Le P.A. possono autorizzare i propri dipendenti allo svolgimento di lavoro sportivo

Via libera alla nuova disciplina che stabilisce le condizioni alle quali le pubbliche amministrazioni possono autorizzare i propri dipendenti allo svolgimento di lavoro sportivo, in attuazione del decreto legislativo 29 agosto 2023, n. 120 che ha integrato la cosiddetta Riforma dello Sport. È stato firmato infatti dal Ministro per la Pubblica Amministrazione il decreto ministeriale con cui vengono fissati i parametri per la gestione delle richieste dei dipendenti pubblici che intendano lavorare nello sport a titolo oneroso.

Il testo, adottato di concerto con il Ministro per lo Sport e i giovani, Andrea Abodi, sentiti il Ministro della Difesa, il Ministro dell’Interno, il Ministro dell’Istruzione e del merito e il Ministro dell’Università e della ricerca, chiede in primo luogo, secondo i principi dell’ordinamento vigenti in materia di pubblico impiego, l’assenza di cause di incompatibilità, che possano ostacolare l’esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente della PA, e l’insussistenza di conflitto di interessi in relazione all’attività svolta nell’ambito dell’amministrazione.

Il provvedimento, inoltre, stabilisce che l’attività di lavoro sportivo, una volta autorizzata, non debba pregiudicare lo svolgimento regolare del servizio né intaccare l’indipendenza del lavoratore, esponendo l’amministrazione al rischio di comportamenti che non siano funzionali al perseguimento dei canoni di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa. Infine, per i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo pieno, la prestazione di lavoro sportivo non deve avere carattere di prevalenza in relazione al tempo e alla durata: l’attività è considerata prevalente se impegna il dipendente per un tempo superiore al 50% dell’orario di lavoro settimanale stabilito dal contratto collettivo nazionale di riferimento.

La disciplina del decreto non si applica al personale in servizio presso i Gruppi sportivi militari e i Gruppi sportivi dei Corpi civili dello Stato quando espleta la propria attività sportiva in quanto militari, e a atleti, quadri tecnici, arbitri/giudici e dirigenti sportivi, appartenenti alle Forze Armate e ai Corpi Armati e non dello Stato, che possono essere autorizzati dalle amministrazioni d’appartenenza quando richiesti dal CONI, dal CIP, dalle Federazioni sportive nazionali e dalle Discipline sportive associate o sotto la loro egida, per i quali sono in corso di elaborazione delle linee guida attuative, utili per le amministrazioni di appartenenza che hanno richiesto ulteriori precisazioni e che saranno emanate nelle prossime settimane. Il provvedimento è attualmente all’esame degli Organi di controllo per la registrazione.

 

La redazione PERK SOLUTION

Dipendente pubblico titolare di partita IVA per l’esercizio di attività agricola in forma non professionale

L’esercizio dell’attività agricola in forma non professionale non appare incompatibile con il principio di esclusività del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, tanto vero che già l’art. 60 d.P.R. n. 3/1957 (recante il
testo unico degli impiegati civili dello Stato) ed oggi l’art.53 d.lgs. n. 165/2001 vietano espressamente ai pubblici impiegati l’esercizio dell’industria e del commercio, ma non anche l’esercizio dell’attività agricola.

Il Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 2120/2023, ha chiarito che l’apertura di una partita IVA se strettamente funzionale all’esercizio non professionale dell’attività agricola per il corretto adempimento delle facoltà e degli oneri connessi alla proprietà di un fondo rustico, non può di per sé ritenersi vietata, purché detto esercizio resti limitato e strettamente correlato, quale sua necessaria e ancillare proiezione, al corrispondente assetto dominicale. Una diversa interpretazione non sarebbe compatibile con il nucleo essenziale delle prerogative dominicali ed anzi recherebbe vulnus all’effettività del diritto fondamentale di proprietà (art. 42, 2° comma, Cost.) anche nella sua più lata interpretazione che ne ha dato la Corte EDU (in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale n.1 alla Convenzione), perché si tradurrebbe nella imposizione, peraltro senza copertura normativa, di limitazioni ingiustificate all’uso ed al godimento di un bene immobile ed alle sue potenzialità reddituali, in
insanabile contrasto, anche sul piano della logica e della ragionevolezza, con ciò che un pubblico dipendente potrebbe normalmente fare con beni immobiliari di diversa natura ( ad es. concessione in locazione di un appartamento).

 

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Anagrafe digitale dei dipendenti pubblici, in Gazzetta il decreto attuativo

È stato pubblicato in G.U. n. 65 del 17-3-2023 il decreto interministeriale che disciplina il funzionamento dell’Anagrafe dei dipendenti pubblici. Un importante passo in avanti nel censimento digitale di tutti gli appartenenti alla Pubblica amministrazione, che porterà alla creazione del fascicolo digitale del dipendente.

Il decreto contribuisce a raggiungere gli obiettivi della Missione “Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella PA” (M1C1) del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). “L’Anagrafe darà ulteriore impulso al processo di digitalizzazione della PA – sottolinea il ministro Zangrillo –. Si tratta di uno strumento utile per il coordinamento e la verifica delle attività di organizzazione delle amministrazioni, essenziale per una più efficace analisi dei fabbisogni di personale e di programmazione delle assunzioni. Favorirà inoltre i processi di sviluppo delle competenze. A regime, il fascicolo elettronico del dipendente sarà integrato con le informazioni acquisite sul Portale inPA e conterrà le informazioni sul percorso professionale di ogni lavoratore pubblico, dalla formazione alla mobilità”.

L’atto disciplina le modalità di comunicazione dei dati e quelle di funzionamento della nuova Anagrafe digitale, che sarà gestita dal Dipartimento della funzione pubblica (DFP). Sarà costruita, in prima applicazione, a partire dai dati già disponibili con il sistema NoiPA del ministero dell’Economia e delle finanze (MEF), che garantisce il calcolo dei cedolini di circa 1,9 milioni di dipendenti pubblici e in cui viene prevista un’area dedicata a cui accede il DFP. Per il personale restante, sarà l’INPS a fornire al MEF le informazioni che le amministrazioni trasmettono periodicamente per gli obblighi contributivi, mentre altri soggetti informatori saranno individuati con specifiche convenzioni.

Il testo – dando attuazione all’art. 34-ter del Dlgs n. 165/2001, introdotto con il decreto-legge n. 17/2022 – prevede una prima fase di sperimentazione, di almeno sei mesi, e disciplina le tipologie di informazioni che formeranno l’Anagrafe dei dipendenti pubblici: dati anagrafici, stato giuridico e trattamento economico, relativi sia al personale dipendente a tempo indeterminato che a quello a tempo determinato. I dati anagrafici riguardano, in particolare: il codice fiscale; l’indirizzo e-mail “aziendale”; il numero di telefono della postazione in ufficio; la cittadinanza; lo stato civile; la residenza; il titolo di studio; l’eventuale iscrizione ad albo professionale. Sul piano del rapporto di lavoro, l’Anagrafe conterrà: la data di nomina nell’incarico in essere; l’amministrazione di appartenenza; la qualifica; l’unità organizzativa; la sede di lavoro; la modalità di assunzione (concorso, mobilità obbligatoria o volontaria); il tipo di impiego (tempo pieno o part-time e se, nel caso, determinato); gli eventuali incarichi conferiti; l’anzianità di servizio; l’eventuale data di cessazione del rapporto e l’eventuale percentuale di invalidità o assistenza a familiari.

Attenzione è riservata alla privacy: i dati presenti in Anagrafe saranno trattati secondo la normativa vigente in materia di protezione dei dati personali e saranno utilizzati da MEF e DFP in forma aggregata per l’analisi e la reportistica. L’utilizzo dei dati sarà comunque limitato allo svolgimento dei compiti istituzionali del DFP, quali reclutamento e concorsi, gestione della mobilità e gestione degli incarichi (Fonte Funzione Pubblica).

 

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Dipendenti pubblici, via libera dal Cdm alle modifiche del Codice di comportamento

Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, ha approvato un regolamento concernente modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, recante “Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell’articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”.

Lo schema di DPR, adottato in attuazione di quanto previsto dal decreto legge cosiddetto ‘Pnrr 2’ (dl n. 36/2022), integra gli elementi costitutivi della Milestone M1C1-58, del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), di riforma della Pubblica amministrazione, che deve essere conclusa entro la scadenza del primo semestre del prossimo anno (30 giugno 2023). Il decreto segue le direttrici di riforma previste dal Pnrr e aggiorna coerentemente il Codice vigente del 2013, per adeguarlo al nuovo contesto socio-lavorativo e alle esigenze di maggiore tutela dell’ambiente, del principio di non discriminazione nei luoghi di lavoro e a quelle derivanti dall’evoluzione e dalla maggiore diffusione di internet e dei social media.

Il testo, tra l’altro, disciplina l’utilizzo delle tecnologie informatiche prevedendo la facoltà per l’amministrazione di svolgere gli accertamenti necessari a verificare il loro corretto utilizzo e a garantire la sicurezza degli stessi sistemi informatici, nel pieno rispetto della tutela della privacy dei dipendenti. Si prevede un obbligo di comportamento per i dipendenti conformato al rispetto dell’ambiente, finalizzato alla riduzione del consumo energetico, della risorsa idrica e più in generale dei materiali e delle risorse fornite dall’amministrazione per l’assolvimento dei propri compiti, nonché per la riduzione dei rifiuti e per il loro riciclo.

Si vietano le discriminazioni, precisando che il dipendente è obbligato a conformare la condotta sul luogo di lavoro al rispetto della personalità, della dignità e dell’integrità fisica e psichica degli altri dipendenti e, in tema di rapporti con il pubblico, si prevede un comportamento idoneo alla soddisfazione dell’utente. Per i dirigenti, si specificano i canoni della condotta interna ed esterna in termini di integrità, imparzialità, buona fede e correttezza, parità di trattamento, equità, inclusione e ragionevolezza e si prevede il dovere dei dirigenti di cura e formazione dei collaboratori.

 

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