Il Consiglio di Stato, nell’adunanza della Commissione speciale del 14 giugno 2021, in riscontro ad una richiesta di parere del Ministero dell’Interno, ha chiarito che nella fattispecie prevista dall’art. 141, comma 1, lett. b), n. 4), del T.U.O.E.L., l’impossibilità per il Consiglio comunale, in prima convocazione, di raggiungere il quorum previsto dal proprio regolamento per la validità della riunione sussistendo – almeno in astratto – il quorum strutturale per la validità della riunione in seconda convocazione, non configura un’ipotesi dissolutoria del consiglio medesimo. L’impossibilità di funzionamento dell’organo rappresentativo dovrebbe costituire ipotesi residuale ed eccezionale, insuscettibile di applicazioni estensive. Come ha precisato il Consiglio di Stato (v. sez. III, nn. 2273 del 2021 e 4545 del 2021), non si può prescindere, ai fini dell’approvazione della surroga in seconda convocazione, dalla giuridica possibilità di convocare la seduta in prima convocazione; invece sono indifferenti le ragioni per cui la prima convocazione non si sia in concreto tenuta, tanto più quando esse integrino, con il fenomeno del c.d. aggancio, un mezzo ostruzionistico per opporsi alla doverosa surroga del consigliere di maggioranza dimissionario. E’ poi da considerare un elemento aggiuntivo, rispetto a quanto già ampiamente rappresentato nelle più recenti sentenze della sez. III del Consiglio di Stato nn. 2273 del 2021 e 4545 del 2021, In base alle disposizioni di rango primario, la doppia convocazione per la medesima riunione, con quorum distinti a scalare, non costituisce un obbligo ma esclusivamente una prassi consolidata prevista dai regolamenti consiliari e, in genere, dalla disciplina regolatoria di non pochi organi collegiali. La doppia convocazione è diretta a contemperare, nell’ordine, la maggiore rappresentatività del quorum strutturale e l’esigenza di snellimento ed efficienza dell’attività dell’organo rappresentativo. La seconda convocazione, in assenza di una espressa previsione legislativa, non può svolgere un ruolo recessivo rispetto alla prima, non fosse altro che per la necessità di evitare esiti di segno opposto alla volontà espressa dall’elettorato al momento delle elezioni. Né, come si è visto, le eventuali manovre opportunistiche svolte in seno al consiglio dai componenti possono comportare lo scioglimento quale prodotto automatico della mancanza del numero legale in prima convocazione. Merita soprattutto sottolineare, rispetto al silenzio del legislatore sulla necessità della doppia convocazione, che, proprio la natura non obbligatoria della doppia convocazione con quorum distinti potrebbe condurre a esiti palesemente contraddittori con riguardo alla fattispecie astratta in esame. E infatti, in linea ipotetica, non è interdetta dalla legge al regolamento consiliare la possibilità di escludere la doppia convocazione e di stabilire un quorum unico di validità della seduta, senza distinzione tra prima e seconda convocazione (ad es. il quorum di un terzo). Ebbene, il consiglio che, in ipotesi, si fosse dato un regolamento con doppia convocazione e quorum a scalare (ad es. la metà dei consiglieri assegnati, in prima convocazione, e poi un terzo, in seconda convocazione), dovrebbe essere sciolto anche ove fosse in grado di raggiungere il secondo quorum mancando il primo; diversamente, il consiglio che si fosse dato direttamente un unico quorum strutturale di un terzo non verrebbe sciolto. Un esito del genere risulta, allo stato, intrinsecamente contraddittorio.
Valutazione non atomistica dei fatti ai fini dello scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazione mafiosa
Ai fini dello scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazione mafiosa, l’indubbio nesso di interdipendenza che deve esistere tra gli elementi soggettivi – i collegamenti diretti o indiretti degli amministratori locali con le associazioni mafiose e quelli oggettivi – sul piano del corretto svolgimento delle funzioni amministrative, va valutato, complessivamente e non atomisticamente, secondo una logica probabilistica, tipica del diritto della prevenzione (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758, Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105), alla quale sicuramente anche lo scioglimento di cui all’art. 143, comma 1, del T.U.E.L., per sua stessa finalità anticipatoria, appartiene, e non già secondo il criterio della certezza raggiunta oltre ogni ragionevole dubbio, propria dell’accertamento penale. La stessa giurisprudenza amministrativa, nell’affermare la necessità che entrambi gli elementi – soggettivo e oggettivo – coesistano, ben avverte che lo sforzo ricostruttivo della loro intima connessione sistematica è ancor più necessario nel caso di piccole comunità, che per dimensione, coesione interna e eventuale chiusura o limitata apertura verso l’esterno, offrono «elementi di difficile reperimento e, ove raccolti, di incerta o difficile decifrazione», con «un costante e concreto aggancio ad elementi rilevanti ed univoci che contribuiscono ad indicare un percorso di ragionevolezza valutativa e di proporzionalità ed adeguatezza della misura adottata» (Cons. St., sez. IV, 3 marzo 2016, n. 876).
Nel seguire tale percorso di ragionevolezza valutativa e di proporzionalità, il nesso di interdipendenza, secondo la logica della c.d. probabilità cruciale e nell’ottica di una complessiva valutazione, sussiste, laddove i condizionamenti mafiosi sulla vita amministrativa dell’ente, per i collegamenti diretti o indiretti dei suoi amministratori con l’organizzazione mafiosa, si sono riflessi in un generale disordine amministrativo e in un’opacità del potere pubblico locale, con compromissione della sua efficace azione e un indebito vantaggio degli interessi economici facenti capo alle cosche egemoni sul territorio. È quanto ha ribadito il Consiglio di Stato con sentenza n. 3067 del 14 maggio 2020.