L’art. 5 del Decreto-Legge n. 95/2012, convertito in Legge n. 135/2012 (nell’ambito della “Spending Review) dispone che il valore nominale dei buoni pasto per i dipendenti pubblici non può superare l’importo di 7,00 euro per singolo buono. Di conseguenza, l’estensione della disciplina di cui all’art. 52, comma 2 del TUIR, come modificato dall’art. 1, comma 677 della legge di bilancio 2020 (norma che prevede l’esenzione da contributi Inps e da tassazione Irpef per la somma che non eccede gli 8,00 euro relativamente ai buoni pasto elettronici, soglia fissata in precedenza a 7,00 euro) non può tuttavia avere quale conseguenza indiretta la possibilità di concedere ai dipendenti pubblici un buono pasto di valore nominale pari a 8,00 euro.
Pertanto, nessuna innovazione può derivare dalla norma citata ai fini della determinazione del valore nominale del buono pasto dei dipendenti pubblici. E in realtà nessuna novità (sostanziale) si produce anche sotto il profilo del trattamento fiscale, considerato che l’art. 51, comma 2, del TUIR, anche prima della modifica normativa sopra richiamata, prevedeva quale limite di esenzione 7,00 euro, ossia il valore nominale massimo attribuibile ai buoni pasto nella pubblica amministrazione. Rimane, quindi, immutato il vantaggio del dipendente pubblico che, ora come allora, non subirà trattenute in busta paga per i buoni pasto riconosciuti dal datore di lavoro pubblico nei limiti indicati.
È quanto evidenziato dalla Corte dei conti, Sez. Toscana, con deliberazione n. 88/2021, in riscontro ad una richiesta di parere da parte di un Ente Provincia concerne il regime della tassazione riservato ai buoni pasto, nonché la determinazione del valore nominale degli stessi.
Autore: La redazione PERK SOLUTION