Diritto di accesso dei consiglieri comunali agli atti di polizia giudiziaria

Il Comune è tenuto a consentire l’accesso agli atti oggetto dell’istanza del consigliere con esclusione di quelli effettivamente svolti nell’esercizio di attività di polizia giudiziaria coperti da segreto investigativo. È questa, in sintesi, la risposta del Ministero dell’interno ad una richiesta di parere in merito alla possibilità di un consigliere comunale di acquisire copia di alcuni documenti formati nello svolgimento di funzioni di polizia giudiziaria su iniziativa dell’ufficio di polizia locale, relativi ad inviti a comparire negli uffici di polizia giudiziaria per motivi di giustizia.

Il Ministero rammenta che il diritto di accesso dei consiglieri comunali è riconosciuto espressamente dall’articolo 43, comma 2, del TUEL ed è definito dal Consiglio di Stato (sentenza n.4471/2005) “diritto soggettivo pubblico funzionalizzato”, finalizzato al controllo politico-amministrativo sull’ente, nell’interesse della collettività; si tratta, all’evidenza, di un diritto dai confini più ampi del diritto di accesso riconosciuto al cittadino nei confronti del comune di residenza (art.10 T.U.O.E.L.) o, più in generale, nei confronti della P.A., disciplinato dalla legge n. 241/90. Il diritto di accesso del consigliere comunale, seppur ampio,  non implica che esso possa sempre e comunque esercitarsi con pregiudizio di altri interessi riconosciuti dall’ordinamento meritevoli di tutela, e dunque possa sottrarsi al necessario bilanciamento con questi ultimi (Consiglio di Stato-sez. V, sentenza 11 marzo 2021, n. 2089).

Con la  sentenza del 29.02.2024, n.1974 il Consiglio di Stato ha ritenuto legittima la richiesta di un consigliere comunale, sottolineando che solo gli atti di indagine compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria sono coperti dall’obbligo di segreto nei procedimenti penali ai sensi dell’art.329 c.p.p.. Gli atti posti in essere da una pubblica amministrazione (non su delega dell’autorità giudiziaria bensì) nell’ambito dell’attività istituzionale demandatagli dalla legge, sono atti amministrativi ‒ come tali suscettibili di accesso ‒ anche se riguardanti lo svolgimento di attività di vigilanza, controllo e di accertamento di illeciti (per quanto concerne la materia edilizia, ai sensi dell’art.27 del d.P.R. n.380 del 2001) e rimangono tali pur dopo l’inoltro di una denunzia all’autorità giudiziaria.

Pertanto, il Comune è tenuto a consentire l’accesso agli atti oggetto della istanza del consigliere con esclusione di quelli effettivamente svolti nell’esercizio di attività di polizia giudiziaria e come tali coperti da segreto investigativo, la cui individuazione non può che essere rimessa ai competenti uffici dell’ente locale, i quali nell’ipotesi della sussistenza di dubbi interpretativi riferiti a singoli atti e documenti potranno a tal fine effettuare specifiche richieste preventive al competente pubblico ministero.

 

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Legittimo il diniego alla richiesta del Consigliere di accedere con cadenza settimanale a tutto il protocollo del Comune

È legittimo il diniego opposto dall’Amministrazione alla richiesta avanzata da un consigliere comunale di accedere con cadenza settimanale a tutto il protocollo del Comune, trattandosi di modalità che esorbita dai limiti funzionali di esercizio del diritto di accesso previsto dall’art. 43, comma 2, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267. È quanto evidenziato dal Consiglio di Stato, con sentenza del 6 aprile 2023, n. 3564.

Secondo il collegio,  l’accesso con cadenza settimanale a tutto il protocollo dell’ente non può rivelarsi strettamente funzionale ai compiti che deve assolvere il consigliere. Sul piano del congestionamento degli uffici, occorre rilevare che la stessa Sezione (cfr. sentenza 3 febbraio 2022, n. 769) ha evidenziato come debba essere operata una certa distinzione tra semplice accesso agli atti ed accesso che implica, nella sostanza, una “innovazione organizzativa radicale” ossia “un nuovo atto organizzativo generale”. Ciò avviene nella misura in cui si chiede una mole di dati ed informazioni “pari alla latitudine dell’intera amministrazione di riferimento”. Circostanza questa che si verifica anche nel caso di specie, allorché si chiede di accedere settimanalmente (e dunque anche sistematicamente) a tutto il protocollo dell’ente. Ebbene in queste ipotesi il diritto del consigliere, che non è illimitato, trova un limite nella sua funzione stessa (che non è quella di affiancarsi alla struttura amministrativa istituendo, in concreto, una nuova figura organizzativa e dunque nuovi assetti funzionali e ulteriori modelli procedimentali) e soprattutto nel principio di proporzionalità dell’azione amministrativa.

Più in particolare, una siffatta domanda è diretta non tanto ad esercitare un ben delimitato (per quanto vasto) accesso agli atti ma, piuttosto, ad introdurre e implementare un nuovo modello organizzativo e procedimentale, diretto come tale a consentire in maniera sistematica un determinato modus operandi a carico della P.A. In altre parole, il perimetro di azione e di conoscenza rispetto a determinati dati ed informazioni non risulta ampio e allo stesso tempo comunque delimitato come in occasione dei precedenti della Sezione stessa [es. gestione tassa rifiuti (sentenza n. 2189 del 1° marzo 2023); concessione dei benefici post COVID (sent. n. 2089 dell’11 marzo 2021); abusi edilizi territorialmente e temporalmente circoscritti (sent. n. 8667 del 10 ottobre 2022); servizio TARI per un biennio (sent. n. 3161 del 19 aprile 2021)] ma si rivela, piuttosto, irragionevolmente e indistintamente esteso a tutta l’attività dell’amministrazione comunale.

 

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Richiesta di accesso dei consiglieri comunali alle posizioni contributive IMU e TARI

In materia di diritto d’accesso dei consiglieri comunali, ciò di cui viene a conoscenza il consigliere dovrà essere utilizzato solo per finalità pertinenti al mandato, rispettando il dovere del segreto secondo quanto previsto dalla legge e nel rispetto dei principi sulla privacy. È questa la risposta del Ministero dell’Interno ad una richiesta di parere in materia di accesso agli atti dei consiglieri comunali ai sensi dell’art. 43, comma 2, del TUEL. In particolare, è stato chiesto se sia ostensibile al consigliere comunale, che ha presentato istanza di accesso, l’elenco dei contribuenti, relativo alle posizioni contributive Imu e Tari, completo dei dati anagrafici e fiscali nonché della posizione contributiva di ciascun contribuente.

Il Ministero ricorda che il “diritto di accesso” ed il “diritto di informazione” dei consiglieri comunali nei confronti della P.A. trovano la loro disciplina specifica nell’art.43 del decreto legislativo n.267/00 che riconosce ai consiglieri comunali e provinciali il “diritto di ottenere dagli uffici, … del comune, nonché dalle … aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato”. Dal contenuto della citata norma, si evince il riconoscimento in capo al consigliere comunale di un diritto dai confini più ampi sia del diritto di accesso ai documenti amministrativi attribuito al cittadino nei confronti del comune di residenza (art.10, T.U. Enti locali) sia, più in generale, nei confronti della P.A. quale disciplinato dalla legge n.241/90. Più recentemente, il T.A.R. Friuli Venezia Giulia-Trieste, Sez.I, con sentenza del 9 luglio 2020, n.253, pur riconoscendo il diritto del consigliere comunale di ottenere dagli uffici del comune tutte le notizie e le informazioni utili all’espletamento del proprio mandato, diritto ampiamente affermato dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, ha ritenuto non assentibile “la pretesa dell’interessato, non assistita da alcun corrispondente obbligo di legge gravante sull’ente civico, di esercitare il diritto in questione nella modalità a lui più gradita”, precisando che non si possono “invadere spazi intangibili di discrezionalità, né, tanto meno, sostituirsi all’Amministrazione in valutazioni di carattere organizzativo/funzionale che solo ad essa competono e che fuoriescono dal perimetro proprio della speciale forma di accesso spettante ai consiglieri comunali ex art.43 del d.lgs. n.267/2000″.

Il diritto del consigliere comunale all’accesso agli atti dell’ente locale ex art. 43, c.2, D.Lgs. n.267 del 2000 non è, dunque, incondizionato” (Cons. Stato, Sez.V, 11 marzo 2021, n.2089)”. Trattasi di un diritto soggettivo pubblico funzionale alla cura di un interesse pubblico connesso al mandato derivante dal risultato elettorale. È, tuttavia, ovvio che i dati e le informazioni di cui viene a conoscenza il consigliere comunale devono essere utilizzati solo per le finalità realmente pertinenti al mandato, rispettando il dovere del segreto secondo quanto previsto dalla legge e nel rispetto dei principi in materia di privacy. Il rapporto sinergico fra il diritto di accesso ed il diritto alla privacy rappresenta due interessi e diritti di primario e pari rango che, in quanto tali, sono meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico. Quindi, non è sufficiente rivestire la carica di consigliere comunale per avere diritto all’accesso, ma è necessario, come prescritto dall’art.43 TUOEL, che la domanda muova da una effettiva esigenza del consigliere affinché tutte le informazioni e le notizie acquisite siano utili all’espletamento del proprio mandato. Pertanto, l’esercizio del diritto di accesso è finalizzato, certamente all’espletamento del mandato, costituendone il presupposto che lo legittima ma è anche, al tempo stesso, un suo limite, in quanto è funzionale esclusivamente allo svolgimento della missione del consigliere comunale (Cons. Stato, sez.V, sentenza 26 settembre 2000, n.5109).

 

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Il diritto di accesso dei consiglieri comunali non è assoluto e illimitato

È legittimo il diniego opposto dall’Amministrazione alla richiesta avanzata da un consigliere comunale di accedere da remoto, mediante apposite credenziali e password, al sistema informatico (in particolare, al protocollo informatico e al sistema informatico contabile) del Comune, trattandosi di modalità che esorbita dai limiti funzionali di esercizio del diritto di accesso previsto dall’art. 43, comma 2, del TUEL. È quanto stabilito dal Consiglio di Stato, Sezione V, con sentenza 3 febbraio 2022, n. 769. La Sezione ricorda che, ai sensi dell’art. 43, comma 2, il fondamento del diritto di accesso del consigliere comunale trova ragione e limite nell’utile esercizio della funzione di componente dell’organo di cui è parte, sicché accede all’esplicazione, individuale o collegiale, delle funzioni proprie di quell’organo e non è un’attribuzione personale del consigliere medesimo.
Oggetto dell’accesso possono essere non solo provvedimenti o documenti amministrativi ma anche ogni informazione o notizia relativa all’organizzazione amministrativa e alla gestione delle risorse pubbliche; l’accesso non è condizionato alla dimostrazione di un personale interesse (alla conoscenza dell’atto ovvero alla acquisizione dell’informazione) o alla presentazione di una giustificazione. In ogni caso, quanto a contenuto, non si tratta di un diritto assoluto e senza limiti: lo si ricava dalla particolare funzione pubblica consiliare cui è servente questo tipo di accesso, che lo contiene nei termini dei definiti poteri del Consiglio comunale (essendo l’accesso strumentale all’esercizio del mandato consiliare).
Perciò il particolare diritto di accesso del consigliere non è illimitato, vista la sua potenziale pervasività e la capacità di interferenza con altri interessi primariamente tutelati. Occorre così che un tale particolare accesso, per essere funzionalmente correlato al migliore svolgimento del mandato consiliare:
a) non incida sulle prerogative proprie degli altri organi comunali, a necessaria garanzia delle funzioni che a questi (il Sindaco e la Giunta) e non al Consiglio l’ordinamento attribuisce, nel quadro dell’assetto dell’ente;
b) non sia in contrasto con il principio costituzionale di razionalità e buon funzionamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.);
c) avvenga con modalità corrispondenti al livello di digitalizzazione della amministrazione (cfr. art. 2, comma 1, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82).

 

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Accesso da remoto al protocollo informatico e al sistema di contabilità da parte dei consiglieri

Sussiste il diritto dei consiglieri comunali e provinciali di ottenere dagli uffici dell’Ente, nonché dalle aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. È riconosciuto, altresì, il diritto dei consiglieri ad accedere da remoto al protocollo informatico ed al sistema informatico contabile dell’ente, in relazione ai soli dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica del protocollo, non potendo essere esteso al contenuto della documentazione, la cui acquisizione rimane soggetta alle ordinarie regole in materia di accesso. È quanto ribadito dal Ministero dell’Interno (parere del 28 luglio 2021), in riscontro ad un quesito formulato da un segretario comunale, in merito alla possibilità dei consiglieri di accedere da remoto al protocollo informatico ed al sistema di contabilità dell’ente, ai sensi dell’art. 43 del TUEL. Il Ministero, nel richiamare la giurisprudenza amministrativa, ribadisce che il diritto di accesso del consigliere è sottoposto alla regola del ragionevole bilanciamento propria dei rapporti tra diritti fondamentali; se da un lato è vero che il diritto di accesso di un consigliere comunale è più ampio per il proprio mandato politico-amministrativo, rispetto all’accesso agli atti amministrativi previsto dall’art. 7 della legge n. 241/1990, è altrettanto vero che tale estensione non implica che esso possa sempre e comunque esercitarsi con pregiudizio di altri interessi riconosciuti dall’ordinamento meritevoli di tutela, e dunque possa sottrarsi al necessario bilanciamento con quest’ultimi.

 

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Diritto di accesso agli atti e interruzione di pubblico servizio

L’esercizio legittimo del diritto d’accesso previsto dalla L. n. 241 del 1990, art. 22 e ss., non integra, anche quando esercitato con plurime richieste, l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 340 c.p., se non è dimostrato il nesso di causalità fra le plurime richieste e il turbamento dell’attività del pubblico ufficio o servizio, né l’elemento soggettivo, se non sia accertata la coscienza e volontà, anche nella forma del dolo eventuale, del privato di strumentalizzare il diritto d’accesso per turbare il regolare funzionamento delle attività contemplate dall’art. 340 c.p.. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. Sentenza 1° luglio 2021, n. 25296. Nel caso di specie, la Corte di appello di Firenze, con sentenza n. 6690/2019 del 28/11/2019, riformando la decisione del Tribunale di Firenze, ha assolto il privato cittadino dal reato residuo ascrittogli ex artt. 81 e 340 c.p. – per avere turbato con condotte intimidatorie la regolarità dei servizi del Comune con continue e immotivate richieste di accesso agli atti così da impegnare totalmente (dal luglio del 2011 al gennaio del 2014) i servizi tecnici e legali a copiare gli atti per rispondere ai quesiti da lui posti circa svariate pratiche edilizie. La Corte ha evidenziato che costituisce interruzione di ufficio o di pubblico servizio ogni condotta che determini una qualunque temporanea alterazione, oggettivamente apprezzabile, della regolarità dell’ufficio o del servizio, anche se coinvolgente un settore e non la totalità delle attività (Sez. 6, n. 1334 del 12/12/2018, dep. 2019, Carannante, Rv. 274836; Sez. 5, n. 1913 del 16/10/2017, dep. 2018, Andriulo, Rv. 272321; Sez. 6, n. 19676 del 16/04/2014, Musolino, Rv. 259768), il che particolarmente vale quando il settore si inserisce in un ufficio di non grandi dimensioni (Sez. 6 n. 6412 del 2 febbraio 2016, Caminiti, non mass.). Tuttavia, il reato ex art. 340 c.p., non è configurabile se il servizio pubblico nel suo complesso continua a funzionare regolarmente adempiendo allo scopo per il quale è stato predisposto (Sez. 6, n. 9422 del 17/02/2016, non mass.). La Corte di appello ha rilevato, in specie, che dai contenuti delle testimonianze acquisite si ricava che: a) l’imputato (che agì rappresentando soggetti che avevano interessi specifici in relazione alle situazioni oggetto delle istanze e che esercitavano il diritto riconosciuto dalla L. n. 241 del 1990, art. 22) si è sempre comportato educatamente, ha rispettato i protocolli – senza pretendere trattamenti di favore o risposte prima dello scadere dei termini fissati dalla legge – e non ha formulato istanze pretestuose o richiesto atti inesistenti; b) l’ufficio comunale non è mai stato costretto a chiudere a causa della condotta di G., nè, in conseguenza dei colloqui fra gli impiegati e l’imputato si sono mai formate code tali da congestionare l’uffici impedendone il normale funzionamento.

 

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Diritto di accesso agli atti da parte del terzo sottoscrittore di un accordo transattivo con la PA

Sussiste in capo al soggetto – controparte contrattuale della Amministrazione e titolare di specifiche pretese creditorie nascenti dalla stipulazione dell’accordo transattivo – di un “interesse diretto, concreto e attuale” ex art. 22, comma 1, lett. b), legge n. 241/90 alla conoscenza degli atti, di tutti gli atti, esecutivi di quel rapporto e, segnatamente, dei mandati di pagamento all’uopo disposti dal Comune. È quanto evidenziato dal TAR Campania, con sentenza n. 5267 del 16 novembre 2020. Nel caso di specie la società ricorrente – a seguito della stipulazione di un accordo transattivo con il resistente Comune, avente ad oggetto il rapporto inter partes riveniente dall’espletamento del servizio di igiene urbana da parte di essa ricorrente, ed oggetto di contenzioso in sede civile – chiedeva di accedere a copia di tutti i mandati di pagamento emessi dal Comune a favore della ricorrente in ragione di detta transazione. Ciò al fine di conoscere gli importi effettivamente liquidati e la tempistica degli stessi, al dichiarato scopo di eventualmente attivare la clausola di cui all’art. 4 della transazione non essendo stata pagata la transazione nella sua interezza, anche a seguito di presunti pignoramenti da parte di terzi.
I giudici amministrativi hanno ricordato che l’accesso agli atti costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, afferente a livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali “di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. L’art. 24, comma 7, l. 241/90 prescrive infatti che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici” (in senso analogo: art. 4, comma 1, DM 415/94).
Le prerogative difensive, indefettibilmente garantite in sede giurisdizionale o procedimentale dai principi costituzionali (artt. 24, 97, 111 e 113 Cost.) nonché dalle disposizioni della CEDU (art. 6) e dalla Carta di Nizza (art. 47), devono indefettibilmente essere garantite. Di talché, allorquando la conoscenza di atti sia necessaria all’esercizio di dette prerogative (che altrimenti non potrebbero esplicarsi, in tutto o in parte), l’interesse alla riservatezza ovvero le ragioni di segretezza, o ancora gli altri, diversi, interessi sottesi ai casi di limitazione o esclusione del diritto di accesso, recedono, determinando la riespansione della regola generale costituita dalla ostensibilità degli atti.

 

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Diritto di accesso agli atti da parte del Consigliere comunale

Il Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali del Ministero dell’Interno, con parere reso in risposta ad una segnalazione da parte di un consigliere comunale, delinea le coordinate normative ed interpretative di cui occorre tenere presente e valutare in ordine all’esercizio del diritto di accesso, esercitabile dai consiglieri comunali, ai sensi dell’art. 43, comma 2, del TUEL. Tale disposizione prevede che “I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”.
Tale forma di diritto di accesso, finalizzata al controllo politico-amministrativo sull’ente, presenta confini più ampi del diritto di accesso riconosciuto al cittadino nei confronti del Comune di residenza (art. 10 TUEL) o, più in generale, nei confronti della P.A., disciplinato dalla legge n. 241/1990. Il diritto di accesso dei consiglieri, infatti, è strettamente funzionale all’esercizio delle loro funzioni, alla verifica e al controllo del comportamento degli organi istituzionali decisionali dell’ente locale ai fini della tutela degli interessi pubblici (piuttosto che di quelli privati e personali) e si configura come peculiare espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività (cfr. T.A.R. Basilicata – sez. I, 3 agosto 2017, n.564, richiamata anche da T.A.R. Sicilia – Catania n.926 del 4 maggio 2020).
Il diritto ad ottenere dall’ente tutte le informazioni utili all’espletamento del mandato non incontra alcuna limitazione derivante dalla loro eventuale natura riservata, fermo restando che esso deve avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali e non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative. Tuttavia la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto dall’Ente, al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso (cfr. Cons. Stato – sez. V, 5 settembre 2014, n.4525; T.A.R. Toscana – sez. I, 28 gennaio 2019, n.133).
La recente giurisprudenza amministrativa è giunta alla conclusione che il diritto di accesso dei consiglieri comunali vada necessariamente correlato al progressivo e radicale processo di digitalizzazione dell’organizzazione e dell’attività amministrativa, risultante dal Codice dell’Amministrazione digitale (TAR Basilicata, sentenza n. 599/2019). I giudici amministrativi, hanno ribadito che tale disciplina, per quanto di rilievo, impone allo Stato, alle regioni e alle autonomie locali di assicurare “la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale”, “utilizzando con le modalità più appropriate le tecnologie dell’informazione e della comunicazione” (cfr. art. 2, co. 1), e precisando che “i dati delle pubbliche amministrazioni sono formati, raccolti, conservati, resi disponibili e accessibili con l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione che ne consentano la fruizione e riutilizzazione, alle condizioni fissate dall’ordinamento, da parte delle altre pubbliche amministrazioni e dei privati”. Ne consegue che l’Amministrazione comunale abbia il dovere di dotarsi di una piattaforma integrata di gestione documentale, nell’ambito della quale è inserito anche il protocollo informatico. Corrispondentemente, il consigliere comunale ha il diritto di soddisfare le esigenze conoscitive connesse all’espletamento del suo mandato anche attraverso la modalità informatica, con accesso da remoto (cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 4 aprile 2019, n. 545; T.A.R. Sardegna, 4 aprile 2019, n. 317). In particolare, al fine di evitare ogni accesso indiscriminato alla totalità dei documenti protocollati, il TAR ha manifestato “l’avviso che l’accesso da remoto vada consentito in relazione ai soli dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica del protocollo, non potendo essere esteso al contenuto della documentazione, la cui acquisizione rimane soggetta alle ordinarie regole in materia di accesso – tra le quali la necessità di richiesta specifica” (v. anche sent. del C.d.S. n.3486 dell’8.06.2018).
A tal riguardo, si ricorda che il TAR Friuli-Venezia Giulia, con sentenza 9 luglio 2020, n. 253, ha ritenuto legittimo il diniego opposto dall’Amministrazione alla richiesta avanzata da un consigliere comunale di accedere da remoto, mediante apposite credenziali e password, al sistema informatico (in particolare, al protocollo informatico e al sistema informatico contabile) del Comune, trattandosi di modalità che esorbita dai limiti funzionali di esercizio del diritto di accesso previsto dall’art. 43, comma 2, del TUEL. Secondo i giudici friulani, tale modalità di esercizio del diritto di accesso, oltre a consentire un accesso potenzialmente illimitato a tutti gli atti che, a vario titolo, transitano (sono transitati o transiteranno) per il sistema informatico comunale, pare, in ogni caso, travalicare il limite intrinseco della utilità per l’espletamento del mandato, che perimetra tale particolare forma di accesso che, pur estendendosi alle “notizie” e alle “informazioni” in possesso dell’ente, va, in concreto, esercitato in maniera necessariamente ragionevole e congrua al vincolo di funzionalità che lo connota, essendo mero strumento per svolgere in maniera consapevole, informata, adeguatamente preparata e, occorrendo, costruttivamente critica il ruolo di componente dell’organo consiliare. Molti atti che vengono “veicolati” attraverso il protocollo comunale, anche se resi disponibili in forma di mera sintesi, possono rendere immediatamente consultabili “dati”, anche personalissimi, che non possono considerarsi in alcun modo attratti nella sfera di necessaria conoscenza e/o conoscibilità che deve essere assicurata ai consiglieri comunali, sì da rendere, conseguentemente, ingiustificato il “trattamento” che in tal modo verrebbe effettuato, peraltro in assenza delle necessarie garanzie, essendo palese che il “segreto” cui sono tenuti i consiglieri comunali ai sensi dell’art. 43, comma 2, ult. periodo, TUEL nulla ha a che vedere con le garanzie che devono, per l’appunto, presidiare il trattamento dei dati personali. È quanto stabilito dal TAR Friuli-Venezia Giulia, con sentenza 9 luglio 2020, n. 253.

 

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Il creditore del Comune in Piano di riequilibrio ha diritto di accesso a tutti gli atti pertinenti alla procedura

Dal punto di vista soggettivo, sussiste la legittimazione della ricorrente a richiedere l’ostensione dei documenti, delle informazioni e dei dati concernenti la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale avviata dal Comune, ai sensi dell’art. 243-bis d. lgs. 267/2000; tale legittimazione sussiste:

  • sia ai sensi dell’art. 5 comma 2 del d. lgs. n. 33/2013, venendo in considerazione atti detenuti dall’amministrazione comunale non rientranti nelle ipotesi di esclusione dell’accesso civico di cui all’art. 5-bis d.lgs. 33/2013, e quindi soggetti ad accesso civico da parte di chiunque (e concretamente esercitato dalla parte ricorrente con l’istanza del 26 gennaio 2020);
  • sia ai sensi dell’art. 22 e ss. L. 241/90, essendo la ricorrente titolare di interesse qualificato all’accesso in quanto creditore dell’amministrazione comunale e come tale portatrice di un interesse differenziato alla conoscenza della solidità patrimoniale dell’amministrazione e alle iniziative intraprese per garantirla.

Dal punto di vista oggettivo, sussiste parimenti il diritto della ricorrente ad accedere a tutti gli atti pertinenti alla procedura in questione, non sussistendo né essendo state dedotte dall’amministrazione comunale – nemmeno a fronte della specifica richiesta istruttoria formulata da questo Tribunale – ragioni ostative all’ostensione o alla pubblicazione degli atti ai sensi della normativa vigente in materia di accesso civico (art. 5-bis d.lgs. 33/2013) e di accesso documentale (art. 24 L. 241/90).
È quanto stabilito il TAR Lombardia, Sezione di Brescia, con sentenza n. 547 del 17 luglio 2020, nel ricorso (fondato) promosso da una Società creditrice dell’Ente, per ottenere la condanna dell’amministrazione alla pubblicazione di tutti i documenti pertinenti alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale di cui all’art. 243-bis e ss. d. lgs. 267/2000, ovvero per l’accertamento del diritto di accesso della  Società medesima ai sensi degli artt. 22 e ss. l. 241/90, con eventuale nomina di un commissario ad acta in caso di persistente inottemperanza.

Autore: La redazione PERK SOLUTION