Anac: Chi dirige un organismo comunale non può amministrare una partecipata regionale

Il ruolo di direttore di un organismo strumentale di un Comune non è compatibile con quello di amministratore con deleghe gestionali di una società privata in controllo pubblico regionale. Lo precisa il parere anticorruzione, approvato dal Consiglio Anac del 2 aprile 2025, con il quale l’Autorità si è espressa sulla richiesta relativa alla possibilità che il direttore di un centro di servizi sociali in favore delle persone anziane, costituito da un Comune capoluogo regionale del Centro Italia, assuma anche l’incarico di amministratore di una società totalmente partecipata dalla Regione e attiva, nel caso di specie, nella consulenza per la realizzazione di opere pubbliche.

La fattispecie di incompatibilità da considerare (secondo il dettato dell’articolo 12, comma 4, del decreto legislativo n. 39/2013) risulta applicabile all’ipotesi esaminata, spiega il parere, quale che sia la qualificazione attribuibile al centro servizi, ente pubblico o pubblica amministrazione in quanto istituzione riferibile a mera articolazione dell’ente locale che lo ha istituito.

Il ruolo di direttore del centro, poi, rileva per la normativa sulle incompatibilità sia che sia qualificabile come incarico di tipo dirigenziale, con esercizio quindi in via esclusiva di competenze di amministrazione e gestione, sia che sia qualificabile come incarico amministrativo di vertice (venendo comunque in rilievo, in questo secondo caso, la speculare causa di incompatibilità prevista all’articolo 11 dello stesso decreto legislativo n. 39/2013).

Rispetto all’incarico ulteriore previsto di amministratore unico della società partecipata, va considerata la disposizione del decreto legislativo che fa riferimento, per l’incompatibilità, alla carica di componente di organi di indirizzo negli enti di diritto privato in controllo pubblico da parte della Regione: l’Anac, ricorda il parere, ha sempre interpretato tale nozione – a tutela del principio di uguaglianza e a garanzia della razionalità complessiva del sistema – richiamando la definizione di “incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti privati in controllo pubblico” (di cui all’art. 1, co. 2 lett. I), del d.lgs. 39/2013), che si caratterizzano per il possesso di deleghe gestionali dirette.

Per cui, “laddove sia configurabile nel caso di specie un modello di amministrazione tradizionale imputabile ad un unico soggetto (in luogo che ad un CdA), non si dubita che esso sia riconducibile alla prospettata categoria” e l’incarico di amministratore unico della società regionale è da considerare quindi non compatibile con quello ricoperto di direttore del centro servizi comunale per anziani (Fonte Anac).

 

La redazione PERK SOLUTION

Incompatibilità Revisore dei conti, membro CdA Tesoreria comunale

I componenti degli organi di revisione contabile non possono assumere incarichi o consulenze presso organismi o istituzioni comunque sottoposti al controllo o vigilanza dell’ente locale. È questa la risposta del Ministero dell’Interno ad una richiesta di parere in merito alla sussistenza di profili di incompatibilità tra la carica di Presidente del Collegio di revisione dell’ente e la qualifica di membro del Consiglio di Amministrazione pro-tempore e di Presidente del Comitato esecutivo pro-tempore della banca che gestisce il servizio di tesoreria comunale.

Le ipotesi di incompatibilità sono disciplinate all’articolo 236 del TUEL che prevede, tra l’altro, al comma terzo, che i componenti degli organi di revisione contabile non possono assumere incarichi o consulenze presso organismi o istituzioni comunque sottoposti al controllo o vigilanza dell’ente locale. In relazione al divieto di cui all’articolo 236, comma 3, del TUEL emerge l’articolo 223 del citato testo unico, il quale prevede che l’organo di revisione economico-finanziaria dell’ente locale provveda con cadenza trimestrale alla verifica della gestione del servizio di tesoreria.

L’astensione del revisore con riferimento alle specifiche situazioni per le quali potrebbe concretarsi il conflitto di interessi non sembra condizione sufficiente a superare le risultanze del combinato disposto di cui sopra e così a fornire quella garanzia di imparzialità e di terzietà richiesta dalla particolare funzione dell’organo di revisione economico finanziaria. Il Ministero rammenta come la giurisprudenza amministrativa abbia ritenuto legittima la deliberazione del consiglio comunale dichiarativa della decadenza dall’incarico di revisore che rivesta la carica di sindaco effettivo del collegio sindacale della banca cui è affidato il servizio di tesoreria del comune stesso. Ciò sulla base della considerazione che i componenti degli organi di revisione contabile non possono assumere incarichi o consulenze presso organismi o istituzioni comunque sottoposti al controllo o vigilanza dell’ente locale (Tar Abruzzo, l’Aquila, sentenza 375/2006, con riferimento al terzo comma dell’articolo 102 del d.lgs. 25 febbraio 1995, n.77, contenente una disposizione analoga a quella oggi contenuta all’articolo 236 del TUEL).

 

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Corte Costituzionale: affini del Sindaco, con il divorzio niente incompatibilità con la carica di assessore e vicesindaco

Con lo scioglimento del matrimonio da cui deriva un vincolo di affinità con il Sindaco, viene meno l’incompatibilità a ricoprire la carica di componente della giunta e di vicesindaco. Lo ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza n. 107/2024, con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 64, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) nella parte in cui prevede l’incompatibilità per gli affini entro il terzo grado del sindaco, o del presidente della Giunta provinciale, a far parte della relativa Giunta, e a essere nominati rappresentanti del comune o della provincia, ove il rapporto di coniugio dal quale il vincolo di affinità è stato determinato sia cessato.

La questione era stata sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 51 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, Prima sezione civile, che aveva ravvisato la violazione, ad opera della citata norma, del diritto all’elettorato passivo e la irragionevolezza intrinseca di una previsione che, in modo incoerente con il sistema, sortisce l’effetto di consentire l’accesso ad un ufficio pubblico politico all’ex coniuge di un amministratore locale, ma non all’ex affine. Il caso riguardava il coniuge divorziato della sorella del sindaco di un comune, il quale aveva proposto ricorso nei confronti della sentenza della Corte d’appello di Napoli che, in riforma della decisione di primo grado, aveva dichiarato la incompatibilità a partecipare alla giunta municipale e a ricoprire la carica di vicesindaco dell’ex coniuge della sorella del sindaco.

Nella specie, risulta manifestamente irragionevole, secondo la Corte, che, mentre l’ex coniuge del sindaco non è soggetto alle incompatibilità in esame, lo sia l’affine anche dopo che il rapporto di coniugio dal quale il vincolo di affinità è derivato sia cessato, così sganciandosi del tutto la sussistenza della causa di incompatibilità dal rapporto di riferimento. In realtà, la Cassazione aveva censurato l’art. 78, terzo comma, cod.civ. – che stabilisce in via generale l’incidenza sul vincolo di affinità degli eventi della morte del coniuge e della dichiarazione di nullità del matrimonio senza occuparsi degli effetti del divorzio – «implicitamente richiamato dall’art. 64, comma 4, T.U.E.L. ».

La Corte costituzionale, ha ritenuto, invece, per l’«elevato grado di specificità» della disciplina dettata in punto di incompatibilità, di circoscrivere il proprio sindacato all’art. 64 citato, quale specifica declinazione di una regola che non vive se non nei diversi contesti di riferimento. Poiché nelle varie situazioni previste dall’ordinamento lo status di affine può, di volta in volta, produrre effetti di attribuzione o di limitazione di un diritto, cui corrisponde di volta in volta un bilanciamento operato dal legislatore, la Corte costituzionale afferma che le censure sulla legittimità delle norme in contestazione devono essere
portate direttamente alla disciplina specialistica di settore. Ciò posto, il giudice delle leggi ha ritenuto che l’art. 64, comma 4, citato, nella parte in cui prevede l’incompatibilità per gli affini entro il terzo grado del sindaco, o del presidente della Giunta provinciale, a far parte della relativa Giunta, e a essere nominati rappresentanti del comune o della provincia, anche se il rapporto di coniugio dal quale il vincolo di affinità è stato determinato sia cessato, si ponga in contrasto con l’art. 51 Cost., che disciplina il diritto di elettorato passivo, da ricondurre alla sfera dei diritti inviolabili sanciti dall’art. 2 Cost., e in relazione al quale le cause di incompatibilità sono conformi a Costituzione solo nella misura in cui non introducano differenze di trattamento tra categorie  omogenee di soggetti che non siano manifestamente irragionevoli e sproporzionate.

 

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ANAC, inconferibilità e incompatibilità: La legge nazionale prevale su norme regionali e a Statuto speciale

I decreti attuativi della legge Severino, come il n. 39/2013 che disciplina le inconferibilità e le incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni, enti pubblici ed enti privati in controllo pubblico, sono prevalenti rispetto a legge regionali, anche speciali, o delle Province autonome. E’ quanto ha chiarito l’Autorità Nazionale Anticorruzione con Atto del Presidente del 13 settembre 2023. La richiesta di parere era giunta da Comune di Palermo, intenzionato ad applicare le disposizioni proprie regionali in materia di nomine e designazioni di rappresentanti negli organi di amministrazione e controllo degli organismi partecipati, invece della normativa nazionale disposta dai decreti Severino.

Le disposizioni contenute nel d.lgs. 39/2013 – scrive Anac – non sono suscettibili di interpretazione estensiva, in quanto costituiscono l’espressione della scelta discrezionale del legislatore, il quale con esse ha individuato a priori, e indipendentemente dalla concreta realizzazione di un danno per la pubblica amministrazione, fattispecie nelle quali sussiste un potenziale conflitto di interesse e/o nelle quali l’azione del funzionario può mettere a rischio l’immagine di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione stessa.

Gli incarichi e le cariche cui si riferisce il decreto n. 39/2013 sono gli incarichi amministrativi di vertice, gli incarichi dirigenziali interni ed esterni, le cariche di presidente ed amministratore delegato in enti in controllo pubblico, ovvero in enti regolati o finanziati da pubbliche amministrazioni, gli incarichi di direttore generale, amministrativo e sanitario nelle aziende sanitarie. Le disposizioni in tema di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi (d.lgs. n. 39/2013) non si applicano, invece, ai componenti di un organo collegiale di vigilanza e controllo interno sull’attività di un ente, in quanto le suddette disposizioni attengono ad incarichi di livello o di funzione dirigenziale (caso relativo al collegio sindacale di un’azienda sanitaria locale). Infatti, lo svolgimento di funzioni dirigenziali o gestorie costituiscono uno dei presupposti di applicabilità delle fattispecie di inconferibilità/incompatibilità previste dal decreto. Disciplina quest’ultima che non trova dunque applicazione con riferimento ad esempio all’incarico di revisore dei conti.

 

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Anac, Incarico Segretario comunale compatibile con DG azienda servizi municipalizzati

Lo svolgimento dell’incarico di Segretario Generale in una amministrazione comunale non preclude all’assunzione della carica di Direttore Generale, anche temporanea, di una azienda speciale costituita dalla stessa amministrazione per la gestione di numerosi servizi pubblici locali. Lo ha stabilito l’Anac nel parere richiesto dal Comune di Taormina sull’ipotesi di incompatibilità tra il ruolo di segretario comunale e quello di direttore generale dell’azienda servizi municipalizzati (Asm) del comune siciliano.

Le Aziende Speciali degli enti locali sono state qualificate da costante orientamento di Anac come enti pubblici economici e, così come le società in house, possono essere considerate come enti che rappresentano delle vere e proprie articolazioni della Pubblica Amministrazione. La natura giuridica di ente pubblico economico di una Azienda Speciale esclude, quindi, l’incompatibilità prevista dal decreto legislativo 39/2013 che invece richiede che uno degli incarichi che determinano incompatibilità sia assunto in enti di diritto privato regolati o finanziati dall’amministrazione pubblica che conferisce l’incarico. Resta esclusa anche ogni altra ipotesi di incompatibilità non essendo vietato da parte di chi detiene un incarico presso una pubblica amministrazione di assumere contestualmente un incarico presso un ente pubblico economico.

Nel caso di specie, trattasi di una azienda a controllo pubblico (100% del capitale sociale è posseduto dal Comune) costituita per la gestione di numerosi servizi pubblici locali. Tenuto conto della compagine totalmente pubblica, delle funzioni svolte e della gestione di servizi pubblici, quindi, Anac esclude la sussistenza, anche solo potenziale, del rischio che conflitto tra interessi pubblici e privati.

 

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Il componente della commissione giudicatrice non può essere anche collaudatore dell’opera

C’è incompatibilità tra il ruolo di componente della commissione giudicatrice e quello di collaudatore dell’opera. Lo afferma l’Anac in un parere consultivo richiesto da un comune piemontese sulla nomina come collaudatore di un professionista già componente della commissione giudicatrice della gara.

Secondo Anac il legislatore ha voluto preservare nella maniera più ampia possibile l’imparzialità di giudizio nello svolgimento delle operazioni della commissione giudicatrice, prevedendo espressamente che anche dopo la conclusione dell’incarico, i componenti della commissione non possano svolgere alcuna altra funzione nell’ambito del contratto di cui si tratta, analogamente a quanto disposto anche per i collaudatori. Lo svolgimento dell’incarico di collaudo rappresenta certamente lo svolgimento di “un incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta.

L’Anac ricorda anche la norma del codice appalti (articolo 77 comma 4) che oltre a stabilire un regime di incompatibilità tra membro della commissione giudicatrice e soggetto che abbia svolto, prima della gara, incarichi o funzioni tecnico-amministrative relative all’appalto, prevede, per i commissari stessi, un divieto per le attività successive all’espletamento della procedura selettiva, stabilendo espressamente che “non devono aver svolto né possono svolgere alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta”.

 

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Il dipendente pubblico non può assumere incarichi di amministrazione in società di capitali

Il dipendente pubblico non può assumere incarichi di amministrazione in società di capitali. L’articolo 60 del Dpr 3/1957 dispone, infatti, che l’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del Ministro competente. Si tratta di una causa di incompatibilità al cui riscontro consegue una diffida e poi l’eventuale decadenza dal pubblico impiego. Sussistendo un divieto assoluto di legge l’attività non è neppure autorizzabile dall’amministrazione di appartenenza. Ancorché il Dlgs 165/2001 si riferisca letteralmente agli incarichi per cui siano stati omessi la richiesta di autorizzazione e il versamento del compenso in ipotesi di violazione del divieto di assumere incarichi retribuiti senza autorizzazione, non può esservi alcun dubbio in ordine all’applicabilità del disposto normativo anche all’ipotesi – più grave – dello svolgimento di incarichi non autorizzabili perché incompatibili per i pubblici dipendenti.

Con queste motivazioni, la Corte dei conti, Sez. Giurisdizionale Umbria, con sentenza n. 60/2022, ha condannato il dipendente percepite per un incarico vietato, incompatibile con il mantenimento della qualità di pubblico dipendente e, quindi, non autorizzabile.

 

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L’incarico di presidente del Cda in una SpA in rappresentanza del Comune è attività incompatibile per un pubblico dipendente

L’incarico di presidente del Cda in una SpA (società avente anche fine di lucro, ergo di attività di natura commerciale in situazione d’incompatibilità assoluta ex art. 60, D.P.R. n. 3/1957) in rappresentanza del Comune, è attività incompatibile per un pubblico dipendente, e l’autorizzazione allo svolgimento di tale attività lavorativa extraistituzionale rappresenta una condotta gravemente colposa, causativa di danno erariale.

È quanto stabilito dalla Corte dei conti Toscana, Sez. Giurisdizionale, sentenza n. 487 del 29/12/2021, nel giudizio promosso dalla Procura regionale della Corte dei conti nei confronti di una dirigente scolastica che avrebbe illegittimamente rilasciato l’autorizzazione favorevole ad una docente, per la quale sarebbe stato emesso separato atto di citazione a giudizio, per lo svolgimento di attività lavorativa extraistituzionale assolutamente non autorizzabile, negli anni 2017 – 2019. Per l’esattezza, la docente avrebbe richiesto di essere autorizzata ad accettare l’incarico di presidente del Consiglio di Amministrazione di una società, in rappresentanza del Comune e per la durata di un triennio; pur trattandosi dell’assunzione di una carica in una società avente anche fine di lucro, ergo di attività di natura commerciale in situazione di incompatibilità assoluta ai sensi dell’art. 60 del DPR n. 3/1957, come desumibile expressis verbis dall’oggetto sociale indicato nello Statuto, la convenuta avrebbe accolto l’istanza di autorizzazione, così ponendo in essere una condotta gravemente colposa causativa di danno erariale.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Ministero Interno, chiarimenti su incompatibilità del consigliere comunale

Sussiste la causa di incompatibilità prevista dall’art. 63, comma 1, n. 2), nel caso di un consigliere comunale neo eletto, ex dipendente dell’ente in quiescenza, il quale risulta assegnatario dell’alloggio riservato al custode di un centro sportivo comunale quale contropartita contrattuale a prestazioni lavorative in favore del comune stesso. È quanto rappresentato dal Ministero dell’Interno in risposta ad un quesito di un Comune in ordine alla eventuale sussistenza di una causa di incompatibilità, ai sensi dell’art. 63, comma 1, n. 2), del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267.
Nel caso rappresentato è emerso che tra il predetto amministratore e l’ente locale è stato sottoscritto un regolare contratto individuale, rinnovabile, approvato con deliberazione di giunta, per lo svolgimento delle attività di custodia e manutenzione del centro sportivo comunale. Il consigliere neo eletto è di fatto titolare dell’affidamento del servizio di custodia e manutenzione di una infrastruttura sportiva, avendone come contropartita la fruizione di un alloggio comunale. Ciò è stato ritenuto ammissibile sulla base di una specifica regolamentazione datasi dall’ente locale sui servizi inerenti la gestione degli immobili comunali. Nella vicenda appare evidente l’interesse personale del consigliere neo eletto all’esercizio del predetto servizio con il conseguente, potenziale conflitto con l’interesse pubblico cui egli è tenuto a tutelare e a perseguire nell’espletamento del mandato di consigliere comunale. Il Ministero ritiene che nel caso in parola possa configurarsi l’ipotesi di incompatibilità prevista nel predetto art. 63 TUEL.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Il dirigente comunale può rivestire la carica di presidente di una commissione di gara d’appalto

Non costituisce violazione dei principi d’imparzialità e di buona amministrazione il cumulo, nella stessa persona, delle funzioni di Presidente della Commissione valutatrice e di responsabile del procedimento, nonché di soggetto aggiudicatore, risultando ciò conforme ai principi sulla responsabilità dei funzionari degli enti locali, come delineati dall’art. 107 del d.lgs. n. 267/2000” (Consiglio di Stato, sez. V – 17/11/2014 n. 5632 e la giurisprudenza ivi richiamata). È quanto affermato dall’ANCI, analizzando il caso riguardante la società in house di un Comune che ha chiesto di autorizzare un dirigente comunale a far parte in qualità di presidente di una commissione di gara per un appalto. Incarico a titolo oneroso e da espletarsi al di fuori dell’orario di ufficio. Il dirigente in questione, tuttavia, è posto a capo di un settore che esercita poteri di direzione e controllo nei confronti della stessa società controllata, la quale espleta un servizio pubblico. A complicare la problematica interviene il regolamento comunale sulle procedure di autorizzazione degli incarichi extra istituzionali dei propri dipendenti, in base al quale “costituisce conflitto d’interesse ogni attività esercitata nell’ambito del territorio dell’ente di appartenenza, nei cui confronti il Settore in cui il dipendente opera debba istituzionalmente esprimere pareri, autorizzazioni, concessioni, permessi o altri provvedimenti amministrativi. Attraverso un articolato excursus dei principali atti normativi e sentenze giurisprudenziali attinenti alla materia (T.A.R. Brescia, (Lombardia) sez. II, 16/12/2015, Consiglio di Stato, sez. III – 13/10/2014 n. 5057, artt. 2, 3 e 84 del D. Lgs. 163/2006), gli esperti ANCI pervengono a un posizione chiara in merito al quesito segnalato basandosi soprattutto sulle considerazioni dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (7/5/2013 n. 13), la quale ha avvertito che il motivo di incompatibilità riguarda soltanto i Commissari diversi dal Presidente, e che la deroga a favore di quest’ultimo attenua la rilevanza dell’interesse pubblico all’imparzialità: la volontà di conservare la distinzione tra i soggetti che hanno definito i contenuti e le regole della procedura e quelli che ne fanno applicazione nella fase di valutazione delle offerte non è pertanto rigorosa, essendo perseguita in modo parziale (per una specifica applicazione, si veda Consiglio di Stato, sez. III – 13/10/2014 n. 5057).