Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, in materia di tassa sui rifiuti, il tributo «è dovuto unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie ad abitazioni» (Sez. 5, sentenza n. 3772 del 15/02/2013, Rv. 625621 – 01), in quanto la detenzione o la occupazione di locali e aree scoperte comporta una «presunzione iuris tantum di produzione di rifiuti», alla quale, se non superata, consegue la soggezione al tributo (Sez. 5, sentenza n. 19459 del 18/12/2003, Rv. 569065 – 01; Sez. 5, sentenza n. 15083 del 05/08/2004, Rv. 575233 – 01; Sez. 6-5, ordinanza n. 19469 del 15/09/2014, Rv. 632445 – 01; Sez. 6-5, ordinanza n. 17622 del 05/09/2016, Rv. 640781 – 01; Sez. 6-5, ordinanza n. 9790 del 19/04/2018, Rv. 647738 – 01).
Da tanto consegue che «sia le deroghe alla tassazione indicate dal secondo comma del medesimo art. 62, sia le riduzioni delle tariffe stabilite dal successivo art. 66 non operano in via automatica, in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo, invece, i relativi presupposti essere di volta in volta dedotti nella denunzia originaria o in quella di variazione» (Sez. 5, Sentenza n. 3772 del 15/02/2013, Rv. 625621 – 01). Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, nella sentenza 12 giugno 2020, n. 11336.