativa del Sindaco, con conseguente risarcimento del danno causato al Comune, per la revoca illegittima di una posizione organizzativa e con essa della retribuzione (danno patrimoniale) e del prestigio professionale (danno non patrimoniale) sotteso all’incarico.

L’illiceità della condotta è insita nell’adozione da parte del Sindaco dell’atto di revoca della posizione organizzativa in precedenza conferito alla dipendente, atto da reputarsi certamente illegittimo, stante la sua contrarietà quale atto datoriale ai principi di lealtà e correttezza e alle disposizioni pattizie in materia cui avrebbe dovuto conformarsi, e dunque contrario, per tale motivo, ai doveri di ufficio incombenti sul titolare della carica di Sindaco e datore di lavoro. Nel caso di specie, l’atto di revoca è stato adottato al di fuori dei presupposti di legge, ossia senza che ricorressero “i mutamenti organizzativi” o lo “specifico accertamento di risultati negativi” – costituenti le eventuali ipotesi di giusta causa della revoca alla stregua della disciplina contrattuale (art. 9, comma 3, del CCNL 31 marzo 1999) cui la parte datoriale deve conformarsi – ed ancora senza alcuna motivazione in relazione a tali presupposti legittimanti e senza alcun rispetto della garanzia del contraddittorio, garanzia espressamente prevista dalla suddetta fonte (art. 9, c. 4, del citato CCNL) nell’ipotesi in cui si intenda contestare una valutazione negativa.

La Sezione ricorda che la disposizione contrattuale recante la disciplina del Conferimento e revoca degli incarichi per le posizioni organizzative(art. 9, del CCNL Comparto Regioni e Autonomie locali per il personale non dirigente del 31.3.1999, così rubricato) consente espressamente la revoca dell’incarico di posizione organizzativa, prima della scadenza, con atto scritto e motivato, in relazione a intervenuti mutamenti organizzativi ovvero per motivi soggettivi riconducibili allo specifico accertamento di risultati negativi (co. 3). ll successivo comma dispone che, in tal caso, deve essere attivata una procedura di contestazione, prima della definitiva formalizzazione della valutazione non positiva, per garantire il necessario contraddittorio sulle contestazioni e consentire al dipendente di fornire le proprie valutazioni e di eventualmente avvalersi dell’assistenza di un’organizzazione sindacale (art. 9, co. 4).

Il potere discrezionale del datore di lavoro pubblico non deve essere inteso come potere autoritativo, tale da degradare ad interesse legittimo la posizione soggettiva del pubblico dipendente o di porlo in condizione di mera soggezione al potere datoriale, tanto più quando dalla scelta si passi alla revoca.

La ratio della disposizione contrattuale citata, nel prevedere la revoca con atto scritto e motivato, nonché la procedimentalizzazione delle contestazioni circa i risultati negativi, è evidentemente quella di porre il dipendente in condizione di comprendere le ragioni per le quali la posizione organizzativa è stata revocata e di valutare se il potere discrezionale del datore sia stato esercitato in una delle fattispecie previste dalle parti collettive; la motivazione, quindi, si modella diversamente a seconda delle diverse ipotesi che giustificano la revoca e, quindi, se per la violazione delle direttive occorre l’indicazione degli ordini violati, per i risultati negativi la menzione dei dati dai quali il giudizio è stato tratto, per la modifica organizzativa il richiamo ai provvedimenti che quella riorganizzazione hanno attuato, per la sanzione disciplinare è sufficiente la menzione del provvedimento con il quale la stessa è stata irrogata.

 

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Inconferibile il ruolo di sindaco e presidente del Consorzio pubblico di smaltimento rifiuti

L’incarico di Presidente del Cda di un Consorzio obbligatorio di smaltimento rifiuti, formato da tutti i comuni di una Provincia, non può essere conferito a uno dei sindaci, che controllano lo stesso consorzio. È quanto ha evidenziato ANAC con delibera n. 346 del 20 luglio 2022, dichiarando la nullità dell’atto di conferimento e il relativo contratto.

L’istruttoria dell’Autorità ha dimostrato che il ruolo di Presidente del Consorzio aveva una rappresentanza e una rilevanza esterna fondamentale, compreso quello di firma di bandi pubblici di concorso. Inoltre aveva potere di firma, dando esecuzione alle deliberazioni dell’assemblea, deliberando assunzioni o incarichi di consulenza, stipulando contratti o accordi. Pertanto, nonostante la presenza di un direttore generale, l’incarico di Presidente “è da ritenersi riconducibile tra quelli di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico, anche in considerazione del potere di firma”.

Anac, pertanto, ha documentato che si tratta non di incompatibilità, ma di inconferibilità. Quindi la nomina è viziata fin dall’origine, costringendo l’amministratore comunale a dimettersi da Presidente del Consorzio. Inoltre, l’amministratore deve restituire gli eventuali compensi percepiti da Presidente del Cda. E chi ha conferito l’incarico “inconferibile” viene sanzionato con il divieto di poter conferire incarichi per tre mesi dalla data di comunicazione.

 

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In caso di sospensione del sindaco e del vicesindaco si nomina un commissario prefettizio

In presenza di provvedimento sospensivo emesso nei confronti del sindaco e del vicesindaco, entrambi interdetti alle relative funzioni, la prefettura dovrà provvedere alla nomina di un commissario prefettizio ai sensi dell’art.19 del r. d. n.383/1934, al quale conferire i poteri di sindaco e giunta comunale. È questo il chiarimento fornito dal Ministero dell’Interno nel parere del 4 luglio scorso.
La sospensione ex art. 11, comma 1, D. Lgs. n.235/2012 non è assimilabile ad un mero e occasionale impedimento di fatto, ma costituisce una interdizione giuridica (sia pure a titolo di sospensione) ad esercitare le funzioni sindacali, le quali per tutto il periodo di ostatività sono rimesse alla competenza del vicesindaco, come prevede espressamente l’art. 53, comma 2, del D. Lgs. n.267/2000. Tale norma presuppone dunque la permanenza in carica del vicesindaco, essendo rimessa esclusivamente a tale figura l’espletamento delle funzioni vicarie in caso di sospensione del primo cittadino.
La sostituzione per assenza o impedimento è una supplenza caratterizzata dalla durata temporanea, presumibilmente breve in considerazione della prossima riassunzione delle funzioni da parte del titolare, mentre nel caso di sospensione ex art.11 comma 1 d.lgs.235/2012 la sostituzione potrebbe protrarsi per 18 mesi o più.
Pertanto, nel caso in cui lo statuto comunale regolamenti le sole ipotesi di assenza e impedimento e non anche di sospensione dall’esercizio delle funzioni del sindaco e del vice sindaco, la Prefettura dovrà provvedere alla nomina di un commissario prefettizio ai sensi dell’art.19 del R.D. n.383/1934, al quale conferire i poteri di sindaco e giunta comunale.

 

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Incompatibilità del Sindaco nei cui confronti è stato accertato il mancato pagamento dell’IMU e della TASI

Sussiste la causa di incompatibilità del Sindaco prevista dall’art.63, comma 1, n. 6) del TUEL, quando vi sia stata la notifica della cartella di pagamento, in quanto solo in seguito alla stessa ed alla sua mancata impugnazione (o alla sua impugnazione con esito negativo) può considerarsi cristallizzato l’accertamento del debito tributario, ovvero sia stata emessa ingiunzione di pagamento di cui al regio decreto n.639 del 1910 nell’ambito delle procedure di riscossione coattiva. In caso di rateizzazione del debito la causa di incompatibilità viene meno solo al pagamento dell’ultima rata del piano di rientro del debito. È la risposta del Ministero dell’Interno ad una richiesta di parere concernente l’eventuale sussistenza di una causa di incompatibilità in capo ad un sindaco, nei cui confronti è stato accertato il mancato pagamento dell’IMU e della TASI, debito tributario che l’amministratore avrebbe richiesto di estinguere con pagamenti rateali.
L’articolo 63, comma 1, n. 6), del D.lgs. 267/2000 dispone testualmente che: “Non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale o circoscrizionale: (…) colui che, avendo un debito liquido ed esigibile, rispettivamente, verso il comune o la provincia ovvero verso istituto od azienda da essi dipendenti è stato legalmente messo in mora ovvero, avendo un debito liquido ed esigibile per imposte, tasse e tributi nei riguardi di detti enti, abbia ricevuto invano notificazione dell’avviso di cui all’articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.602 (…)”. Ne consegue che è incompatibile a ricoprire la carica di sindaco colui che ha un debito liquido ed esigibile verso il comune e che, per lo stesso, sia stato legalmente messo in mora dall’ente creditore, senza che sia avvenuto il pagamento del quantum dovuto. L’incompatibilità sussiste solo nel caso in cui l’amministratore, avendo un debito liquido ed esigibile per imposte, tasse e tributi nei confronti del comune, abbia ricevuto invano la notificazione dell’avviso di cui all’articolo 46, del D.P.R. n.602/1973.
Il richiamo a tale ultima disposizione normativa deve ritenersi come “necessariamente riferito alla cartella di pagamento, che, qualora notificata e non impugnata dal contribuente, svolge una funzione assimilabile all’avviso di mora in quanto idoneo a cristallizzare definitivamente l’esistenza del debito tributario consentendo l’espropriazione forzata, e, quindi ad integrare la causa di incompatibilità prevista per colui che voglia ricoprire una delle cariche pubbliche indicate al primo comma del medesimo art.63 n.6” (così Cass. Civ., sez. I, n.10947/2015).
Pertanto, in presenza di un debito liquido ed esigibile per imposte, tasse e tributi nei riguardi del comune, affinché possa ritenersi sussistente la causa di incompatibilità prevista dall’art. 63, comma 1, n. 6), è necessario che ci sia stata la notifica della cartella di pagamento, in quanto solo in seguito alla stessa ed alla sua mancata impugnazione (o alla sua impugnazione con esito negativo) può considerarsi cristallizzato l’accertamento definitivo dell’esistenza del debito tributario. Inoltre, nell’ipotesi in cui il comune, avvalendosi della facoltà di procedere alla riscossione coattiva tramite ingiunzione di pagamento di cui al regio decreto n.639 del 1910, emetta una ingiunzione di pagamento, quest’ultima, al pari della cartella di pagamento, è idonea a far sorgere la causa di incompatibilità.
L’obbligo di pagare il debito è correlato al sorgere del diritto di credito in favore del comune ed a nulla rileva la concessione da parte dell’ente di un piano di rientro al fine di far venire meno la sussistenza della causa di incompatibilità. In caso di concessione della rateizzazione, infatti, è solo il pagamento dell’ultima rata del piano ad estinguere il debito e, dunque, a far cessare il conflitto d’interesse derivante dalla contestuale posizione di amministratore dell’ente e debitore dello stesso.

Incremento indennità Sindaco piccoli comuni, necessario il cofinanziamento dell’ente

La Corte dei conti, Sez. Lombardia, con Deliberazione n. 132 del 23.09.2021, in accordo con gli orientamenti espressi da altre sezioni, ribadisce che l’incremento dell’indennità di funzione spettante ai sindaci dei comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti, previsto dall’art. 57-quater del DL n. 124/2019, pur essendo rimesso all’autonomia dell’ente, deve essere fissato nel rispetto del limite massimo previsto dalla legge e non può essere limitato al contributo statale senza alcun cofinanziamento da parte del comune. La misura della compartecipazione del bilancio comunale alla spesa deve essere fissata in modo da assicurarne l’adeguata copertura e la sostenibilità finanziaria nel rispetto degli equilibri di bilancio.
Il comma 1 dell’art. 57-quater dispone che la misura dell’indennità di funzione spettante ai sindaci dei comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti è incrementata fino all’85 per cento della misura dell’indennità spettante ai sindaci dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti. Il successivo comma 2 prevede un contributo statale a titolo di concorso alla copertura del maggior onere sostenuto dai comuni per la corresponsione dell’incremento dell’indennità.
La Sezione ribadisce che, pur essendo riconosciuta agli enti ampia autonomia nel deliberare il “quantum” dell’incremento dell’indennità di funzione per l’esercizio della carica di Sindaco, entro il limite legale e compatibilmente con la rispettiva situazione finanziaria, tuttavia, l’assetto normativo appare orientato nel senso di configurare un divieto di incremento dell’indennità in oggetto, basato solo nella misura del contributo statale, fissato a titolo di concorso alla copertura del maggior onere sostenuto per la corresponsione dell’incremento dell’indennità, con la conseguente necessità per ciascun ente di cofinanziare l’incremento in parola con ulteriori fondi propri.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Responsabilità per il Sindaco che omette di richiedere il rilascio del certificato di prevenzione incendi per la scuola comunale

La Corte di cassazione, Sez. III Penale, con Sentenza 28-07-2021, n. 29575, ha confermato la responsabilità in capo al Sindaco pro tempore del Comune per aver omesso di richiedere il rilascio del certificato di prevenzione incendi per la scuola media statale comunale. Dopo la sentenza del Tribunale, il Sindaco ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando la violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al D.Lgs. n. 139 del 2006, art. 16, e art. 20, comma 1, e D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107, nonchè alla L. n. 19 del 2017, art. 4, e successive integrazioni, sul rilievo che, in spregio al principio di separazione tra le funzioni di indirizzo politico e quelle di gestione, erroneamente era stata configurata la responsabilità dell’imputato, invece di quella del dirigente dell’ufficio tecnico del Comune.
Secondo i giudici, la responsabilità di adempiere agli obblighi stabiliti in materia di prevenzione degli incendi in capo al proprietario degli edifici scolastici gravava, pertanto, sull’imputato, quale Sindaco del Comune e, in ogni caso, trattandosi di materia concernente la pubblica incolumità, il medesimo ne era comunque responsabile.
Più volte la Corte di cassazione ha osservato che anche laddove talune funzioni siano state correttamente delegate al personale dirigente, il Sindaco, in base agli artt. 50 e 54 del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, rimane titolare di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità pubblica in quanto, pur essendo privo di poteri di concreta gestione, deve svolgere un ruolo di vigilanza e controllo sull’operato dei suoi dirigenti, e dispone di mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad impedire eventi dannosi nonchè del potere sostitutivo di intervento nelle situazioni contingibili e urgenti (Sez. 4, n. 58243 del 26/09/2018, T., Rv. 274950). La distinzione operata dall’art. 107 T.U.E.L. fra i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, demandati agli organi di governo, e i compiti di gestione attribuiti ai dirigenti – si è in altra occasione precisato, in materia di gestione di rifiuti – non esclude il dovere di attivazione del Sindaco allorchè gli siano note situazioni, non derivanti da contingenti ed occasionali emergenze tecnico-operative, che pongano in pericolo la salute delle persone o l’integrità dell’ambiente (Sez. 3, n. 37544 del 27/06/2013, Fasulo, Rv. 256638).

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

 

Sindaco Presidente della commissione di concorso

In tema di concorsi pubblici, negli enti locali con popolazione inferiore a cinquemila abitanti, il componente dell’organo esecutivo (nel caso di specie, il Sindaco) al quale sia stato conferito un incarico di responsabile, ai sensi dell’art. 53, comma 23, l. 23 dicembre 2000, n. 388, può essere nominato membro della commissione esaminatrice. È quanto chiarito dal Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 3436 del 29 aprile 2021. L’art.53, comma 23, della legge 23 n. 388/2000 dispone infatti che “Gli enti locali con popolazione inferiore a cinquemila abitanti fatta salva l’ipotesi di cui all’articolo 97, comma 4, lettera d), del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267 , anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all’ articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29, e successive modificazioni, e all’articolo 107 del predetto testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell’organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale”. La disposizione introduce una deroga espressa alla norma che riserva ai dirigenti comunali la responsabilità degli uffici e dei servizi (l’art. 107 del TUEL). All’interno di questa disposizione è contenuta anche la norma che attribuisce ai dirigenti/responsabili «la presidenza delle commissioni di gara e di concorso» [comma 3, lett. a)]; funzione il cui svolgimento, nel disegno dell’art. 107 cit., discende direttamente dal conferimento dell’incarico di dirigente/responsabile dell’ufficio o del servizio. Pertanto la possibilità di conferire l’incarico dirigenziale (o di responsabile del servizio) anche ai componenti dell’organo esecutivo implica necessariamente l’attribuzione delle funzioni e dei compiti che a quell’incarico sono, per legge, ricollegati.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Sindaco, obbligo di astensione dall’esercizio della professione in materia edilizia privata e pubblica

Il Ministero dell’Interno, con parere del 23 aprile scorso, ha ribadito che sul sindaco, “responsabile dell’amministrazione del comune” ex articolo 50, comma 1, TUEL e presidente dell’organo esecutivo ex comma 2 del medesimo articolo, grava l’obbligo di astensione positivizzata dal comma 3 dell’articolo 78 del predetto testo unico. L’articolo 78, comma 3, nel disporre che “I componenti la giunta comunale competenti in materia di urbanistica, di edilizia e di lavori pubblici devono astenersi dall’esercitare attività professionale in materia edilizia privata e pubblica nel territorio da essi amministrato”, intende garantire la imparzialità dell’azione amministrativa in un quadro di attenzione alle concrete condizioni di operatività degli enti locali e si rivolge a coloro che svolgono in proprio un’attività libero-professionale negli stessi delicati settori nei quali, come pubblici amministratori, sono chiamati a tutelare interessi della collettività locale. Tra i destinatari dell’obbligo di astensione (…) rientrano non solo gli assessori cui siano state conferite deleghe nei settori dell’urbanistica, dell’edilizia e dei lavori pubblici, ma anche lo stesso sindaco, sul quale, come organo responsabile dell’amministrazione del Comune e presidente della giunta comunale, grava l’onere di sovraintendere su tutte le attività del Comune, anche su quelle delegate. La violazione del dovere di astensione, pur non comportando la decadenza dalla carica, può rilevare, comunque, sul piano della personale responsabilità politica e deontologica del soggetto interessato, nonché sul piano della legittimità degli atti adottati. Va pertanto, escluso che, per il fatto di essersi avvalso della facoltà di delega ad un assessore nella materia urbanistica, edilizia e lavori pubblici, il sindaco possa ritenersi esonerato dall’osservanza dell’obbligo di astensione dall’esercitare, nel territorio da lui amministrato, attività professionale di architetto in materia di edilizia privata e pubblica” (così Cass. Civ.. sezione II, sentenza n. 14764 del 19/7/2016, sopra cit.).

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION