L’Amministrazione che ha stipulato un accordo con altre Amministrazioni può recederne unilateralmente

La Pubblica Amministrazione che abbia stipulato un accordo o una convenzione con altre Pubbliche Amministrazioni, art. 30 del TUEL, conserva il potere di recederne unilateralmente con atto motivato. È quanto ribadito dal TAR Abruzzo, sentenza 3 marzo 2021, n. 89.
Gli accordi tra amministrazioni costituiscono strumenti di semplificazione e di razionale coordinamento dell’assetto degli interessi pubblici in attuazione del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. La predetta qualificazione trova puntuale riscontro sotto il profilo sistematico-normativo nell’inserimento degli accordi in argomento all’interno del capo IV della l. n. 241/1990 relativo alla semplificazione amministrativa.
Gli accordi ex art. 15 della l. n. 241/1990 si connotano per la loro spiccata valenza pubblicistica atteso che la volontà delle Amministrazioni non è mai assimilabile ad una “volontà negoziale” fondata sull’autonomia privata, ma è una “volontà discrezionale” funzionalizzata alla tutela degli interessi pubblici. Trattasi di moduli consensuali ed organizzativi dell’azione amministrativa (che si contrappongono al tradizionale modulo unilaterale provvedimentale ma che condividono, con quest’ultimo, il perseguimento dell’interesse pubblico) di esercizio della potestà pubblica che sostituiscono la sequenza procedimentale destinata a sfociare nell’accordo alla pluralità di procedimenti condotti in modo autonomo dalle diverse Amministrazioni (T.A.R. Lombardia, Sez. II, 14 gennaio 2009, n. 90). In definitiva, con questo modello convenzionale l’Amministrazione esercita una funzione pubblica (C.d.S., Sez. V, 16 marzo 2016, n. 1053) ed in tal modo viene assicurata l’azione integrata e coordinata dell’esercizio di funzioni proprie delle amministrazioni in vista del conseguimento di un risultato comune (Cass. civ., Sez. un., ord. 13 luglio 2006, n. 15893).
Riconosciuta la connotazione pubblicistica agli accordi tra PP.AA. ex art. 15 l. 7 agosto 1990, n. 241 ed ex art. 30 t.u.e.l., ne consegue, come ineludibile corollario, che l’Amministrazione possa sempre recedere dall’accordo in quanto tale potere è espressione “del principio di inesauribilità del potere pubblico, che caratterizza l’esercizio delle funzioni pubbliche” (C.d.S., Sez. VI, 29 luglio 2008, n. 3786). Il potere di recedere (nel pubblico interesse) dagli accordi amministrativi, non rappresenta altro se non la particolare configurazione che la potestà di revoca assume quando il potere amministrativo è stato esercitato mediante un accordo iniziale anziché in forma unilaterale (T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, sent. 20 dicembre 2014, n. 3141). Il provvedimento che sia espressione di un tale potere di recesso va adeguatamente motivato, tenendo conto delle circostanze avvenute e delle esigenze di spesa (C.d.S., Sez. IV, sent. 4 giugno 2014, n. 2859) e mediante l’indicazione del processo valutativo degli interessi su cui si va ad incidere (C.d.S., Sez. V, 22 marzo 2016, n. 1172). Il potere di recesso dagli accordi tra amministrazioni non discende dall’art. 11, comma 4, della l. n. 241/1990, che prevede l’indennizzo in caso di recesso legittimo dell’amministrazione dall’accordo, ma direttamente dal principio generale della “inesauribilità del potere pubblico”, di talché nel caso di accordo stipulato tra più PP.AA. e di recesso di una delle Amministrazioni, non spetta alle altre PP.AA. alcun indennizzo per eventuali pregiudizi subiti a seguito del recesso (T.A.R. Piemonte, Sez. I, sent. 23 aprile 2019, n. 463), con conseguente inapplicabilità anche dell’ultimo periodo dell’art. 21-quinquies, comma 1, della l. n. 241/1990.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Recesso dall’Unione e riassorbimento del personale in capo al Comune

Con deliberazione n. 118/2020, la Corte dei conti, Sez. Emilia-Romagna, fornisce importanti indicazioni in merito al riassorbimento del personale assunto dall’Unione (costituita ai sensi dell’art. 32 del TUEL), in caso di recesso da parte del Comune partecipante. La Sezione – nel richiamare i principi generali che disciplinano l’organizzazione degli enti pubblici, da contemperare con le norme che, nel corso degli anni, hanno introdotto vincoli finanziari in materia di gestione del personale – ha evidenziato che in caso di recesso dall’Unione, i dipendenti dell’Unione possono essere reinquadrati negli Enti di appartenenza a condizione che questi ultimi, a seguito della costituzione dell’Unione, abbiano mantenuto i posti in organico e non li abbiano coperti con nuove assunzioni, ovvero abbiano ridotto la dotazione organica in misura corrispondente al numero dei dipendenti transitati nell’Unione. In altri termini, il ricorso all’Unione per l’esercizio associato di funzioni e servizi non deve mai essere un mezzo per aumentare gli spazi assunzionali degli Enti locali né nella fase della sua costituzione né tantomeno in quella del suo scioglimento, anche nei confronti di uno solo dei partecipanti attraverso il recesso, ma deve piuttosto rappresentare una modalità organizzativa finalizzata ad assicurare, a regime, progressivi risparmi di spesa in materia di personale, come prescritto dall’art. 32, comma 5, del TUEL.
Il rientro in organico al Comune dei dipendenti assunti dall’Unione in sostituzione del personale cessato e originariamente trasferito dal Comune non è assimilabile ad una nuova assunzione e, pertanto, non soggiace, stante l’effetto finanziariamente neutrale sul contenimento della spesa di personale, alle specifiche limitazioni stabilite dalla disciplina finanziaria.
In linea di principio, i Comuni che hanno costituito l’Unione devono considerare, nella loro spesa di personale, la quota di loro competenza sostenuta dall’Unione, cosicché in caso di recesso e, per l’effetto, di riassorbimento dei dipendenti da parte dell’Ente locale non dovrebbe porsi alcun problema di osservanza dei vincoli di spesa, dovendo quest’ultima essere già sta conteggiata in via continuativa da ciascun Comune. Il recesso da parte di uno o più Comuni o lo scioglimento dell’Unione nella misura in cui consente al Comune di riappropriarsi delle funzioni comporta che tutto il personale di cui l’Unione ha potuto disporre per la gestione in forma associata delle funzioni e dei servizi comunali debba ragionevolmente poter rientrare nella dotazione organica dell’Ente locale recedente, in considerazione dell’invarianza finanziaria che qualifica il rientro del personale dall’Unione al Comune di origine secondo lo spazio assunzionale ad esso imputabile. Pertanto, il ritrasferimento al Comune – per recesso dall’Unione o per scioglimento di quest’ultima – delle funzioni attribuite all’Unione non può che determinare la possibilità di riassorbire il personale originariamente trasferito, così come quello assunto dall’Unione esercitando le capacità assunzionali del Comune. Si tratta, infatti, di spazi o capacità assunzionali connessi alle funzioni trasferite all’Unione e che, a seguito dell’uscita del Comune da quest’ultima, non potrebbero permanere in capo all’Unione perché non svolge più la funzione conferitale dal Comune. Tale ritrasferimento non, però, determinare un incremento della suddetta spesa rispetto a quella risultante dalla somma della spesa sostenuta per il personale in servizio presso il Comune e quella relativa alla quota di spesa per il personale in servizio presso l’Unione e gravante sul primo.
In definitiva, mentre nell’ipotesi di costituzione dell’Unione la spesa del personale ad essa transitato per mobilità continua ad essere ugualmente inclusa all’interno dei bilanci degli Enti aderenti, nella contraria ipotesi di scioglimento dell’Unione, o di recesso di uno dei Comuni aderenti, il rientro di tale personale non può mutare in aumento il computo complessivo della spesa di personale. In sintesi, il principio dell’invarianza finanziaria deve governare gli spazi assunzionali degli Enti costituiti in Unione, segnatamente in caso di recesso di un Ente o di scioglimento dell’Unione, con la conseguenza che non può mai determinarsi una variazione in aumento della spesa di personale a garanzia del rispetto dei vincoli posti dalle norme di coordinamento della finanza pubblica in tale materia.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Legittima la facoltà di recesso unilaterale dall’accordo convenzionale con altri enti

È da ritenersi legittima la facoltà riconosciuta ad una pubblica amministrazione di recedere, in via unilaterale, dall’accordo sottoscritto con altre amministrazioni, sia che la predetta facoltà sia stata espressamente pattuita nell’accordo, sia che l’accordo nulla preveda a tal proposito. È questo il principio affermato dal TAR Veneto, Sez. I, con sentenza n.841/2020 del 22 settembre 2020, conformandosi all’orientamento della magistratura amministrativa. La fattispecie sottoposta all’esame dei giudici riguarda il ricorso presentato dai comuni aderenti alla convenzione, per la gestione associata del servizio di polizia locale, che lamentano la violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per difetto di motivazione e carenza di presupposti, contestando la fondatezza del provvedimento del comune capofila di recesso unilaterale dalla convenzione. Dalla convenzione stipulata, si evince che gli enti abbiano liberamente e consapevolmente fissato apposite regole per l’esercizio del recesso non subordinandolo a particolari oneri o obblighi di motivazione.
Sull’ammissibilità dell’esercizio del diritto di recesso e della sussistenza o meno di un obbligo di motivazione e di corresponsione di un indennizzo nei casi in cui la convenzione nulla abbia previsto, i giudici hanno evidenziato che, anche in queste ipotesi (diverse dalla fattispecie in esame,  caratterizzata dalla presenza di una clausola espressa che ammette il recesso senza subordinarlo a condizioni o adempimenti particolari), la giurisprudenza è giunta alla conclusione che “il potere di recedere nel pubblico interesse dagli accordi amministrativi, non rappresenta altro se non la particolare configurazione che la potestà di revoca assume quando il potere amministrativo è stato esercitato mediante un accordo iniziale anziché in forma unilaterale” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 12 settembre 2017, n. 4304; Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 luglio 2013, n. 3861). Sebbene l’art. 15, secondo comma, della L. n. 241 del 1990 non richiami in modo espresso, fra le disposizioni applicabili anche agli accordi fra amministrazioni pubbliche, il quarto comma dell’art. 11 della stessa legge nondimeno è da ritenersi che l’effettiva sussistenza di tale potere di recesso emerga quale corollario del principio di inesauribilità del potere pubblico, che caratterizza l’esercizio delle funzioni pubbliche” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 novembre 2011, n. 6162; Tar Puglia, Lecce, Sez. II, 20 dicembre 2014, n. 3141)”. Deve dunque ritenersi legittima la facoltà riconosciuta ad una pubblica amministrazione di recedere in via unilaterale dall’accordo sottoscritto con altre amministrazioni, sia che la predetta facoltà sia stata espressamente pattuita nell’accordo, come avvenuto nel caso di specie, sia che l’accordo nulla preveda a tal proposito” (cfr. Tar Piemonte, Sez. I, 16 maggio 2019, n. 600). Osservano infine i giudici che nel caso in esame il Comune capofila, abbia adottato un’ampia ed articolata motivazione in ordine alle ragioni che sorreggono la propria scelta di recedere, non sindacabile in sede di legittimità senza impingere nel merito delle valutazioni riservate all’Amministrazione.

Autore: La redazione PERK SOLUTION