Per il risarcimento danni da illegittima aggiudicazione di un appalto non occorre provare la colpa della P.A.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione III, con sentenza del 17 maggio 2023, n. 1647, ha ricordato che in tema di procedure per l’affidamento di contratti pubblici, ai fini del risarcimento dei danni derivanti dall’illegittima aggiudicazione di un appalto non occorre provare la colpa dell’Amministrazione, trattandosi di responsabilità di tipo oggettivo.

Ai fini del risarcimento del danno in materia di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, dopo la nota sentenza 30 settembre 2010, C-314/09 della Corte di giustizia dell’Unione europea, non assume più rilievo il carattere colpevole della condotta della pubblica amministrazione e ciò anche quando si tratti di appalti sotto soglia comunitaria (C.d.S., Sez. V, 8 novembre 2012, n. 5686).

È, invero, ormai consolidato l’indirizzo del giudice amministrativo, per il quale “per unanime indirizzo della giurisprudenza amministrativa, la responsabilità per danni conseguenti all’illegittima aggiudicazione di appalti pubblici non richiede la prova dell’elemento soggettivo della colpa, giacché la responsabilità, negli appalti pubblici, è improntata – secondo le previsioni contenute nelle direttive europee – a un modello di tipo oggettivo, disancorato dall’elemento soggettivo, coerente con l’esigenza di assicurare l’effettività del rimedio risarcitorio” (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV, n. 912/2021).

 

La redazione PERK SOLUTION

Tassazione della somma dovuta a titolo di risarcimento danni per abuso dei contratti a tempo determinato

Le somme percepite dal pubblico dipendente a titolo di risarcimento del danno per l’illegittima apposizione del termine di durata al rapporto di lavoro non possono essere sottoposte a tassazione, tenuto conto che il danno risarcibile ai sensi dell’art. 36, comma 5, d.lgs. n. 165 del 2001 non sarebbe un danno da mancata conversione del rapporto di lavoro, ma da perdita di chance.  È quanto chiarito dal Consiglio di Stato, Sez. VI, con la sentenza 28 aprile 2021, n. 3429.
La Sezione ha evidenziato che sul piano tributario, al fine di verificare l’assoggettabilità ad imposizione fiscale delle somme dovute dall’Amministrazione datrice di lavoro in favore del proprio dipendente a titolo risarcitorio, occorre avere riguardo al fatto costitutivo dell’obbligazione risarcitoria. La Corte di cassazione (sez. V, ord., 24 settembre 2019, n. 23717) ha affermato che in tema d’imposte sui redditi di lavoro dipendente, dalla lettura coordinata degli artt. 6, comma 2, e 46, d.P.R. n. 917 del 1986, si ricava che, al fine di poter negare l’assoggettabilità ad IRPEF di una erogazione economica effettuata a favore del prestatore di lavoro da parte del datore di lavoro, è necessario accertare che la stessa non trovi la sua causa nel rapporto di lavoro o che tale erogazione, in base all’interpretazione della concreta volontà manifestata dalle parti, non trovi la fonte della sua obbligatorietà nè in redditi sostituiti, nè nel risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi futuri, cioè successivi alla cessazione od all’interruzione del rapporto di lavoro.
Con particolare riferimento all’indennità riconosciuta al lavoratore pubblico in caso di illecita reiterazione di contratti di lavoro a termine, inoltre, si è rilevato che in materia di pubblico impiego privatizzato, il danno risarcibile ai sensi dell’art. 36, comma 5, d.lgs. n. 165 del 2001 non deriva dalla mancata conversione del rapporto, legittimamente esclusa sia secondo i parametri costituzionali che per quelli Europei, bensì dalla prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della P.A., ed è configurabile come perdita di chance di un’occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell’art. 1223 c.c. (Cass. civ., s.l., ord., 14 gennaio 2021, n. 559).
​​​​​​​Nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato, pertanto, in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto a tempo determinato a tempo indeterminato posto dall’art. 36, comma 5, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione, con esonero dell’onere probatorio, nella misura e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5, l. 4 novembre 2010, n. 183 (oggi art. 28, l. n. 81 del 2015) e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8, l. 15 luglio 1966, n. 604 (Cass. civ., s.l., ord., 14 dicembre 2020, n. 28423). Ne deriva, pertanto, che, assumendo l’importo corrisposto al lavoratore, per effetto dell’abusiva reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato, natura risarcitoria da perdita di chance, come tale estranea ai rapporti di lavoro posti in essere nella legittima impossibilità di procedere alla loro conversione, gli importi riconosciuti dal Giudice del lavoro quale risarcimento del danno ex art. 36, comma 5, d.lgs. n. 165 del 2001, non sono assoggettabili a tassazione ex art. 6, comma 1, d.P.R. n. 917 del 1986 (Cass. civ., sez. VI, ord., 23 ottobre 2019, n. 27011).

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Risarcimento danni e colpa dell’Amministrazione se il provvedimento è illegittimo per difetto di motivazione

Dall’accertamento, con sentenza passata in giudicato, della illegittimità della revoca di un piano di lottizzazione non consegue l’automatico accertamento della colpa in capo all’amministrazione che aveva adottato il piano, ove l’annullamento sia stato disposto per difetto di motivazione e non perché sia stata valutata la legittimità della condotta che aveva portato all’adozione del piano stesso. È quanto stabilito dal Consiglio di Giustizia Amministrativa, Sezione giurisdizionale, con sentenza n. 295 del 7 aprile 2021.
Il Consiglio di giustizia amministrativa ha ribadito – al riguardo – che l’esistenza del danno ingiusto lamentato in giudizio “forma oggetto di un puntuale onere probatorio in capo al soggetto che ne richieda il risarcimento, non costituendo quest’ultimo una conseguenza automatica dell’annullamento giurisdizionale dell’atto amministrativo illegittimo. In proposito non soccorre, infatti, il metodo acquisitivo; né l’esistenza del danno stesso potrebbe essere presunta quale conseguenza dell’illegittimità provvedimentale in cui l’Amministrazione sia incorsa. Secondo il consolidato insegnamento giurisprudenziale, invero, il principio generale dell’onere della prova previsto dall’art. 2697 cod. civ. si applica anche all’azione di risarcimento per danni proposta dinanzi al Giudice amministrativo, con la conseguenza che spetta al danneggiato fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, e quindi, in particolare, quella della presenza di un nesso causale che colleghi la condotta commissiva o omissiva della Pubblica Amministrazione all’evento dannoso, e quella dell’effettività del danno di cui si invoca il ristoro, con la conseguenza che, ove la domanda di risarcimento manchi della necessaria prova, la stessa deve essere respinta. Ciò anche perché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo dell’art. 2697 comma 1, cod. civ., opera con pienezza, senza il temperamento del metodo acquisitivo caratteristico dell’azione giurisdizionale di annullamento (C.d.S., V, 9 marzo 2020, n. 1674; III, 23 maggio 2019, n. 3362; VI, 19 novembre 2018, n. 6506)” (cfr. CGA, sentenza n. 00914/2020).

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION