Nomina del Responsabile Anticorruzione: Le indicazioni di Anac

Il responsabile anticorruzione (RPCT) di un ente va individuato tra i dirigenti di ruolo in servizio, disponendo eventuali modifiche organizzative necessarie per assicurare funzioni e poteri idonei per lo svolgimento dell’incarico con piena autonomia ed effettività. E’ quanto ha ribadito Anac con Atto del Presidente del 20 marzo 2024, rispondendo a richiesta di Parere di una società di servizi idrici integrati.

È opportuno – scrive l’Autorità – che l’incarico di RPCT sia attribuito ad un soggetto che abbia adeguata conoscenza dell’organizzazione e del funzionamento dell’amministrazione, sia dotato della necessaria autonomia valutativa e non si trovi in situazioni di conflitto di interessi. Tale ruolo, pertanto, non dovrebbe essere conferito a soggetti assegnati ad uffici che svolgano attività di gestione e di amministrazione attiva nonché assegnati a settori che sono considerati più esposti a rischio corruttivo.

È possibile nominare un dirigente esterno quale RPCT; trattasi di ipotesi eccezione, che necessita di una motivazione puntuale, anche in ordine all’assenza di soggetti aventi i requisiti previsti dalla legge. Qualora – aggiunge Anac – in ragione delle ridotte dimensioni di tali enti e degli organici estremamente ridotti, le figure che avrebbero le competenze per ricoprire tale incarico sono assenti o si trovano in una posizione di conflitto di interesse, essendo impegnate in settori esposti a rischio corruttivo, l’incarico, a titolo esemplificativo,  può essere affidato a titolari di posizioni organizzative o comunque a profili non dirigenziali che garantiscano comunque le competenze adeguate e la posizione di autonomia e indipendenza richiesta dalla legge. In tale ipotesi, l’organo di indirizzo è chiamato a svolgere una vigilanza stringente sulle attività del soggetto incaricato. In circostanze eccezionali, si ritiene inoltre possibile attribuire il ruolo di RPCT anche all’Amministratore di una società, ma alla sola condizione che non abbia deleghe gestionali.

 

La redazione PERK SOLUTION

Il revisore sottoposto a giudizio penale può essere nominato dall’ente

Il revisore sottoposto a giudizio penale mantiene l’iscrizione nell’Elenco fino a quando permangono le condizioni relative all’iscrizione all’ODCEC e/o al Registro dei revisori legali e, di conseguenza, può essere nominato dall’ente. È questa la risposta fornita dal Ministero dell’interno ad una richiesta di parere di una Prefettura che ha chiesto indicazioni in merito alla permanenza dei requisiti per la nomina in costanza di un procedimento penale a carico di un revisore sorteggiato per la nomina in un comune.

Il ministero rammenta che le ipotesi d’incompatibilità e d’ineleggibilità alla carica di revisore degli enti locali, elencate all’articolo 236 del Tuel (valgono per i revisori le ipotesi di incompatibilità di cui al primo comma dell’articolo 2399 del codice civile, intendendosi per amministratori i componenti dell’organo esecutivo dell’ente locale) sono tipiche e nominate e quindi non possono essere derogate, né estese per analogia ad altri casi non espressamente individuati nella legge.

Il decreto legislativo 28 giugno 2005, n.139, che disciplina l’Albo dei dottori commercialisti ed esperti contabili, all’articolo 50, comma 10, prevede che il professionista che sia sottoposto a giudizio penale è sottoposto anche a procedimento disciplinare per il fatto che ha formato oggetto dell’imputazione, tranne ove sia intervenuta sentenza di proscioglimento perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso. Per i revisori legali il decreto legislativo 27 gennaio 2010, n.39, all’articolo 24-bis prevede che il Ministero dell’economia e delle finanze possa disporre, in relazione alla gravità del fatto, una sospensione cautelare del revisore per un periodo non superiore a cinque anni, detta sospensione cautelare dal Registro è comunque disposta nei casi di applicazione da parte dell’Autorità giudiziaria di misure cautelari personali o di convalida dell’arresto o del fermo, ovvero di condanne, anche non definitive, che comportino l’applicazione di una misura di sicurezza detentiva o della libertà vigilata. Tutto ciò premesso, visto che la sentenza non è ancora stata depositata e considerato che il revisore risulta regolarmente iscritto all’ODCEC, non si ravvisano per il ministero elementi ostativi alla nomina da parte del Comune.

 

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Nulla la nomina del dirigente dopo una condanna in primo grado

L’incarico di Dirigente generale del Dipartimento Regionale dell’acqua e dei rifiuti della Regione Siciliana conferito all’ex dirigente della protezione civile regionale deve essere dichiarato nullo in seguito alla condanna del dirigente in primo grado a un anno di reclusione con pena sospesa per omissione di atti d’ufficio. Lo ha stabilito l’Anac in seguito alla richiesta di parere da parte del Responsabile prevenzione della corruzione e trasparenza della Regione Siciliana.

Il Responsabile Anticorruzione ha chiesto all’Autorità se fosse possibile per l’incaricato, nominato dirigente regionale il 19 giugno 2020, continuare a ricoprire l’incarico nonostante la sentenza non definitiva emessa a suo carico dal tribunale l’11 marzo 2022, precisando che la condotta penalmente rilevante è stata realizzata dal dirigente nel ruolo di capo della protezione civile regionale. Veniva inoltre chiesto se la disciplina dell’inconferibilità degli incarichi si applichi anche quando la sentenza sopravvenga nel corso dell’incarico. E con quali conseguenze.

Per Anac l’incarico deve essere considerato nullo ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 39/2013 in quanto inconferibile per effetto della sentenza di condanna emessa dal tribunale: gli incarichi dirigenziali conferiti successivamente all’emissione di una causa di inconferibilità, sottolinea l’Autorità, sono equiparati a quelli precedenti. Al dirigente possono essere affidati solo incarichi che non comportino l’esercizio di poteri di gestione e amministrazione al di fuori delle aree di rischio considerate più sensibili dal legislatore (gestione delle risorse finanziarie, contratti pubblici, concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi o attribuzione di vantaggi economici a soggetti pubblici o privati, incarichi di vigilanza o controllo). Per l’Autorità è necessario quindi che il dipendente ricopra funzioni di studio o ricerca. Inoltre nell’attribuzione di incarichi futuri la Regione dovrà tenere conto del divieto di conferimento di incarichi particolarmente esposti al rischio corruzione non solo ai dirigenti ma anche a chi svolge compiti di segreteria o funzioni direttive.

 

La redazione PERK SOLUTION

Profili di incompatibilità della nomina a revisore di un dipendente del consorzio partecipato dallo stesso ente

Il Ministero dell’Interno, con parere del 28 settembre 2021, risponde ad un quesito di un Comune in merito alla sussistenza di cause ostative circa la nomina a revisore dei conti di un dipendente, a tempo pieno, in qualità di Responsabile finanziario del Consorzio partecipato dal medesimo Comune.
Secondo il Ministero, si potrebbe configurare l’ipotesi di incompatibilità, prevista dall’art. 236, comma 3 del TUEL, trattandosi di contestuale svolgimento da parte del revisore del comune di un incarico presso un organismo, del quale il comune fa parte e che, peraltro, gestisce, anche per conto del comune, l’importante servizio pubblico idrico, di primaria importanza. L’art. 236 stabilisce, infatti, che “valgono per i revisori le ipotesi di incompatibilità di cui al primo comma dell’articolo 2399 del codice civile”, nonché quelle di cui al successivo terzo comma, il quale stabilisce che “i componenti degli organi di revisione contabile non possono assumere incarichi di consulenze presso l’ente locale o presso organismi o istituzioni dipendenti o comunque sottoposti al controllo o vigilanza dello stesso”. Il primo comma, dell’articolo 2399 del codice civile, alla lettera c) dispone che non possono essere eletti alla carica e, se eletti, decadono: “coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza”.
La ratio della norma risiede nell’esigenza di garantire l’indipendenza di colui che è incaricato delle funzioni di controllo, in presenza di situazioni idonee a compromettere tale indipendenza, quando il controllore sia direttamente implicato nell’attività sulla quale dovrebbe, in seguito, esercitare dette funzioni di controllo. Del resto, occorre tenere nella dovuta considerazione alcune recenti modifiche normative che hanno attribuito all’Organo di revisione dell’ente nuovi compiti di verifica e controllo, il cui assolvimento richiede la necessaria condizione di indipendenza e di terzietà del revisore.
Pertanto, tale ipotesi, dovrà essere vagliata dallo stesso Comune al fine di valutare eventuali situazioni concrete, se non di incompatibilità, di inopportunità della nomina del revisore, mediante la valutazione delle varie funzioni pubbliche ed attività amministrative svolte dal Comune nell’ambito consortile. Il revisore dei conti, al fine di garantire l’autonomia di giudizio e l’indipendenza della sua attività, dovrebbe evitare tutte le ipotesi in cui potrebbe confliggere il ruolo di controllore con quello di controllato.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Ministero Interno, il revisore declassato può proseguire l’incarico in corso

Il revisore sorteggiato in un ente di fascia 2 o 3 può essere nominato e può proseguire l’incarico in corso, anche a seguito del successivo eventuale declassamento per errore nell’indicazione dei dati relativi agli incarichi dichiarati. È la risposta fornita dal Ministero dell’Interno ad una richiesta di parere in merito alla procedura di nomina del collegio dei revisori. Nel caso di specie, è emerso che  l’ente, nelle proprie procedure di verifica propedeutiche alla nomina del nuovo collegio, ha rilevato un’incongruenza relativamente al secondo estratto circa gli incarichi pregressi dichiarati dallo stesso in sede di domanda di iscrizione ai fini dell’inserimento nelle tre fasce dell’elenco. Infatti, il dottor XXX, in sede di domanda di iscrizione all’elenco dei revisori per l’anno 2021, ha autocertificato lo svolgimento di due trienni presso il comune di YYY dal 2006 al 2012, mentre, come attestato dallo stesso al comune e confermato dal comune di YYY, l’incarico si è svolto dal 2003 al 2009. Con avviso approvato con decreto ministeriale 23 ottobre 2020, è stata avviata la procedura per l’iscrizione nell’Elenco dei revisori dei conti degli enti locali con la compilazione da parte degli interessati di apposito modello telematico contenente i dati anagrafici e la dichiarazione del possesso dei prescritti requisiti. Le predette dichiarazioni, rese sotto la responsabilità del richiedente ai sensi degli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.445, sono soggette al controllo ai sensi dell’articolo 71 del medesimo decreto.
Il Ministero evidenzia come il controllo sul requisito relativo agli incarichi, a differenza degli altri dati, non avviene a tappeto in quanto è più complesso essendo subordinato alla risposta degli enti indicati dai revisori; nello specifico, nonostante i solleciti, il comune di YYY non ha mai dato riscontro alla richieste inoltrate. Nell’avviso approvato con decreto ministeriale del 23 ottobre 2020, è precisato che: “Nel caso in cui l’iscritto abbia svolto l’incarico di revisore presso un ente locale per la durata di un triennio ma abbia autocertificato un periodo che si discosta di oltre un anno da quello effettivo o abbia digitato un altro ente, si procederà al declassamento alla fascia inferiore. Detto declassamento non comporta la cessazione degli incarichi in corso anche presso gli enti della fascia eliminata”. Da una verifica nella  banca dati risulta che il dottor XXX, iscritto nell’elenco dei revisori da 9 anni, fino all’elenco in vigore dal primo gennaio 2019 aveva indicato i trienni esatti. Solo dal 2020 ha inserito un triennio successivo compiendo un evidente errore materiale non certamente sotteso ad avere un beneficio non spettante. Come si evince dall’inciso riportato nell’avviso “Detto declassamento non comporta la cessazione degli incarichi in corso anche presso gli enti della fascia eliminata”, il declassamento vuole essere una sanzione per il revisore per la mancanza di attenzione e precisione nell’indicazione dei propri dati ma ciò non mette in discussione il possesso del requisito richiesto per l’inserimento nelle fasce superiori. Ne consegue che il dottor XXX può essere nominato nel collegio dei revisori e, anche a seguito del successivo declassamento, potrà continuare l’incarico.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

 

Non può accettare l’incarico il revisore che al momento dell’estrazione non è più residente nella regione

Il Revisore non può accettare l’incarico se al momento dell’estrazione a sorte non è più residente nella regione nel cui elenco era stato originariamente inserito, ma si dovrà procedere con la prima riserva estratta per la nomina del revisore dell’ente locale. È quanto chiarito dal Ministero dell’Interno in risposta ad un quesito posto dalla Prefettura. Nel caso di specie è emerso che il revisore, prima dell’estrazione, ha cambiato residenza in un’altra regione (senza comunicarlo al Ministero) e che, a seguito dell’estrazione, avrebbe manifestato l’intenzione di accettare l’incarico e di cambiare nuovamente residenza nella regione. Il Ministero chiarisce che il revisore al momento della modifica della propria residenza avrebbe dovuto contestualmente comunicare  il cambio di residenza. Infatti, l’articolo 7 del regolamento per la formazione e la gestione dell’elenco dei revisori degli enti locali, di cui al DM n.23 del 2012 , stabilisce le modalità ed i termini per la richiesta di inserimento nell’elenco, ove al comma 2, si specifica che nella domanda di iscrizione si fa riferimento alla regione di residenza e alle province per le quali si manifesta l’indisponibilità alla scelta. Di talché, risulta evidente che l’elemento dell’iscrizione ad una regione piuttosto che ad un’altra è fondamentale ai fini del sorteggio. In altri termini, il revisore non può accettare l’incarico in quanto al momento dell’estrazione a sorte non era residente nella regione; di conseguenza non sarebbe stato estratto se avesse comunicato tempestivamente il cambio di residenza.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Spetta al Consiglio la nomina del Presidente del Collegio dei revisori

L’articolo 57 ter, del Decreto Legge n.124 del 2019, attribuisce la facoltà di scelta del presidente del collegio dei revisori esclusivamente all’organo consiliare dell’ente locale anche nella situazione di dimissioni del presidente in carica e di consensuale scambio dei ruoli con altro componente. È quanto precisato dal Ministero dell’Interno – Dipartimento degli Affari Interni e Territoriali – in risposta ad una richiesta di parere in merito al possibile avvicendamento, richiesto dal presidente del collegio dei revisori con altro componente del collegio, nell’incarico medesimo. Nel caso specifico, il presidente in carica ha manifestato l’intenzione di dimettersi per motivi personali e di salute e di scambiare il suo ruolo con altro componente del collegio.
Nel merito, il Ministero rammenta che sulla materia è intervenuta la normativa di cui dalla lettera b) dell’articolo 57 ter, del D.L. n. 124/2019, convertito con la legge 19 dicembre 2019, n.157, (in vigore dal 25 dicembre 2019), che ha modificato la previgente disposizione normativa dell’articolo 16, comma 25, del D.L. n. 138/2011, aggiungendo il comma 25 bis. Tale comma prevede che, negli organi di revisione in composizione collegiale, la scelta del componente con funzioni di presidente spetti al consiglio dell’ente. La facoltà di scelta del componente con funzioni di presidente è rimessa esclusivamente all’organo consiliare dell’ente locale anche, come nel caso in esame, nella situazione di dimissioni del presidente in carica e di consensuale scambio dei ruoli con altro componente. Pertanto, è necessario che il consiglio dell’ente locale deliberi formalmente, manifestando la volontà di scelta del nuovo presidente, previa verifica dei requisiti richiesti in capo al revisore individuato che, dovrà essere iscritto all’elenco 2021 e tra i soggetti inseriti nella fascia 3, formata ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministero dell’Interno n.23 del 2012. In conclusione, risulta imprescindibile il momento della previa valutazione, nella scelta del revisore da incaricare come presidente del collegio, dei requisiti summenzionati, prima della deliberazione di scelta del nuovo presidente.

 

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Nomina dell’organo di revisione negli enti pubblici assimilabili alle Unioni di comuni

Gli enti pubblici istituiti con apposite leggi regionali, anche se non hanno la denominazione di Unioni di comuni, laddove presentino i caratteri di autonomia normativa, organizzativa, contabile e di bilancio, sono enti locali cui si applica, in materia di nomina dei revisori degli enti locali, la normativa di cui all’articolo 16, comma 25, del Decreto Legge n.138 del 2011. È questa la risposta del Ministero dell’Interno ad una richiesta di parere in merito alle modalità di nomina dell’organo di revisione di un ente pubblico istituito in base a Legge regionale avente “forma speciale di cooperazione, finalizzata all’esercizio associato di funzioni comunali ed al decentramento provinciale”. Nel caso di specie, l’ente pubblico ha personalità giuridica, dotato di autonomia organizzativa e funzionale, di autonomia normativa in relazione alle funzioni ad esso conferite, di autonomia contabile e di bilancio nell’ambito delle risorse ad esso attribuite dai Comuni, dalla Provincia e dalla Regione”. Secondo la Legge Regionale l’ente in questione è assimilabile – relativamente alla disciplina dell’incentivazione al riordino territoriale – ad un’Unione di comuni, al quale si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni sull’ordinamento degli enti locali. Tale ente si pone a tutela di una particolare area della Provincia il cui ambito territoriale (che ricomprende 10 Comuni) è individuato espressamente dalla Legge Regionale. Successivamente, la legislazione regionale relativa alla promozione dei percorsi associativi (Unioni e Fusioni di Comuni – cfr articolo 1, comma 2, della Legge Regionale n.15 del 2016) e alla disciplina dell’incentivazione in materia di riordino territoriale (Unioni – cfr articolo 24, comma 1, della Legge Regionale n.21 del 2012) ha “equiparato l’ente ad una Unione Montana”. Pertanto, essendo l’ente assimilabile ad un’unione di comuni anche in ragione della sua autonomia normativa, organizzativa, contabile e di bilancio, è da ritenersi applicabile, la normativa nazionale di cui all’articolo 16, comma 25 del Decreto Legge n.138 del 2011 in materia di nomina dei revisori degli enti locali.

 

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Nessun obbligo di indicazione dei criteri di competenza e trasparenza in caso di commissari interni

Con la sentenza n. 4103/2020, il TAR Campania, Sez. V, ha ribadito che non sussiste l’obbligo di definire, previamente, i criteri di trasparenza e competenza nel caso in cui i componenti della Commissione di gara siano scelti tra i dipendenti in servizio ovvero tra i funzionari della stazione appaltante. Nella fattispecie in esame, la società ricorrente ha proposto ricorso per l’annullamento degli atti di gara, lamentando l’illegittimità della determinazione dirigenziale con la quale l’ASL ha proceduto all’aggiudicazione della gara per l’affidamento dei Servizi di custodia – portierato ed assistenza pubblica. In particolare, la ricorrente contesta l’illegittima composizione della Commissione di gara, sotto il profilo della mancata previa individuazione dei criteri e delle regole di competenza e trasparenza nella nomina dei commissari (individuati invece tutti all’interno dell’Ente). I giudici amministrativi osservano che il complesso apparato normativo costituito dall’art. 77, comma 3, del D.Lgs. n. 50/2016 è stato, indubbiamente, fortemente compromesso dall’intervenuto differimento dell’entrata in vigore dell’Albo dei commissari di gara presso l’ANAC, che, mediante il filtro costituito dall’iscrizione, avrebbe determinato la tendenziale separatezza tra gli organi deputati alla gestione delle gare d’appalto e le stazioni appaltanti, salva la possibilità di nominare “alcuni componenti interni alla stazione appaltante, nel rispetto del principio di rotazione, escluso il Presidente” (si ricorda che l’art. 8, comma 7 del D.L. 76/2020, decreto Semplificazioni, proroga al 31 dicembre 2021 il termine di sospensione dell’applicazione di talune norme del codice dei contratti pubblici concernenti, rispettivamente, il divieto di c.d. appalto integrato e i criteri di selezione dei componenti delle commissioni per la valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico). L’effetto è una disposizione non compiutamente coordinata, che àncora la scelta dei commissari, come detto, solo a “regole di competenza e trasparenza, preventivamente individuate da ciascuna stazione appaltante”. Secondo il Collegio, tuttavia, la stazione appaltante non sarebbe tenuta alla previa predisposizione dei criteri di trasparenza e competenza nel caso in cui i commissari siano individuati tra gli “interni” dell’Amministrazione, fermo il principio di rotazione. L’interpretazione del sistema transitorio, da parte della giurisprudenza, ha sempre richiesto un approccio non formalistico, richiedendosi, piuttosto, la specificazione, in sede di formulazione di motivi di ricorso, dei pretesi profili di assenza di “trasparenza e competenza” – profili che, nel caso di specie, non sono stati, in concreto, nemmeno posti in discussione.  Al riguardo, il Consiglio di Stato, III, sent. n. 4865/2019 aveva già chiarito che la norma codicistica (combinato disposto degli artt. 77 e 78, Codice) non deve essere interpretata letteralmente come necessità di un vero e proprio “regolamento” ma ciò che rileva, sotto il profilo sostanziale, è che la Commissione di gara risulti oggettivamente costituita secondo regole di trasparenza e competenza e che la Stazione appaltante dia adeguato conto, nella determina di nomina, delle motivazioni sottese alla nomina. L’assenza di criteri previamente stabiliti (“sebbene sia preferibile la previa incorporazione delle regole di procedure in un atto fonte della stazione appaltante”) non determina mai, ex se, l’illegittimità della nomina della Commissione, poiché “occorre dimostrare che, in concreto, siano totalmente mancate le condizioni di trasparenza e competenza”. La circostanza che i nominati, nel caso in esame, siano tutti “interni” scolora fortemente il sospetto di mancata “trasparenza” (posto che lo stesso incardimento del nominato nell’Amministrazione che indice la gara evita la scelta non controllata all’esterno) e, quanto alla competenza, impinge sulla stessa scelta discrezionale dell’Amministrazione che si avvale di professionalità proprie e si appiattisce sulla contestazione in se della “incompetenza” dei commissari.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION