Corte dei conti, contabilizzazione proventi derivanti dalla cessione dei certificati di crediti CO2

La Corte dei conti, Sez. Marche, con deliberazione n. 32/2022, ha fornito il proprio parere in merito alla contabilizzazione dei proventi derivanti dalla cessione dei certificati di crediti CO2. Nel caso di specie, il comune istante rappresenta di gestire “in economia” il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Nel 2019 l’Ente ha deliberato l’attivazione sul territorio della metodologia certificata Carbon WastePrint, finalizzata a stimolare l’adozione di comportamenti virtuosi da parte degli utenti, capaci di contribuire alla riduzione della mole dei rifiuti da smaltire e di misurare la conseguente riduzione dei quantitativi di CO2 immessi nell’atmosfera. Il rilascio di tale certificazione favorevole fa annualmente maturare in capo all’ente, o altro operatore economico, un diritto ad immettere in atmosfera quantitativi di CO2 (anidride carbonica), incorporato in apposito certificato liberamente cedibile, dietro corrispettivo, in favore di altri operatori economici.
La Sezione ritiene condivisibile la soluzione prospettata dal Comune, ovvero poter qualificare i proventi in questioni come entrate correnti, ricordando che né il diritto internazionale, né il diritto nazionale o eurounitario hanno mai compiutamente delineato la natura ed il regime giuridico dei diritti (o quote) di emissione (l’art. 3, comma 1, lett. ss], D.Lgs. 47/2020 si limita a definirle come “diritto di emettere” gas serra, senza ulteriori precisazioni). Il diritto (o quota) di emissione di gas serra si presenta come diritto assoluto (non reale, ma comunque lato sensu dominicale), in quanto azionabile nei confronti non di uno specifico creditore, ma nei confronti di chiunque (erga omnes): l’interesse giuridico del suo titolare si autorealizza per effetto del semplice esercizio del comportamento autorizzato (il rilascio in atmosfera di un certo quantitativo di gas serra) in assenza di indebite ingerenze altrui.
La cessione di tale diritto si contabilizza non tra le entrate in conto capitale, bensì tra quelle extratributarie di parte corrente, ed in particolare alla voce E.3.01.01.01.999 (“Proventi da vendita di beni n.a.c.”) del piano dei conti integrato finanziario di cui all’All. 6 al D.Lgs. 118/2011 e s.m.i. In tal senso, un’utile indicazione interpretativa è ricavabile anche dalla contabilità economico-patrimoniale, dove il principio contabile OIC n. 8 (pubblicato nel febbraio 2013) annovera i diritti o quote di emissione di gas ad effetto serra non tra le immobilizzazioni immateriali (come inizialmente ipotizzato dal principio contabile IFRIC n. 3, varato nel maggio 2005 ma poi subito ritirato nel giugno successivo), bensì (dopo la sopraggiunta abolizione dei conti d’ordine, ad opera del D.Lgs. n. 139/2015) nell’attivo circolante, ed in particolare tra le materie prime, laddove detenuti da operatori economici gerenti impianti inquinanti, e tra le rimanenze di magazzino, laddove acquistati da intermediari finanziari. Tali proventi possono essere utilizzati per finanziare riduzioni o agevolazioni facoltative della tariffa TARI, ed in particolare quelle di cui all’art 1, comma 659, lett. e-bis), L. n. 147/2013, riconoscibili in favore dei contribuenti “virtuosi”, ossia di quelle utenze che nel corso dell’anno abbiano fatto registrare una produzione di rifiuti inferiore ad un certo quantitativo. Compete all’ente valutare che le entrate ottenute dai proventi derivanti dall’alienazione dei suddetti certificati o quote di emissione di gas serra abbiano natura ricorrente ovvero non ricorrente e, di conseguenza, verificare se ed entro quali limiti (anche alla luce delle oscillazioni cui il prezzo di mercato di tali quote o diritti di emissioni potrebbe essere esposto) presentino un tasso di stabilità sufficiente a renderle utilizzabili per il finanziamento di agevolazioni tariffarie di carattere ricorrente o continuativo.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION