Corte dei conti, danno da disservizio e danno all’immagine

La falsa attestazione della presenza in servizio, attuata dal pubblico dipendente mediante l’omesso utilizzo del badge durante i periodi di assenza, con conseguente assenza ingiustificata dal posto di lavoro, integra una fattispecie di danno da disservizio, che nel caso di specie è consistito nel pregiudizio arrecato all’Ente dai maggiori costi sostenuti per l’attivazione (e conclusione) del procedimento disciplinare apertosi nei confronti del dipendente, con conseguente distrazione di risorse ed energie lavorative dell’Amministrazione dal perseguimento dei fini propri e senza alcuna utilità per l’Ente danneggiato. Sussiste, altresì, danno dall’immagine cagionato dal medesimo dipendente (che abbia falsamente attestato la propria presenza in servizio), a prescindere dal livello di diffusione della notizia dell’illecito tramite i “mass media”, che nel caso di specie è stata divulgata solo all’interno dell’Amministrazione, poiché tale ultimo aspetto incide sulla misura del danno e non sulla sua intrinseca sussistenza. Il danno all’immagine è azionabile da parte del Pubblico ministero contabile senza che le false attestazioni siano state accertate con sentenza penale irrevocabile di condanna. La quantificazione del danno all’immagine va effettuata in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., applicando gli indicatori di lesività elaborati dalla consolidata giurisprudenza in materia. Per contro, non sussiste danno patrimoniale contestato dalla Procura erariale per la falsa attestazione in servizio del medesimo dipendente, quando l’Ente di appartenenza abbia posto in essere, tempestivamente, iniziative volte ad evitare il perpetrarsi dell’illecito, quali la disposta sospensione per tre mesi dal servizio, impedendo, conseguentemente, una possibile compensazione del “debito orario” mensile e/o giornaliero con le ore di presenza illecitamente attestate dal dipendente e l’erogazione del compenso a titolo di straordinario per le ore predette. È il principio di diritto enunciato dalla Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Sardegna, con sentenza n. 313/2020.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Danno all’immagine della PA: incostituzionale l’azione di responsabilità amministrativa nei confronti dei dipendenti assenteisti

La Corte costituzionale, con sentenza 10 aprile 2020, n. 61 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 76 Cost., del secondo, terzo e quarto periodo del comma 3-quater dell’art. 55-quater del d.lgs. n. 165 del 2001, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 116 del 2016,  in materia di licenziamento disciplinare sul danno all’immagine della P.A. arrecato da indebite assenze dal servizio dei dipendenti pubblici.
La pronuncia della Consulta ha avuto origine dal fatto che la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per l’Umbria, nel giudizio di responsabilità promosso dalla Procura regionale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 55-quater, comma 3-quater, ultimo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), inserito dall’art. 1, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 20 giugno 2016, n. 116, recante «Modifiche all’articolo 55-quater del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera s), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di licenziamento disciplinare», in attuazione dell’art. 17, comma 1, lettera s) della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), in riferimento all’art 76 della Costituzione, nonché all’art. 3 Cost., anche in combinazione con gli artt. 23 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e all’art. 4 del Protocollo n. 7 di detta Convenzione fatto a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98.
Il remittente ha ritenuto violato innanzitutto l’art. 76 della Cost. in quanto la norma introdotta dal legislatore delegato – art. 1, comma 1 del D.lgs. n. 116/2016 – in attuazione dell’art. 17, comma 1, lett. s), della legge n. 124/2015, in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti, non avrebbe potuto incidere sulla disciplina dell’azione di responsabilità amministrativa, né tanto meno avrebbe potuto porre regole finalizzate a far assumere ai criteri di computo del danno all’immagine una valenza sanzionatoria, non confondibile, sia funzionalmente che strutturalmente, con il procedimento disciplinare che il legislatore delegato aveva posto a base della delega.
La Corte dei conti ritiene violato altresì l’art. 3 Cost., anche in combinazione con gli art. 23 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU e all’art. 4 del Protocollo n. 7, in quanto norme interposte, per violazione dei principi di gradualità e proporzionalità sanzionatoria. La previsione normativa sarebbe manifestamente irragionevole in quanto obbligherebbe il giudice contabile a infliggere una condanna sanzionatoria senza tener conto dell’offensività in concreto della condotta posta in essere. Obietta, inoltre, che l’obbligatorietà del minimo sanzionatorio («sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia»), in ipotesi di fondatezza della contestazione relativa al danno all’immagine, impedirebbe al Collegio di dare rilevanza ad altre circostanze peculiari e caratterizzanti il caso concreto, imponendo al giudicante un verdetto condannatorio pur in presenza di condotte marginali e tenui che abbiano prodotto un pregiudizio minimo, violando sia il principio di proporzionalità che quello della gradualità sanzionatoria. La disposizione violerebbe pertanto i principi fondamentali e generali in materia sanzionatoria impedendo una valutazione appropriata della fattispecie concreta ponendosi in contrasto con la giurisprudenza sovranazionale convenzionale ed eurounitaria.

La decisione della Consulta

Sulla questione, la Corte costituzionale ha osservato che l’obbligo del risarcimento sia del danno patrimoniale che del danno all’immagine subìti dall’amministrazione, non si rinviene nella legge di delegazione n. 124 del 2015.
L’art. 17, comma 1, lettera s), di detta legge prevede unicamente l’introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti, finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare.
Tale particolare disposizione di delega, come risulta dagli atti preparatori, non era presente nel testo iniziale del disegno di legge (A.S. n. 1577), ma è stata introdotta con emendamento (n. 13.500) del relatore nel corso dell’esame in Senato. Nella discussione parlamentare la questione della responsabilità amministrativa non risulta essere mai stata oggetto di trattazione.
Quindi, la materia delegata è unicamente quella attinente al procedimento disciplinare, senza che possa ritenersi in essa contenuta l’introduzione di nuove fattispecie sostanziali in materia di responsabilità amministrativa.
In proposito, la Corte ha affermato più volte che, in quanto delega per il riordino, essa concede al legislatore delegato un limitato margine di discrezionalità per l’introduzione di soluzioni innovative, le quali devono comunque attenersi strettamente ai princìpi e ai criteri direttivi enunciati dal legislatore delegante (ex multis, sentenze n. 94, n. 73 e n. 5 del 2014, n. 80 del 2012, n. 293 e n. 230 del 2010). Non può dunque ritenersi compresa la materia della responsabilità amministrativa e, in particolare, la specifica fattispecie del danno all’immagine arrecato dalle indebite assenze dal servizio dei dipendenti pubblici.
La disposizione in esame, già testualmente richiamata, prevede una nuova fattispecie di natura sostanziale intrinsecamente collegata con l’avvio, la prosecuzione e la conclusione dell’azione di responsabilità da parte del procuratore della Corte dei conti.
Applicando ad essa il criterio di stretta inerenza alla delega precedentemente enunciato, risulta inequivocabile il suo contrasto con l’art. 76 Cost.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION