La Corte dei conti, Sez. Umbria, con deliberazione n. 129/2000, ha ribadito che non è possibile ai Comuni che non hanno una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti servirsi dell’attività lavorativa di dipendenti di altre Amministrazioni locali oltre l’ambito delle 36 ore settimanali, che concretizza l’ipotesi del c.d. scavalco d’eccedenza ai sensi dell’art. 1, comma 557 della legge 30 dicembre 2004, n. 311. È invece consentito a tutti gli Enti locali, ai sensi dell’art. 1, comma 124 della legge 30 dicembre 2018, n. 145, utilizzare personale assegnato ad altri Enti per periodi predeterminati e per una parte delle 36 ore settimanali – che costituiscono il tempo di lavoro d’obbligo – mediante convenzione volta a definire, tra l’altro, la ripartizione degli oneri finanziari (c.d. scavalco condiviso). In tale ultima circostanza non si applica il limite di spesa previsto dall’art. 9, comma 28, del D.L. n. 78/2010, purché in assenza di oneri aggiuntivi per la spesa complessiva del personale delle due Amministrazioni interessate. Ciò comporta il fatto che “la minore spesa dell’ente titolare del rapporto di lavoro a tempo pieno non può generare spazi da impiegare per spese aggiuntive di personale o nuove assunzioni” (deliberazione n. 23/SEZAUT/2016/QMIG in relazione al citato art.1, comma 557). La Sezione, riprendendo anche qui quanto affermato dalla Sezione delle Autonomie per l’art. 1, comma 557, ricorda che “le spese sostenute pro quota dall’Ente di destinazione per la prestazione lavorativa [ai sensi dell’art. 1, comma 124 della L. n. 145/2018] saranno da computarsi, in ogni caso, nella spesa per il personale ai sensi dell’art. 1, commi 557 o 562, della legge n. 296/2006 e, conseguentemente, saranno soggette alle relative limitazioni.”