ANAC: Contestazioni dell’Agenzia Entrate sotto i 35.000 euro non escludono dall’affidamento di servizi

Con il Parere di Precontenzioso delibera n.234 del 15 maggio 2024 l’Anac nel fornire riscontro ad una richiesta di parere in ordine alla legittimità dell’esclusione dalla gara disposta dalla Stazione appaltante in quanto «ai sensi dell’art. 94, comma 6 e art. 95, comma 2 del D. Lgs. 31/03/2023, n. 36, inadempiente agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, tanto da costituire grave violazione definitivamente accertata come indicato all’art 1, 2 e 4 dell’Allegato II.10 del citato D. Lgs. 36/2023», ha evidenziato che non basta aver ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrateper essere esclusi da una gara d’appalto. Per le gravi violazioni non definitivamente accertate agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse, il valore di euro 35.000,00 costituisce la soglia (economica) minima di punibilità, al di sotto della quale la violazione non può essere in alcun modo considerata ‘grave’ ai fini di una possibile esclusione dalla gara rimessa alla valutazione discrezionale della Stazione appaltante.

Nel caso di specie, l’unica violazione imputata e imputabile alla società istante riguarda una contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, effettuata in esito ad un controllo automatizzato eseguito sulla dichiarazione dei redditi. Il riferimento è al mancato (o comunque inesatto) versamento dell’Ires per il periodo di imposta dal 1.1.2020 al 31.12.2020, per il quale già in data 2.11.2023, ovvero entro la prevista scadenza del termine di 30 giorni indicato nella contestazione stessa, la società aveva ottenuto la rateizzazione del debito.

Ai sensi e per gli effetti dell’art. 95, comma 2 del Codice la “gravità” della violazione (non definitivamente accertata) agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o contributi previdenziali deve essere valutata sulla base delle condizioni dettate dall’art. 3 dell’Allegato II.10 del Codice, ossia quando la violazione è pari o superiore al 10 per cento del valore dell’appalto e purché tale l’importo non sia inferiore a 35.000 euro. La disposizione di cui all’art. 95, comma 2, 3° periodo secondo cui «La gravità va in ogni caso valutata anche tenendo conto del valore dell’appalto» deve essere intesa quale clausola interpretativa che la Stazione appaltante deve utilizzare, all’interno dei due sopracitati parametri di riferimento predeterminati dal legislatore, ai fini della valutazione discrezionale circa l’esclusione o meno del concorrente che sia incorso nella violazione non immediatamente escludente.

 

 

La redazione PERK SOLUTION

Anac: è illegittimità la clausola territoriale del disciplinare della gara

Con la delibera n. 1/2024, l’ANAC ha messo in discussione la legittimità della cosiddetta clausola territoriale del disciplinare della gara, nella parte in cui prevede, quale requisito di partecipazione di idoneità professionale, la disponibilità dell’impianto di destino entro un raggio di 10 km dalla sede operativa. Destinataria una società di servizi comunali della Lombardia, incaricata del conferimento dei rifiuti organici raccolti sul territorio bergamasco e bresciano. L’Autorità, a seguito dell’esposto di un operatore economico, ha aperto un’istruttoria sulla gara verificando l’illegittimità del disciplinare, in particolare per il requisito prescritto di disporre di un impianto a distanza massima di 10 chilometri dalla sede operativa.

La clausola è ritenuta da Anac “illegittima e limitativa della concorrenza”. “Allo stato e sulla base dei più recenti approdi giurisprudenziali – scrive l’Autorità-, il principio concorrenziale sembra prevalere rispetto al principio di prossimità ambientale (di cui le clausole territoriali sono un portato). Sicché, ove nell’ambito dell’evidenza pubblica sia necessario integrare i due principi, la clausola territoriale appare declinabile quale criterio premiale da valorizzare nell’ambito dell’offerta tecnica e non quale requisito di partecipazione”. Nel caso specifico, la disponibilità del sito di conferimento entro il raggio di 10 km, previsto quale requisito di partecipazione condizionante l’accesso alla procedura selettiva, appare illegittima e all’evidenza limitativa della concorrenza in quanto, la clausola territoriale pare poter assumere rilievo esclusivamente quale elemento premiale. “Infatti, – scrive Anac – anche laddove la stazione appaltante avesse voluto introdurre la clausola di territorialità quale requisito di partecipazione, la stessa sarebbe comunque illegittima in considerazione della sua lesività in concreto per la concorrenza”.

Altre criticità segnalate dall’Autorità riguardano il criterio selettivo previsto dal disciplinare di gara. Infatti, sebbene il criterio prescelto sia quello del minor prezzo, la formula prevista dal disciplinare valorizza la distanza del sito di conferimento rispetto al sito operativo, oltre al minor prezzo offerto. Tale previsione appare illegittima. La valorizzazione del criterio della distanza dal sito di conferimento determina un confronto qualitativo tra le diverse offerte, introducendo, di fatti, un criterio premiale nell’ambito della formula relativa all’applicazione del punteggio economico, non più limitato al solo elemento prezzo, e mascherando, per l’effetto, un più opportuno ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa”.

L’Autorità, nel raccomandare una rivalutazione della complessiva documentazione di gara anche alla luce degli ulteriori vizi evidenziati, in occasione della futura e successiva riedizione della procedura di gara, ha assegnato alla società 20 giorni di tempo per agire in conformità, con avvertenza che, in mancanza, procederà all’impugnazione della documentazione di gara esaminata.

 

La redazione PERK SOLUTION

Sono illegittimi gli incarichi esterni dei dipendenti pubblici prestati senza preventiva autorizzazione

La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia, con la Sentenza n._97/2023, ha stabilito che sono illegittimi gli incarichi esterni dei dipendenti pubblici prestati senza effettiva autorizzazione e ha ritenuto antigiuridica e dolosa, pertanto fonte di danno erariale, la condotta della dipendente comunale che ha svolto incarichi extraistituzionale in favore di un altro comune, in evidente conflitto di interessi, privi dell’autorizzazione preventiva, e non ha riversato i compensi all’amministrazione di appartenenza.

La dipendente comunale ha agito in violazione dell’articolo 6-bis della legge n. 241 del 1990, che prevede, espressamente, che il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endo-procedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale. Pertanto, la convenuta non poteva trattare, la pratica della autorizzazione all’incarico ex articolo 53 del Dlgs n. 165 del 2001 che la riguardava direttamente in quanto beneficiaria e non era, altresì, abilitata a incassare il compenso, che doveva essere riversato, in automatico, nelle casse del Comune di appartenenza.

Il danno non è derivato direttamente dallo svolgimento dell’attività lavorativa extra senza autorizzazione, bensì dal mancato riversamento del compenso in adempimento dell’obbligo di legge e alla conseguente mancata entrata nel bilancio dell’ente di appartenenza del dipendente. Alla mancata entrata da omesso riversamento di un ente non è infatti direttamente collegato un risparmio di spesa di un altro ente, bensì l’arricchimento del dipendente, cioè proprio il risultato che la norma mira a evitare.

 

La redazione PERK SOLUTION

ANAC: Bandi di gara, no a restrizioni territoriali per le imprese

Con la Nota del Presidente del 12 maggio 2023, l’ANAC è intervenuta su una gara per il restauro conservativo rilevando che la Regione non può inserire in avvisi di manifestazione di interesse, clausole “territoriali” restrittive, volte a favorire le imprese con sede legale nel proprio territorio. Ciò viola i principi di libera concorrenza e di parità di trattamento, oltre che di buon andamento dell’amministrazione pubblica. Pertanto è in violazione del Codice degli Appalti e delle normative di settore.

L’utilizzo del solo criterio formale della sede legale – con conseguente esclusione delle ditte aventi sede operativa nella Regione “poco risponde al criterio della presenza sul territorio indicato dal legislatore e comunque risulta immotivato. Il criterio della diversa dislocazione territoriale lascia una ampia discrezionalità alla stazione appaltante di scegliere il perimetro ritenuto sufficientemente ampio rispetto al luogo dei lavori. Detto criterio dunque assegna alle stazioni appaltanti il compito di individuare motivando un equilibrio nella modalità di diversificazione territoriale che dovrà garantire il rispetto del principio comunitario di non discriminazione”.

La scelta di limitare la partecipazione alla procedura negoziata ai soli operatori aventi sede legale nella Regione  è riferibile ad una scelta discrezionale della Stazione appaltante; tale scelta tuttavia, in base ai principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa sanciti dall’articolo 97 Costituzione, avrebbe dovuto essere specificamente motivata ed adeguatamente esplicitata nell’Avviso di manifestazione di interesse”.

 

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Deposito rendiconto: illegittimo una riduzione del termine, anche se tutti i consiglieri dovessero essere d’accordo

Il termine previsto dall’art.227 del d.lgs. n.267/2000 – che richiede il deposito degli atti almeno venti giorni prima della riunione consiliare – risponde ad una specifica esigenza di corretta informazione dei consiglieri comunali in merito alle questioni soggette a deliberazione. È questa in sintesi la risposta del Ministero dell’interno ad una richiesta di parere di un sindaco che ha chiesto, qualora sussista la volontà unanime dei consiglieri, se si possa abbreviare il termine minimo di 20 giorni, previsto dall’articolo 227, comma 2, del d.lgs. n.267/2000, termine necessario per mettere a disposizione dei componenti dell’organo consiliare la proposta del rendiconto di gestione, da deliberare entro il 30 aprile.

Il principio condiviso dalla giurisprudenza e che da ultimo si evince dalla recente sentenza del TAR Campania–sez.I n.2068 del 31.03.2023, in merito al termine minimo di 20 giorni previsto dall’art.227, è quello di non poter concedere un termine inferiore rispetto a quello stabilito dalla normativa legislativa, in quanto si violerebbe “… il diritto d’informazione in favore dei singoli consiglieri comunali sulle questioni sottoposte alla loro valutazione. A questo diritto corrisponde il preciso obbligo dell’ente comunale di mettere a disposizione dei consiglieri in tempo utile tutti i documenti necessari per avere piena cognizione del contenuto delle proposte di deliberazione portate all’attenzione dell’organo rappresentativo, al fine di espletare correttamente il mandato”.

Il ritardo nella messa a disposizione dei consiglieri della relazione dell’organo di revisione determina un vulnus alle prerogative consigliari, impedendo una deliberazione consapevole, dovendosi escludere che si tratti di una violazione meramente procedimentale ovvero di una forma di irregolarità inidonea a determinare l’invalidità della delibera di approvazione, integrando, per contro, un vizio sostanziale che determina l’illegittimità della delibera consiliare. Nel panorama giurisprudenziale sussistono anche pronunce contrarie alle precedenti (TAR Lazio-sez. IIbis, n.11588 del 9/11/2020; cfr. Cons. Stato n.3813 del 2018).

Il deposito degli atti almeno venti giorni prima della riunione consiliare – risponde ad una specifica esigenza di corretta informazione dei consiglieri comunali in merito alle questioni soggette a deliberazione; pertanto, non sembra corretta una riduzione di tale termine, anche se tutti i consiglieri dovessero essere d’accordo sulla riduzione del termine in questione.

 

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ANAC, illegittima la proroga della piattaforma depurativa avvenuta senza gara

La proroga della piattaforma depurativa di un comune da parte di un Consorzio Regionale è illegittima, avvenuta senza gara, in violazione dei principi di concorrenza e parità di trattamento degli operatori economici stabiliti dalla legge, e in particolare dal Codice degli Appalti. E’ quanto ha accertato l’Autorità Nazionale Anticorruzione, attraverso la propria attività di vigilanza. Ora il Consorzio dovrà mettere in atto tutti gli adempimenti necessari per superare l’illegittimità della proroga, nel rispetto della normativa di settore, fornendo ad Anac tempestive informazioni sugli atti formali che saranno assunti per superare le criticità segnalate.

Il Consorzio ha disposto due proroghe a favore dello stesso operatore economico, nel 2021 e nel 2022; e tuttora la società incaricata gestisce il servizio. Se nella prima proroga si poteva parlare di “eccezionalità ed urgenza” nel far proseguire il rapporto scaduto connessa all’incertezza sul regime giuridico applicabile al consorzio posto in liquidazione – afferma Anac -, diversamente risulta del tutto illegittima l’ulteriore proroga a favore sempre dello stesso soggetto economico.

In sostanza il Consorzio, in vista della scadenza dell’affidamento il 31 dicembre 2022, pur sapendo di aver già fatto proroghe precedenti, non si è attivato per indire la gara, ma ha di fatto lasciato continuare la gestione del servizio al medesimo soggetto, senza porre in atto alcun provvedimento formale per giungere alla gara.

 

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Illegittimo assegnare l’appalto dei rifiuti a chi in cambio affitta l’autoparco comunale

E’ illegittimo affidare l’appalto del servizio raccolta rifiuti al concorrente che si offre di prendere in locazione l’autoparco comunale per farne la propria sede aziendale. Lo ha stabilito Anac, con il parere del 10 novembre 2021.
L’Autorità evidenzia come “il baratto” manca di connessione funzionale con l’oggetto dell’appalto, creando una commistione fra offerta tecnica ed economica che è vietata per legge. Palese è in tal caso la violazione dell’articolo 95 del Codice dei contratti pubblici.
Inoltre, adottare come criterio di scelta della ditta per la raccolta dei rifiuti urbani e il servizio di pulitura delle strade (una gara del valore di 11 milioni di euro) chi si offre di affittare l’autoparco comunale, impedisce di misurare adeguatamente la qualità della prestazione offerta, visto che diventa invece rilevante chi accetta la locazione del magazzino, e chi offre di più per l’affitto. Ciò inevitabilmente inquina il giudizio della stazione appaltante, alterando i criteri oggettivi di valutazione.
L’indagine di Anac è stata avviata a seguito della contestazione del bando da parte di una società concorrente, che ha ravvisato illegittimità nei criteri di scelta stabiliti dal Comune. Dalle verifiche effettuate dall’Autorità effettivamente è emerso l’illegittimità del bando, in quanto “le stazioni appaltanti devono individuare criteri di valutazione concretamente idonei a evidenziare le caratteristiche migliorative delle offerte presentate dai concorrenti”.
I criteri devono, in sostanza, consentire un effettivo confronto concorrenziale sui profili tecnici dell’offerta, al fine di individuare il miglior rapporto qualità/prezzo. Tale non è, invece, il criterio stabilito dal Comune “che premia il concorrente che offre il più elevato canone mensile per la locazione dell’autoparco comunale”.

Illegittimo il ricorso all’ingiunzione fiscale da parte della società pubblica

Il Tribunale di Milano, Sez. I, Sent., 29/07/2021, pronunciandosi sul ricorso proposto da un condominio contro l’ingiunzione di pagamento, emessa ai sensi degli artt. 2 e 3 R.D. n. 639 del 1910 da una Società pubblica – con la quale si è intimato il pagamento per il servizio di somministrazione di acqua potabile, fognatura e depurazione – ha rilevato l’inutilizzabilità del procedimento di ingiunzione di cui all’art. 2 R.D. n. 639 del 1910 da parte della Società.
La norma delinea un procedimento speciale per la riscossione dei tributi, comunemente chiamato “ingiunzione fiscale”, che si pone come alternativa eccezionale al procedimento monitorio ordinario disciplinato dal codice civile.
La possibilità di giovarsi di un procedimento ingiuntivo che, a differenza del rito ordinario, non prevede l’intervento dell’autorità giudiziaria, costituisce una specifica modalità di esercizio del potere d’imperio della Pubblica Amministrazione che, in questo caso, è legittimata ex lege ad intimare direttamente ai suoi debitori il pagamento dei tributi, senza l’intermediazione dell’organo giurisdizionale.
In tal senso, la cosiddetta “ingiunzione fiscale” rappresenta un procedimento speciale, derogatorio rispetto all’ordinaria procedura di ingiunzione, che combina in sé gli strumenti del decreto ingiuntivo e del precetto e presuppone l’auto-accertamento del tributo da parte dell’Ente pubblico, titolare di uno specifico potere impositivo.
L’art. 2 R.D. n. 630 del 1910 costituisce, quindi, una legge eccezionale e, in quanto tale, non può essere applicato, ai sensi dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale (cosiddette “Preleggi”) che vieta il ricorso all’analogia per quanto riguarda le norme penali ed eccezionali, a soggetti diversi ed ulteriori, oltre a quelli specificamente individuati dalla norma, ovvero lo Stato e gli altri Enti Pubblici.
Questi ultimi, in quanto titolari dei poteri di autoaccertamento e di riscossione dei tributi, discendenti dal più ampio potere di autotutela di cui gode la Pubblica Amministrazione, possono giovarsi dell’ingiunzione “fiscale” di cui agli art.li 2 e 3 R.D. n. 639 del 1910, tanto per le entrate di natura pubblicistica quanto per i corrispettivi di natura privatistica, derivanti da un rapporto contrattuale. Tuttavia, titolari di legittimazione attiva nel suddetto procedimento ingiuntivo “speciale” rimangono esclusivamente i soggetti indicati nella norma, ovvero lo Stato e gli altri enti pubblici, a prescindere dalla tipologia dell’entrata che s’intende riscuotere, che può avere tanto natura pubblicistica quanto privatistica.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Revoca provvedimento amministrativo illegittimo

Nonostante il provvedimento di aggiudicazione costituisca, di regola, l’atto amministrativo conclusivo del procedimento di scelta del contraente, l’amministrazione, ai sensi dell’art. 32 del D.Lgs. 50/2016, conserva il potere di negare, previa puntuale e congrua motivazione, l’aggiudicazione in favore del miglior offerente, nonché mantiene poteri di autotutela, quali la revoca e l’annullamento dell’aggiudicazione, nel rispetto dei principi che presiedono tale attività. È fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti. L’art. 21 nonies legge n. 241 del 1990 dispone che l’annullamento di un provvedimento amministrativo illegittimo può intervenire entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi: tale norma si applica anche in caso di annullamento dell’aggiudicazione di un contratto pubblico. Ed invero, “Nelle gare pubbliche il potere di annullamento in autotutela può ben venire esercitato al fine di garantire il ripristino della legalità, ma questa finalità non può integrare ex se, e tantomeno esaurire, l’ambito delle più ampie e articolate valutazioni che l’Amministrazione pubblica è chiamata ad operare, essendo invece imprescindibile una compiuta comparazione tra l’interesse pubblico e quello privato, oltre alla ragionevole durata del tempo intercorso tra l’atto illegittimo e la sua rimozione” (Tar Sardegna, sez. I, sent. 16/1/2019 n. 21).
Su tali presupposti normativi e giurisprudenziali, il TAR Campania, con sentenza n. 4528 del 15 ottobre 2020, ha annullato la determina, del responsabile tecnico del Comune, di revoca in autotutela di un’aggiudicazione definitiva ed iniziata in via d’urgenza tre anni prima, relativa alla gara per il servizio triennale di raccolta rifiuti.

Autore: La redazione PERK SOLUTION