Esenzione IMU sull´abitazione principale: dubbi della Consulta sul diverso trattamento tra famiglie, unioni civili e coppie di fatto

Quando esigenze effettive conducono i componenti di un nucleo familiare a stabilire residenze e dimore abituali differenti, può venir meno l’esenzione dall’IMU sulle rispettive abitazioni principali? È legittimo – per far scattare l’esenzione dall’imposta – far riferimento alla residenza anagrafica e alla dimora abituale non solo del possessore dell’immobile ma anche del suo nucleo familiare?
Con questi dubbi, la Corte costituzionale ha sollevato dinanzi a sé questione di legittimità dell’articolo 13, secondo comma, quarto periodo, del Dl n. 201 del 6 dicembre 2011, come convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modifiche, là dove stabilisce che, per ottenere l’esenzione IMU, bisogna far riferimento alla residenza anagrafica e alla dimora abituale non solo del possessore dell’immobile ma anche dei componenti del suo nucleo familiare. L’ordinanza n. 94/2022 spiega ora perché la risposta a questo dubbio sia pregiudiziale alla questione sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli: quest’ultima chiede infatti di dichiarare incostituzionale solo la disposizione che – secondo l’interpretazione della Corte di cassazione – esclude per entrambi i coniugi o i partner dell’unione civile l’esenzione dall’IMU per l’abitazione principale, qualora uno di essi abbia la residenza anagrafica in un immobile ubicato in un altro Comune.
L’ordinanza della Corte precisa che il riferimento al “nucleo familiare”, contenuto nel quarto periodo della norma in oggetto, determina un trattamento diverso rispetto non solo alle persone singole ma anche alle coppie di mero fatto, «poiché, sino a che il rapporto non si stabilizza nel matrimonio o nell’unione civile, la struttura della norma consente a ciascuno dei partner di accedere all’esenzione della loro, rispettiva, abitazione principale».
La Corte ha quindi richiamato la propria precedente giurisprudenza (sentenza n. 179 del 1976) sull’incostituzionalità del cumulo dei redditi dei coniugi, dove si è escluso che, per effetto del matrimonio, in ogni caso «si abbia un aumento della capacità contributiva dei due soggetti insieme considerati».
Ha poi concluso che, sebbene l’articolo 31 della Costituzione richieda di agevolare «la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi», la disciplina in oggetto potrebbe dare vita per i nuclei familiari a «un trattamento deteriore rispetto a quello delle persone singole e delle convivenze di mero fatto». Di qui la decisione di sollevare – con riferimento agli articoli 3, 31 e 53, primo comma, della Costituzione – la questione di legittimità costituzionale della norma indicata.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Niente IMU in caso di revoca della concessione demaniale

In tema di IMU, la revoca della concessione demaniale fa venir meno il presupposto impositivo e libera il concessionario dal dovere contributivo, anche se il bene non sia stato restituito e l’attività risulti, di fatto, proseguita. È quanto stabilito dalla CTR per il Lazio, con sentenza del 11.03.2022, n. 1122. L’art. 8, comma 2, del D.Lgs. n. 23 del 2011 prevede che “l’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili diversi dall’abitazione principale”. Il successivo art. 9, comma 1, dispone che “Soggetti passivi dell’imposta municipale propria sono il proprietario di immobili, inclusi i terreni e le aree edificabili, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa, ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi. Nel caso di concessione di aree demaniali, soggetto passivo è il concessionario”.  Secondo i giudici, il possesso richiesto dalla legge quale presupposto dell’imposta municipale deve corrispondere ad uno di tali diritti; in altri termini, occorre un possesso qualificato.
Nell’impianto normativo è espressamente indicato il soggetto passivo nel caso di concessione di beni demaniali; in tale caso, la legge attribuisce al concessionario l’onere contributivo, nel presupposto che, a seguito dell’atto concessorio, il concessionario acquista il possesso qualificato del bene. In sostanza, il titolo che attribuisce al concessionario la qualifica di possessore qualificato è l’atto di concessione. Ne consegue che la revoca della concessione fa venir meno tale titolo. Tale ricostruzione del meccanismo degli effetti della revoca dell’atto è sostanzialmente conforme alla giurisprudenza di legittimità che, con riferimento alla cessazione degli effetti del contratto di leasing immobiliare, ha affermato che “In tema di Imu, il venir meno del contratto di “leasing” fa venire meno anche la legittima posizione di detentore qualificato in capo all’utilizzatore ancora nel possesso del bene. Con la risoluzione del contratto di “leasing”, infatti, ai fini tributari, non sopravvive alcun effetto contrattuale, in quanto la causa del finanziamento viene meno, non vi è possibilità di riscatto e soprattutto la mera detenzione senza titolo risulta priva di effetti ai fini tributari”. (Cass. civ. Sez. V Ord., 22 luglio 2021, n. 20977).
Con specifico riferimento al presupposto soggettivo, la Suprema Corte ha affermato che “In tema di Imu, nel caso di locazione finanziaria, l’art. 9 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 individua nel locatario il soggetto passivo, a decorrere dalla data di stipula e per tutta la durata del contratto, derivandone, qualora il contratto di leasing sia risolto, che il locatore ritorna ad essere soggetto passivo, anche se l’immobile non sia stato restituito”. (Cass. civ. Sez. V, 9 ottobre 2019, n. 25249). La circostanza rappresentata dal Comune della perdurante ed abusiva detenzione del bene da parte dell’ex concessionario non può assumere rilievo ai fini tributari, sebbene resti rilevante per ogni conseguente azione restitutoria e risarcitoria.

 

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Imu: sui limiti dell’esenzione per il nucleo familiare, la Consulta solleva questione di costituzionalità davanti a se stessa

La Corte costituzionale ha esaminato la questione di legittimità sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli sull’esenzione disciplinata nel quinto periodo del secondo comma dell’articolo 13 del Dl 201/2011, convertito nella legge 214/2011 e successivamente modificato. La Commissione censura la disciplina nell’interpretazione della Corte di cassazione, secondo cui l’esenzione dall’imposta municipale unica (IMU) per l’abitazione adibita a dimora principale del nucleo familiare va esclusa qualora uno dei suoi componenti abbia la residenza anagrafica in un immobile ubicato in un altro Comune.
L’Ufficio comunicazione e stampa fa sapere che la Corte ha deciso di sollevare davanti a se stessa la questione di costituzionalità sulla regola generale stabilita dal quarto periodo del medesimo articolo 13. In particolare, la Corte dubita della legittimità costituzionale – in relazione agli articoli 3, 31 e 53 Costituzione – del riferimento alla residenza anagrafica e alla dimora abituale non solo del possessore dell’immobile (com’era nella versione originaria dell’IMU) ma anche del suo nucleo familiare. In tal modo, quest’ultimo potrebbe diventare un elemento di ostacolo all’esenzione per ciascun componente della famiglia che abbia residenza anagrafica ed effettiva dimora abituale in un immobile diverso.
La Corte ha ritenuto che questa questione sia pregiudiziale rispetto a quella sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli. Le motivazioni dell’ordinanza di autorimessione saranno depositate nelle prossime settimane.

Certificazione Covid, la RGS pubblica i dati definitivi desunti da fonte F24 e fonte ACI

La RGS ha pubblicato i dati definitivi relativi alle voci di entrata che nel Modello COVID-19/2021 sono rappresentate con fonte F24 e fonte ACI (IMU, Addizionale com.le, IPT e RC Auto), comunicati dal Dipartimento delle Finanze. In particolare, i dati di cui alla Tabella 1 relativi a “Imposta municipale propria (IMU), Tributo per i servizi indivisibili (TASI), IMI, IMIS” sono i dati definitivi di gettito per l’anno d’imputazione 2021 riferiti alle deleghe di versamento, al lordo di ogni trattenuta o compensazione, presentate entro il 28 febbraio 2022.
I dati relativi a “Addizionale comunale IRPEF” – “Imposta di iscrizione al pubblico registro automobilistico (PRA)” – “Imposta sulle assicurazioni RC auto”, rappresentando i versamenti effettuati nell’anno 2021, non hanno subito variazioni rispetto a quelli provvisori pubblicati con il precedente comunicato e sono, pertanto, definitivi.

Con particolare riferimento all’Addizionale comunale IRPEF, i cui dati di gettito sono riportati nella Tabella 2 – contenente n. 2 Fogli – la RGS ribadisce che:

  • il Foglio 1, denominato “Dati prospettati”, contiene i dati definitivi di gettito 2020 e i dati definitivi di gettito 2021 dei comuni per i quali nel Modello COVID-19/2021 saranno valorizzate le colonne “Accertamenti 2019 (b)” e “Accertamenti 2021 (a)” della Sezione 1 – Entrate;
  • il Foglio 2, denominato “Dati non prospettati”, contiene l’elenco dei comuni per i quali le suddette colonne della Sezione 1 – Entrate del Modello COVID-19/2021 non saranno, invece, valorizzate. Pertanto, i dati definitivi di gettito 2020 e 2021, riportati in tale Foglio, hanno valenza solo informativa. Gli enti presenti in tale elenco, in sede di compilazione del Modello COVID-19/2021, avrebbero dovuto, infatti, compilare le apposite colonne dedicate alle politiche autonome in aumento o in diminuzione, producendo, sul saldo complessivo della certificazione, il medesimo effetto neutro derivante dalla mancata prospettazione dei dati. Pertanto, la RGS, al fine di semplificare l’attività di certificazione di tali enti, ritiene di non esporre nei modelli il relativo gettito. Al riguardo, per maggiori chiarimenti, si rimanda al dettaglio delle motivazioni esposte nell’apposita colonna denominata “Motivazione”.

Inoltre, tenuto conto delle modalità di versamento a titolo di acconto e saldo dell’Addizionale comunale IRPEF, sono stati azzerati gli importi versati nel 2020 e 2021 a favore degli enti che non hanno istituito il predetto tributo, ovvero hanno deliberato un’aliquota pari a zero nel 2020 e nel 2021.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Niente IMU per i Consorzi di bonifica

Le costruzioni destinate esclusivamente alla bonifica, allo scolo ed alla difesa idraulica del territorio sono esenti da IMU in quanto immobili da inserire nella categoria catastale “E”. È quanto deciso dalla CTR per il Veneto, con Sentenza del 04/11/2021 n. 1337, che l’inserimento degli immobili nella Categoria catastale “E”, seppure sia avvenuta nel 2020, per effetto della Circolare n. 109407 del 5 marzo 2020, porta a ritenere che l’Agenzia delle Entrate abbia rilevato la necessità di un preciso inquadramento degli immobili che in alcuni casi risultavano inquadrati in Categorie diverse da quella che sembra invece fosse quella tipica degli immobili costituenti gli impianti utilizzati dai Consorzi e, in sostanza, la Categoria “E9”, per i quali sarebbe prevista l’esenzione ex lege (V d. art.7, comma l , D. L.gs n.504/92).
L’inserimento nella suddetta Categoria catastale, è operazione che l’Agenzia ha compiuto dopo aver rilevato la permanenza degli immobili in questione in una situazione tipica di quei beni dello Stato che sono al servizio del pubblico e che valgono a soddisfare solo ed esclusivamente un interesse pubblico e, nei confronti di tali beni, sono previsti divieti totali di qualsiasi loro utilizzo per fini diversi da quello pubblico. Una volta rilevata la sussistenza ab origine di una tale situazione, l’Agenzia delle Entrate – D.C. Catasto, ha quindi deliberato l’inserimento degli immobili dei Consorzi di bonifica nei gruppi della corretta Categoria “E”. Tale inserimento, tuttavia, deve considerarsi dotato di efficacia dichiarativa e non costitutiva, nel senso che l’Autorità che ha deciso l’inserimento nella citata Categoria catastale non ha fatto altro che accertare la sussistenza di una determinata situazione, quale già esistente, per cui si è limitata a considerare che tale situazione doveva necessariamente comportare l’inserimento degli immobili in questione nella giusta Categoria catastale, nella quale avrebbero dovuto trovarsi fin da quando i Consorzi sono sorti, ovvero da quando i beni immobili sono stati inseriti nelle varie categorie. Conseguenza di quanto detto sopra è che i beni immobili posseduti dal Consorzio, ente pubblico che svolge funzioni di pubblica utilità, sono inquadrati nella Categoria Catastale “E” e, in quanto tali, sono esenti dal pagamento dell’IMU, al pari degli altri beni che sono inseriti nella stessa Categoria Catastale e che, in virtù del dettato dell’art. 7, comma l ,lett. B) del D. L.gs n.504/1992, sono esentati dal pagamento dell’IMU.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Cassazione, paga l’IMU il proprietario dell’immobile occupato abusivamente da altri soggetti

Con ordinanza 2966/2022 del 1° febbraio, la Corte di Cassazione ha ribadito che l’IMU deve essere versata da parte del soggetto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale, anche se il bene è occupato abusivamente da soggetti terzi. Secondo quanto stabilito dall’art. 9 del D.lgs. n. 23/2011, applicabile ratione temporis alla presente controversia «soggetti passivi dell’imposta municipale propria sono il proprietario di immobili, inclusi i terreni e le aree edificabili, a qualsiasi uso destinate, ivi compresi quelli strumentali alla cui produzione o scambio è diretta l’attività di impresa, ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi, …per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione concessi in locazione finanziaria, soggetto passivo è il locatario a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto».
Dalla lettura di tale disposizione si evince con chiarezza che il concetto di possesso quale presupposto impositivo del tributo, ai sensi dell’art 8 comma 2 del decreto citato, è riferito al potere di fatto sulla cosa che trova corrispondenza nella titolarità del diritto di proprietà o degli altri diritti reali di godimento indicati dalla norma in coerenza con la natura patrimoniale dell’imposta che prescinde dalla redditività del bene sottoposto a tassazione. Proprio facendo leva sulla natura reale e patrimoniale dell’imposta la Corte ha ripetutamente riconosciuto la legittimazione passiva in capo al proprietario del cespite sottoposto a procedura ablatoria allorché vi sia stata occupazione temporanea d’urgenza da parte della P.A., finché non sia intervenuto il decreto di esproprio.

Su tali presupposti è stato così affermato che “in tema di ICI, nel caso di comproprietà dell’immobile, l’imposta è dovuta dal comproprietario nei limiti della sua quota, senza che possa assumere alcun rilievo l’eventuale esercizio, da parte sua, di poteri gestori e di amministrazione dell’intero immobile, atteso che il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 3, comma 1, riferiscono il possesso, quale presupposto del tributo, alla titolarità del diritto di proprietà del cespite, prescindendo completamente, nella configurazione dell’elemento oggettivo dello stesso presupposto, dalla fruttuosità, o non, del bene” (vedi Cass. n. 6064 del 2017), o si è giustificato la ritenuta persistenza del possesso quale presupposto impositivo, allorchè vi sia stata occupazione temporanea d’urgenza da parte della P.A., finchè non sia intervenuto il decreto di esproprio”.
Tali principi, d’altra parte, trovano conferma in altro indirizzo giurisprudenziale formatosi a proposito dell’IMU, allorché si è ritenuto che in tema di “leasing”, tenendo conto del disposto dell’art. 9 del D.Lgs. n. 23 del 2011, soggetto passivo dell’IMU, nell’ipotesi di risoluzione del contratto, è il locatore, anche se non ha ancora acquisito la materiale disponibilità del bene per mancata riconsegna da parte dell’utilizzatore, in quanto ad assumere rilevanza ai fini impositivi non è la detenzione materiale del bene da parte di quest’ultimo, bensì l’esistenza di un vincolo contrattuale che ne legittima la detenzione qualificata – cfr. Cass. n. 25249/2019.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Esenzione IMU e casa coniugale

In tema di IMU, non sussiste il diritto all’agevolazione prevista sull’abitazione principale quando il contribuente risiede in un altro Comune rispetto al coniuge. L’agevolazione richiede non soltanto che il possessore e il suo nucleo familiare dimorino stabilmente in tale immobile, ma altresì che vi risiedano anagraficamente. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, con ordinanza del 17/01/2022, n. 1199, riprendendo, tra l’altro, diverse motivazioni contenute in alcune recenti pronunce della Corte medesima (Ord. nn. 17408 del 2021, 21873 del 09/10/2020). Nel caso di specie, la Suprema Corte ha affermato che ove i due coniugi non separati legalmente abbiano la propria abitazione in due differenti immobili, il nucleo familiare resta unico, ed unica, di conseguenza, potrà essere anche l’abitazione principale ad esso riferibile, perché non possono coesistere due abitazioni principali riferite a ciascun coniuge sia nell’ambito dello stesso Comune o di Comuni diversi. I giudici di legittimità hanno anche affermato che la circolare ministeriale 3/DF del 2012 – secondo cui “Il legislatore non ha, però, stabilito la medesima limitazione nel caso in cui gli immobili destinati ad abitazione principale siano ubicati in comuni diversi, poiché in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, ad esempio, per esigenze lavorative” – in materia tributaria non costituisce fonte di diritti ed obblighi, non discendendo da essa alcun vincolo neanche per la stessa Amministrazione finanziaria (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 17408 del 2021, cit.; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20819 del 30/09/2020).

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Telefisco 2022, le risposte del MEF in materia di tributi locali

Pubblichiamo i chiarimenti forniti dal MEF ai quesiti posti in materia di tributi locali in occasione di Telefisco 2022.

1 – IMU doppie abitazioni: scelta e anni pregressi
La legge 215/2021, di conversione del Dl 146/2021, ha risolto la questione delle doppie abitazioni dei coniugi residenti in Comuni diversi consentendo di scegliere l’immobile al quale applicare l’esonero dall’Imu. Poiché dalla norma non si evince con quali modalità i “componenti del nucleo familiare” dovranno effettuare la scelta, si chiede di chiarire se è necessario presentare l’apposita dichiarazione oppure se può ritenersi sufficiente una semplice comunicazione, e in quale maniera risolvere l’eventuale caso di dissidenza tra i componenti del nucleo familiare. Inoltre, non avendo la disposizione efficacia retroattiva, si chiede se i Comuni possono accertare le annualità pregresse senza applicare le sanzioni per obiettiva incertezza della norma tributaria (articolo 10, legge 212/2000), configurabile anche nel caso in cui l’amministrazione finanziaria abbia chiarito i dubbi con una circolare ministeriale (Cassazione 10126/2019).
Risposta
Giova ricordare che l’articolo 5-decies, comma 1, del Dl 146/2021, convertito, con modificazioni, dalla legge 215/2021 , prevede che «All’articolo 1, comma 741, lettera b), della legge 27 dicembre 2019, n. 160, al secondo periodo, dopo le parole: «situati nel territorio comunale» sono inserite le seguenti: «o in comuni diversi» e sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «scelto dai componenti del nucleo familiare».
Di conseguenza, per effetto di tale intervento normativo, per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in Comuni diversi, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile, scelto dai componenti del nucleo familiare. In merito all’individuazione dell’immobile scelto dai componenti del nucleo familiare ai fini dell’esenzione dall’Imu, si ritiene che per lo stesso gravi in capo al soggetto passivo l’obbligo di presentazione della dichiarazione Imu, come del resto già puntualizzato nelle istruzioni alla dichiarazione Imu di cui al Dm 30 ottobre 2012 nella parte relativa al focus «Abitazione principale» di pagina 5 delle citate istruzioni, in cui è possibile rinvenire indicazioni che possono ritenersi valide anche per la fattispecie in esame. Occorre evidenziare, infatti, che in siffatta ipotesi la permanenza dell’obbligo dichiarativo in argomento si fonda sul presupposto che il Comune non è comunque in possesso delle informazioni necessarie per verificare il corretto adempimento dell’obbligazione tributaria. Nello specifico per la compilazione del modello dichiarativo il contribuente deve barrare il campo 15 relativo alla “Esenzione” e riportare nello spazio dedicato alle “Annotazioni” la seguente frase: «Abitazione principale scelta dal nucleo familiare ex articolo 1, comma 741, lettera b), della legge n. 160 del 2019».
In ordine poi alla richiesta circa la maniera di risolvere l’eventuale caso di dissidenza tra i componenti del nucleo familiare, non può che rimandarsi alle decisioni del Comune in quanto soggetto attivo del tributo. Per quanto riguarda la richiesta relativa alla possibilità di accertamento delle annualità pregresse senza applicazione «delle sanzioni per obiettiva incertezza della norma tributaria (articolo 10 legge 212/2000), configurabile anche nel caso in cui l’amministrazione finanziaria abbia chiarito i dubbi con una circolare ministeriale (Cassazione n. 10126/2019)», si ritiene che la stessa possa essere accolta positivamente alla luce delle seguenti considerazioni.
Innanzitutto dal punto di vista normativo, l’articolo 10, comma 3, della legge 212/2000 chiarisce che: «Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma […]».
Sulla portata di tale disposizione si è espressa anche la Corte di cassazione con la sentenza n. 10126 dell’11 aprile 2019, in cui ribadisce che: «In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, la Corte ha già avuto modo di affermare il principio di diritto in virtù del quale: «l’incertezza normativa oggettiva che – ai sensi del Dlgs 546/1992, articolo 8; del Dlgs 472/1997, articolo 6, comma 2; della legge 212/2000, articolo 10, comma 3 – costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass. 28/11/2007, n. 24670; 16/02/2012, n. 2192; 26/10/2012, n. 18434; 11/02/2013, n. 3245; 22/02/2013, n. 4522)».
Per meglio chiarire tale principio, la medesima Corte puntualizza che: «In altre parole, come è stato detto, “l’incertezza normativa oggettiva tributaria”, che consente di non applicare le sanzioni, «è la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertala dal giudice, di individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito», quindi in “senso oggettivo” (con conseguente esclusione di «qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali» atteso che «l’incertezza normativa, in quanto esiste in sè, opera nei confronti di tutti»): «l’incertezza normativa oggettiva», pertanto, «non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria» (Cassazione 19638/2009). E ciò è quanto avvenuto con la disposizione in esame, la quale nel corso degli anni ha subito diverse interpretazioni proprio a opera della Suprema corte, che hanno portato anche a decisioni di contenuto diametralmente opposto, a dimostrazione della «incertezza normativa oggettiva», nell’accezione richiesta dalla medesima Corte, vale dire «una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa».

2 – Esenzioni Covid-19: ditta e bene fuori dal libro cespiti
Le esenzioni Imu, disposte dal legislatore per contenere i disagi generati dai provvedimenti governativi finalizzati a contrastare i contagi da Covid-19, sono applicate agli immobili rientranti nella categoria catastale D/2 e relative pertinenze, a quelli degli agriturismi, dei villaggi turistici, degli ostelli della gioventù, dei rifugi di montagna, delle colonie marine e montane, degli affittacamere per brevi soggiorni, delle case e appartamenti per vacanze, dei bed and breakfast, dei residence e dei campeggi, purché il soggetto passivo sia gestore dei medesimi e vi eserciti la propria attività. Si chiede se in caso di immobile utilizzato per l’attività di una ditta individuale, l’agevolazione spetti anche se il fabbricato non è iscritto al libro cespiti della ditta medesima.
Risposta
Il regime delle esenzioni dall’Imu disposte per far fronte all’emergenza epidemiologica da Covid-19 richiede unicamente, per poter fruire delle stesse, il rispetto della condizione per cui i soggetti passivi siano anche gestori delle attività esercitate negli immobili per i quali si chiede il beneficio.
Di conseguenza, si ritiene che nel caso in esame possa essere riconosciuta l’agevolazione, dal momento che l’iscrizione del fabbricato nel libro cespiti della ditta non è un requisito richiesto dai vari provvedimenti normativi e, quindi, non è rilevante ai fini agevolativi.

3 – Tari – Tariffe in caso di mancata pubblicazione nei termini
In base al Dl 201/2011, articolo 15-ter, a decorrere dall’anno di imposta 2020, le delibere e i regolamenti concernenti i tributi comunali diversi dall’imposta di soggiorno, dall’addizionale comunale all’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef), dall’imposta municipale propria (Imu) e dal tributo per i servizi indivisibili (Tasi) acquistano efficacia dalla data della pubblicazione effettuata ai sensi del comma 15, a condizione che detta pubblicazione avvenga entro il 28 ottobre dell’anno a cui la delibera o il regolamento si riferisce; a tal fine, il Comune è tenuto a effettuare l’invio telematico di cui al comma 15 entro il termine perentorio del 14 ottobre dello stesso anno. I versamenti dei tributi diversi dall’imposta di soggiorno, dall’addizionale comunale all’Irpef, dall’Imu e dalla Tasi la cui scadenza è fissata dal Comune prima del 1° dicembre di ciascun anno devono essere effettuati sulla base degli atti applicabili per l’anno precedente. I versamenti dei medesimi tributi la cui scadenza è fissata dal comune in data successiva al 1° dicembre di ciascun anno devono essere effettuati sulla base degli atti pubblicati entro il 28 ottobre, a saldo dell’imposta dovuta per l’intero anno, con eventuale conguaglio su quanto già versato. In caso di mancata pubblicazione entro il termine del 28 ottobre, si applicano gli atti adottati per l’anno precedente. In caso di pubblicazione delle delibere oltre il termine del 28 ottobre e conseguente efficacia delle nuove tariffe posta al 1° gennaio dell’anno successivo, quali sono le tariffe che trovano applicazione nell’anno successivo in sede di acconto con scadenza posta prima del 1° dicembre? L’applicazione del comma 169 dell’articolo 1 della legge 296/2006 assume a riferimento le tariffe applicate nell’anno precedente o quelle ad efficacia differita all’anno successivo a causa della tardiva pubblicazione?
Risposta
In caso di pubblicazione delle tariffe della Tari oltre il termine 28 ottobre dell’anno cui le stesse si riferiscono, le tariffe medesime non devono essere prese in considerazione ai fini del versamento delle rate relative al tributo dovuto per l’anno successivo la cui scadenza è fissata prima del 1° dicembre. Tali tariffe pubblicate tardivamente sono infatti applicabili nell’anno successivo – in sede di versamento a conguaglio per le rate successive al 1° dicembre – solo ove non intervenga, entro il 28 ottobre dello stesso anno, la pubblicazione di una diversa delibera adottata nei termini di cui all’articolo 1, comma 169, della legge 296/2006. Le rate di acconto dell’anno successivo a quello cui si riferiva la delibera pubblicata tardivamente devono, invece, essere versate sulla base delle tariffe applicabili nel medesimo anno cui si riferiva la delibera pubblicata tardivamente, vale a dire quelle adottate per l’anno precedente. Se, ad esempio, la delibera relativa all’anno 2021 viene pubblicata oltre il 28 ottobre 2021, le rate di acconto per l’anno 2022 devono essere versate sulla base delle tariffe applicabili nell’anno 2021, vale a dire quelle adottate per l’anno 2020. Tale soluzione, oltre ad essere aderente al disposto del secondo periodo del comma 15-ter dell’articolo 13 del Dl 201/2011, è tanto più fondata se si considera che le tariffe pubblicate tardivamente sono destinate con ogni probabilità – data la natura del tributo in questione, tramite il quale deve essere assicurata la copertura dei costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti riferibili a ciascun anno – ad essere superate da una nuova delibera adottata per l’anno successivo.Se nell’anno successivo a quello cui si riferiva la delibera di determinazione delle tariffe della Tari pubblicata tardivamente non viene adottata alcuna delibera o viene adottata una delibera oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione, con conseguente inapplicabilità della stessa in virtù dell’articolo 1, comma 169, della legge 296/2006, le tariffe applicabili sono quelle di cui alla delibera adottata per l’anno precedente e pubblicata tardivamente. Se, ad esempio, la delibera relativa all’anno 2021 viene pubblicata oltre il 28 ottobre 2021 e la delibera per l’anno 2022 non viene approvata o viene approvata ma oltre il termine di approvazione del bilancio, le tariffe applicabili per l’anno 2022 sono quelle di cui alla delibera adottata per l’anno 2021 e pubblicata tardivamente.

4 – Canone unico – Pubbliche affissioni, sì al diritto d’urgenza
Il canone unico patrimoniale prevede che l’importo da richiedere all’utente sia comprensivo di tutti gli oneri relativi all’autorizzazione/concessione rilasciata o, comunque al servizio reso dall’ente. In tema di affissioni si chiede se possa essere ancora richiesta una somma qualificabile come “diritto d’urgenza” o se sia necessario prevedere uno specifico canone unico, di maggior importo, per le fattispecie che prima erano assoggettate a tale diritto.
Risposta
Nel caso in cui il Comune scelga di istituire il servizio sulle pubbliche affissioni, la cui istituzione non è più obbligatoria a norma dell’articolo 1, comma 836 della legge 160/2019, lo stesso può senz’altro prevedere un diritto d’urgenza, sulla scorta del fatto che trattandosi di un canone patrimoniale l’ente locale ha ampia autonomia regolamentare.

5 – Cup nei centri abitati: i rapporti Comuni-Province
Il canone unico patrimoniale è stato oggetto di contrasti fra Comuni e Province, stante la formulazione del comma 818 e del comma 837, che considerano aree comunali i tratti di strada situati all’interno di centri abitati con popolazione superiore a 10.000 abitanti, di cui all’articolo 2, comma 7, del Codice della strada, Dlgs 285/1992; secondo gli enti provinciali, quindi, il canone unico sarebbe di loro competenza anche nei Comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, se il centro abitato ha una popolazione che non supera tale valore. Tale interpretazione, pur sostenuta dal Mef in occasione di uno specifico quesito posto dal Comune di Montepulciano, si pone in contrasto con quanto affermato nel corso di Telefisco2021.
Risposta
Come affermato nei chiarimenti forniti al Comune di Montepulciano, relativamente a entrambi i canoni, vale a dire quello di cui all’articolo 1, comma 816 della legge 160/2019, e l’altro di cui al successivo comma 837, risulta che i tratti di strada che attraversano centri abitati con popolazione superiore a 10.000 abitanti sono considerati comunali, mentre quelli che attraversano centri abitati con popolazione non superiore a 10.000 abitanti non possono considerarsi facenti parte del territorio comunale.
Ne consegue che, nel caso di diffusione di un messaggio pubblicitario su un tratto di strada che attraversa un centro abitato con popolazione superiore a 10.000 abitanti, il gettito del canone spetta solamente al Comune in base al comma 819, lettera b), mentre la provincia non è legittimata a imporre il canone per l’occupazione del suolo, posto che il tratto di strada è di competenza comunale, fermo restando che in caso di diffusione di messaggio pubblicitario resta esclusa la possibilità di richiedere il canone per la fattispecie di occupazione.
Nel caso inverso, vale a dire di diffusione di un messaggio pubblicitario su un tratto di strada che attraversa un centro abitato con popolazione non superiore a 10.000 abitanti, e quindi di competenza della provincia, quest’ultimo ente è legittimato a chiedere il versamento del canone per l’occupazione del suolo, a norma del comma 819, lettera a). In ordine, infine, alla contraddizione rispetto a quanto affermato in Telefisco 2021, si fa presente che la risposta al quesito di Montepulciano così come quella odierna costituiscono una migliore e più chiara contestualizzazione dei casi che sono stati meglio descritti nei quesiti collegati a tali risposte.

6 – Occupazione e servizi in rete
L’articolo 5, comma 14-quinquies, del Dl 146/2021, reca disposizioni interpretative del comma 831 della legge 160/2019. In particolare, alla lettera a), si chiarisce che le società titolari dei contratti di vendita del bene distribuito alla clientela finale non possono considerarsi soggetti che occupano, neanche in via mediata, e per tale motivo non sono tenute al pagamento del canone unico. Il canone sarebbe quindi dovuto dai soggetti che risultano concessionari delle infrastrutture e la quantificazione del canone deve essere effettuata «in base alle utenze delle predette società di vendita», le quali, quindi, sarebbero tenute a comunicare al concessionario il numero delle utenze.
La successiva lettera b) considera l’ipotesi di occupazioni di suolo con impianti funzionali all’erogazione dei servizi, come quelli relativi alla trasmissione di energia elettrica e il trasporto di gas naturale. In questo caso è dovuto il canone in misura fissa pari ad euro 800.
Dall’articolato normativo sembra che l’ipotesi a) si verifichi solo nelle ipotesi di infrastrutture per le quali è prevista la separazione tra la titolarità delle infrastrutture e la titolarità dei contratti di vendita, mentre l’ipotesi b) si verificherebbe nelle altre tipologie di occupazioni, come i gasdotti o le reti di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica. Si chiede conferma della lettura proposta.
Risposta
Occorre preliminarmente affermare che il comma 831 dell’articolo 1, della legge 160/2019 riguarda tutte le tipologie di occupazioni effettuate con cavi e condutture per la fornitura di servizi di pubblica utilità e non solo quelle in cui esiste una separazione tra i soggetti titolari delle infrastrutture ed i soggetti titolari del contratto di vendita del bene distribuito alla clientela finale. E invero l’articolo 5, comma 14-quinquies del Dl 146/2021, ha inteso chiarire che nelle ipotesi in cui sussiste una netta separazione legislativa, regolamentare o contrattuale tra soggetti titolari delle infrastrutture e soggetti titolari del contratto di somministrazione del bene distribuito per il tramite delle infrastrutture stesse, il canone resta dovuto esclusivamente da parte del soggetto titolare della rete, tenendo conto del numero delle utenze attivate dagli operatori che svolgono solo l’attività di vendita. La successiva lettera b), invece, in linea con quanto stabilito ai fini della Tosap e del Cosap, ha precisato che la disciplina del canone unico è applicabile anche alle occupazioni effettuate da imprese che svolgono attività strumentali e accessorie all’erogazione dei servizi a rete (tra le quali la trasmissione di energia elettrica ed il trasporto di gas naturale dal produttore al distributore finale) tenendo conto della sostanziale “unitarietà” della filiera. Pertanto, per tali imprese, che non hanno alcun rapporto diretto con l’utente finale, viene confermata la debenza del canone in misura fissa pari a euro 800, stabilita per coloro che hanno un numero di utenze inferiore alla soglia.

7 – Servizi di affissione, così la pubblicazione
Per effetto dell’abrogazione dell’articolo 18 del Dlgs 507/93, ad opera del comma 836 dell’articolo 1 della legge 160/2019, i Comuni possono ritenere completamente soppresso il servizio di affissione a cura del Comune, oppure occorre l’adozione di un’espressa deliberazione? È sufficiente garantire l’affissione diretta da parte degli interessati delle affissioni cosiddette garantite?
Risposta
Il Comune, a norma dell’articolo 1, comma 836 della legge 160/2019, non ha l’obbligo di istituire il servizio delle pubbliche affissioni e, pertanto, non occorre alcuna delibera in tal senso. Se sceglie di non procedere all’istituzione del servizio, deve rispettare l’obbligo, previsto da leggi o da regolamenti, di affissione da parte delle pubbliche amministrazioni di manifesti contenenti comunicazioni istituzionali mediante la pubblicazione nei rispettivi siti internet istituzionali. Deve, inoltre, garantire l’affissione da parte degli interessati di manifesti contenenti comunicazioni aventi finalità sociali, comunque prive di rilevanza economica, mettendo a disposizione un congruo numero di impianti a tal fine destinati.

8 – La componente pubblicitaria del canone
In ragione dei numerosi contenziosi insorti nel corso del 2021 sulla componente pubblicitaria del canone unico per la diffusione dei messaggi pubblicitari, si chiede di conoscere l’orientamento ministeriale in ordine alla natura giuridica della componente pubblicitaria del canone.
Risposta
L’articolo 1, comma 816, della legge 160/2019 introduce, in sostituzione di diverse entrate, un canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria. Pertanto, stante la chiara formulazione utilizzata dal legislatore, unita al fatto che all’interno della normativa che regolamenta il canone in questione non si rinvengono elementi tali da far considerare diversa la natura giuridica della fattispecie di diffusione di messaggi pubblicitari, si deve concludere per la natura patrimoniale di entrambe le componenti del canone.

9 – Regole sul versamento decise dai Comuni
In base al comma 823 dell’articolo 1 della legge 160/2019, il canone è dovuto dal titolare dell’autorizzazione o della concessione, ovvero, in mancanza, dal soggetto che effettua l’occupazione o la diffusione dei messaggi pubblicitari in maniera abusiva. In base al comma 835, il versamento del canone è effettuato direttamente agli enti, contestualmente al rilascio della concessione o dell’autorizzazione all’occupazione o alla diffusione dei messaggi pubblicitari. Si chiede se il Comune possa, nell’esercizio della potestà regolamentare, modificare la previsione del comma 835 rinviando il versamento del canone successivamente al rilascio del titolo di autorizzazione o concessione.
Risposta
Considerata la natura patrimoniale del canone, si ritiene che l’ente locale possa regolamentare la materia della riscossione diversamente rispetto a quanto prescritto dall’articolo 1, comma 835 della legge 160/2019. Del resto, anche relativamente alle proprie entrate tributarie l’ente ha ampia autonomia regolamentare in materia di riscossione.

10 – Sanzioni per insegne abusive inferiori a 5 mq
Nel caso di insegna di esercizio collocata abusivamente, ma inferiore a 5 mq, quali sono le sanzioni da applicare in base all’articolo 1, comma 821, della legge 160/2019?
Risposta
Poiché le insegne di esercizio inferiori a 5 mq sono esenti dal versamento del canone, in base all’articolo 1, comma 833, lettera l), della legge 160/2019, non è possibile richiedere il versamento dell’indennità di cui al comma 821, lettera g). Non può essere parimenti applicata la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla successiva lettera h), in quanto anch’essa collegata all’entità del canone e della citata indennità, ma possono essere applicate le sanzioni di cui agli articoli 20 e 23 del Codice della strada, nonché gli oneri previsti per la rimozione e la copertura del mezzo pubblicitario abusivo previsti dal successivo comma 822 dell’articolo 1 della legge 160/2019.

 

Anticipazione rimborso minor gettito IMU comuni cratere sismico 2016

È stato firmato il 13 dicembre 2021 il decreto del Ministro dell’interno e del Ministro dell’economia e delle finanze, recante «Anticipazione ai comuni delle regioni Abruzzo, Lazio, Marche ed Umbria, del rimborso dei minori gettiti, riferiti al secondo semestre 2021, dell’IMU derivante dall’esenzione per i fabbricati ubicati nelle zone colpite dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016».

Le quote saranno attribuite, per un importo di 10.035.912,17 euro, ai comuni individuati nell’allegato A), sulla base delle stime di andamento del gettito dell’IMU per l’anno 2021 elaborate dal Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento delle finanze.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Incentivi IMU e TARI anche in caso di proroga dei termini di approvazione del bilancio preventivo e del rendiconto

La Corte dei conti, Sez. Autonomie, con deliberazione n. 19/SEZAUT/2021/QMIG, pronunciandosi sulla questione di massima posta dalla Sezione regionale di controllo per la Liguria con la deliberazione n. 78/2021/QMIG, ha enunciato il principio di diritto secondo il quale la locuzione entro i termini stabiliti dal testo unico di cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 contenuta nell’art. 1, co. 1091, della legge n. 145/2018, si riferisce anche al diverso termine prorogato, per il bilancio di previsione, con legge o con decreto del Ministro dell’interno (ai sensi dell’art. 151, co. 1, ultimo periodo, TUEL) e, per il rendiconto, con legge. La Sezione Autonomie ritiene possibile, quindi, erogare i compensi incentivanti correlati all’attività di accertamento IMU e TARI anche laddove l’approvazione del bilancio o del rendiconto sia avvenuta entro i termini prorogati dal Ministero dell’interno o dal legislatore.
La questione in esame è stata in più occasioni portata all’attenzione della magistratura contabile, che si è espressa concordemente, ritenendo che il termine per l’approvazione del bilancio a cui la ridetta norma fa riferimento è quello del 31 dicembre dell’anno precedente, ai sensi dell’art. 151, c. 1, d.lgs. n. 267/2000, a prescindere da eventuali proroghe (SRC Emilia Romagna, n. 52/2019/PAR; SRC Lombardia n. 412/2019/PAR e nn. 40 e 113/2020/PAR; SRC Toscana, n. 46/2020/PAR; SRC Abruzzo, n. 120/2020/PAR; SRC Piemonte nn. 92 e 96/2021/PAR). Nella maggior parte dei casi, i quesiti proposti alle Sezioni regionali erano formulati con riferimento al termine prorogato con decreto ministeriale di cui all’art. 151 TUEL. Con riferimento ai termini di approvazione del rendiconto, la Corte dei conti, Sez. Lombardia, con deliberazione n. 113/2020, ha ritenuto, invece, privo di senso logico correlare gli incentivi all’approvazione del rendiconto esclusivamente entro il termine ordinario del 30 aprile fissato ex art. 151, comma 7, TUEL. Ciò anche in considerazione del fatto che l’approvazione del rendiconto oltre il termine fissato dal TUEL, ma entro il termine per legge differito, non altera i risultati raggiunti nel precedente esercizio finanziario, né produce alcun effetto sull’avvenuta attività di riscossione da parte del personale che, avendo raggiunto l’obiettivo assegnato, sarebbe pregiudicato dalla mancata corresponsione dell’incentivo pianificato nel bilancio di previsione tempestivamente approvato entro il 31 dicembre.
La Sez. Autonomie condivide il ragionamento della Sez. Liguria, secondo il quale lo spirito della norma è quello di premiare l’effettivo incremento di accertamenti e incassi da IMU e TARI, e quindi ciò che rileva ai fini della corretta applicazione della disposizione in esame è che la destinazione del maggior gettito (da incassare, oltre che da accertare) avvenga nel rispetto degli equilibri di bilancio e dei principi di finanza pubblica deducibile da idonea programmazione, della corretta e preventiva determinazione degli obiettivi (che trovano fonte nei documenti annuali di perfomance organizzativa e individuale), della destinazione dei soli maggiori incassi (o meglio, di una percentuale di essi) al trattamento accessorio e, infine, della liquidazione sulla base di entrate certe risultanti dall’approvazione del rendiconto del precedente esercizio finanziario.
Per quanto riguarda i termini di approvazione dei termini di rendiconto, appare incongruo correlare gli incentivi all’approvazione del rendiconto esclusivamente entro il termine ordinario del 30 aprile fissato ex art. 151, co. 7, TUEL. Ciò anche in considerazione del fatto che l’approvazione del rendiconto oltre il termine fissato dal d.lgs. n. 267/2000, ma entro il termine per legge differito, non altera i risultati raggiunti nel precedente esercizio finanziario, né produce alcun effetto sull’avvenuta attività di riscossione da parte del personale che, avendo raggiunto l’obiettivo assegnato, sarebbe pregiudicato dalla mancata corresponsione dell’incentivo pianificato nel bilancio di previsione tempestivamente approvato.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION