La messa in liquidazione della società partecipata deve essere esternata con motivazione nel piano di razionalizzazione

La scelta del Comune di procedere alla messa in liquidazione di una società partecipata a seguito della ricognizione ai sensi dell’art. 20, d.lgs. n. 175 del 2016 deve essere esternata con motivazione da inserire nella relazione tecnica per dare conto delle ragioni dell’ipotesi ritenuta sussistente (nel caso di specie art. 20 comma 2 lett. b) e del modello scelto (messa in liquidazione) per affrontarla. È quanto ribadito dal Tar Catania, sez. I, sentenza 4 aprile 2022, n. 964.
La Sezione ha ricordato che dall’art. 20, d.lgs. n. 175 del 2016 emerge, da una parte, l’obbligatorietà della revisione periodica delle partecipazioni pubbliche (“I piani di razionalizzazione…sono adottati ove…”) e, dall’altra, la necessità di una motivazione da parte degli enti circa le misure adottate; in altri termini, la ricognizione annuale, incentrata sulla valutazione della ricorrenza dei parametri elencati nell’art. 20 TUSP, costituisce adempimento obbligatorio, mentre gli esiti possono essere vari e sono rimessi alla discrezionalità delle amministrazioni partecipanti, le quali sono tenute a motivare espressamente sulla scelta effettuata, la quale può consistere sia nel mantenimento della partecipazione senza interventi sia in una misura di razionalizzazione, il cui contenuto, a sua volta, può consistere in un “piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione”.
Consegue che la scelta del Comune di procedere alla messa in liquidazione di una società partecipata a seguito della ricognizione ai sensi dell’art. 20, d.lgs. n. 175 del 2016 deve essere esternata con motivazione da inserire nella relazione tecnica per dare conto delle ragioni dell’ipotesi ritenuta sussistente (nel caso di specie art. 20, comma 2, lett. b), e del modello scelto (messa in liquidazione) per affrontarla.
Tale adempimento (ossia la relazione tecnica e nel caso di specie il suo adeguamento a seguito dell’emendamento) viene previsto dall’art. 20 cit. come corredo necessario del piano di razionalizzazione (“[i] piani di razionalizzazione, corredati di un’apposita relazione tecnica”) ed “è funzionale a consentire la ricostruzione dell’iter logico-giuridico seguito dall’amministrazione”.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Sanzione per mancata adozione del piano di razionalizzazione delle partecipazioni societarie pubbliche

La Corte dei conti, Sez. Giurisdizionale per la Liguria, con la sentenza n. 188/2021, ha condannato gli amministratori di un Comune per la mancata adozione del piano di razionalizzazione delle partecipate. La Sezione ha ricordato come la disposizione di cui all’art. 20, c.7, del d.lgs. n. 175 del 2016 – a mente del quale la mancata adozione da parte degli enti locali dei piani di razionalizzazione periodica delle partecipazioni societarie detenute comporta la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da un minimo di euro 5.000 a un massimo di euro 500.000, salvo il danno eventualmente rilevato in sede di giudizio amministrativo contabile, comminata dalla competente sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti – debba essere letta in connessione sistematica con le norme recate dal TUEL, in ordine alle competenze degli organi, di governo e burocratici, del Comune.
L’art. 20, c. 7, del d.lgs. n. 175 del 2016 costituisce uno dei punti di emersione dei giudizi di responsabilità sanzionatoria che, notevolmente aumentati nella più recente legislazione, tendono a costituire un sistema sanzionatorio contabile, a carattere eminentemente punitivo, a tutela delle risorse pubbliche, sistema che si affianca al consolidato paradigma della responsabilità amministrativa. Si tratta di fattispecie eterogenee che, in quanto prescindono dalla indefettibile esistenza di un danno pubblico, vanno tenute nettamente distinte dalle ordinarie figure di responsabilità amministrativa-contabile “per danno” di tipo risarcitorio (Corte conti, ss.rr., n. 12/2007).
Quella in esame si presenta quale fattispecie “puramente sanzionatoria”, in quanto la norma di legge non si limita a prevedere genericamente la responsabilità come conseguenza di determinati comportamenti, ma provvede a fissare la tipologia della punizione, i.e., la precisa entità del pagamento dovuto, fissato tra un minimo e un massimo (Corte conti, ss.rr., n. 12/2011).
L’art. 20 presidia, con la previsione della sanzione, un adempimento amministrativo volto alla razionalizzazione della spesa pubblica e dunque persegue un interesse che normalmente non è tutelato dal diritto penale. Quanto alla severità della sanzione, seppur è vero che essa può arrivare al massimo edittale di euro 500 mila, resta insuperabile che tale limite appare proporzionato alle condotte che coinvolgono enti che detengono partecipazioni significative nel settore delle società pubbliche, notoriamente caratterizzato, nelle sue massime estensioni, dall’impiego di ingentissime risorse pubbliche.
In ordine all’individuazione del soggetto destinatario della sanzione, in generale, vige il principio di personalità delle sanzioni amministrative (art. 3 legge n. 689/1981) di guisa che può essere responsabile di una violazione amministrativa solo la persona fisica a cui è riferibile l’azione materiale o l’omissione che integra la violazione (Cass., I, n. 5212/1989; Id., n. 177/1999). La disposizione recata dall’art. 20 del d.lgs. n. 175/2016 deve pertanto essere collocata in siffatto sistema normativo, nel senso che la sanzione dalla stessa disposizione prevista deve necessariamente essere riferita ad una persona fisica.