Corte dei conti, attenzione sull’eccessivo prolungamento delle operazioni di liquidazione delle partecipazioni

La Corte dei conti, Sez. per l’Abruzzo, con deliberazione n. 17/2023/PRSE, nell’ambito dell’esame dei rendiconti 2020 e 2021 di un Comune, ha sottolineato la necessità che i processi di alienazione delle partecipazioni o di liquidazione delle società vengano definiti e ultimati in modo efficace, evitando che si protraggano oltre i tempi necessari, con conseguente aggravio dei costi per il Comune, anche facendo valere i propri diritti nelle opportune sedi. In particolare, sulla tematica dell’eccessiva durata della procedura di liquidazione, rilevata l’assenza nella vigente normativa di uno specifico termine per la chiusura della procedura, occorre evitare operazioni che si pongano in contrasto con la ratio della liquidazione stessa.

A tal proposito, è stato richiamato in linea generale anche quanto affermato dalle Sezioni Riunite in sede di controllo (deliberazione n. 19/SSRRCO/2020 del 02/12/2020), secondo cui: “L’eccessivo prolungamento temporale, oltre a porsi in contrasto con la funzione della procedura liquidatoria (tesa, in base al codice civile, a mantenere in vita la società al solo scopo di pagare i debiti e riscuotere i crediti, nella prospettiva della ripartizione dell’eventuale fondo patrimoniale residuo), non permette di completare l’effettiva attuazione dei processi di revisione in esame, aventi fonte, per le società pubbliche, nell’esigenza di perseguire obiettivi di carattere generale che trascendono gli interessi dei singoli soci (può farsi rinvio ai principi di tutela della concorrenza e del mercato e di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica, esplicitati dall’art. 1 del d.lgs. n. 175 del 2016)”.

 

La redazione PERK SOLUTION

Questionario controlli interni 2021, invio entro il 31 gennaio 2023

La Corte dei conti, con un avviso pubblicato nell’area riservata del portale, rammenta la trasmissione entro il 31 gennaio 2023 del questionario riguardante i controlli interni svolti nell’anno 2021, come indicato nelle Linee Guida allegate alla delibera n. 16/2022 della Sezione delle autonomie.

Il questionario risponde, principalmente, all’esigenza di cogliere le principali modalità attuative del sistema dei controlli interni che le diverse realtà territoriali hanno adottato, permettendo così di analizzarne il funzionamento ed i risultati raggiunti.

Il sistema dei controlli interni necessita di opportuni adeguamenti per renderlo più rispondente alle esigenze nascenti dalla crisi pandemica (che ha interessato anche il 2021), dall’attuazione del lavoro agile (che ha registrato un significativo sviluppo) e al PNRR (che caratterizzerà l’azione degli enti locali nei prossimi anni). A ciascuna di queste tematiche è dedicata una specifica Appendice. Allo stesso tempo lo schema di relazione -questionario conserva in buona parte inalterato il contenuto delle Linee guida approvate negli scorsi anni, essendosi stabilizzato, dopo la riforma del 2012, il tessuto normativo di riferimento.

Il nuovo schema di relazione, strutturato in un questionario a risposta sintetica, è organizzato in sette sezioni e tre appendici, dedicate alla raccolta di informazioni uniformi per ciascuno dei profili di seguito indicati: Sistema dei controlli interni; Controllo di regolarità amministrativa e contabile; Controllo di gestione; Controllo strategico; Controllo sugli equilibri finanziari; Controllo sugli organismi partecipati; Controllo sulla qualità dei servizi.

Le tre appendici riguardano il Covid, il lavoro agile, il PNRR e il PIAO. Le Sezioni regionali competenti, laddove dalle risposte degli Enti dovessero ravvedere gli estremi di un ridotto grado di affidabilità nel funzionamento del sistema di controlli interni da essi adottato, impegneranno le suddette Amministrazioni in controlli più serrati diretti a ridurre il rischio di possibili ricadute sugli equilibri di bilancio e sulla sana gestione finanziaria dell’Ente.

 

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La Corte dei conti certifica il CCNL Funzioni Locali

La Corte dei conti, Sezioni Riunti in sede di controllo, con deliberazione n. 1 /SSRRCO/CCN/2023, ha certificato positivamente, con osservazioni e  raccomandazioni l’ipotesi di accordo di Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro relativo al personale del comparto Funzioni Locali. Triennio 2019-2021.

Il contratto riguarda il comparto delle Funzioni Locali, che, ai sensi dell’art. 4 del CCNQ del 3 agosto 2021, comprende il personale non dirigente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e a tempo determinato, dipendente da tutte le Aziende ed Enti del comparto (Regioni a statuto ordinario e dagli Enti pubblici non economici dalle stesse dipendenti; Province, Città metropolitane, Enti di area vasta, Liberi consorzi comunali di cui alla legge 4 agosto 2015, n. 15 della regione Sicilia; Comuni; Comunità montane; ex Istituti autonomi per le case popolari ancora in regime di diritto pubblico, comunque denominati; Consorzi e associazioni, incluse le Unioni di Comuni; Aziende pubbliche di servizi alla persona – ex IPAB – che svolgono prevalentemente funzioni assistenziali; Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura). In totale, secondo i dati riportati dal conto annuale RGS, riferiti al 2018, il comparto è composto da una platea di circa 430mila unità (di cui oltre 24mila con contratto di lavoro flessibile e 2.500 collaboratori a tempo determinato assunti in base all’art. 90 TUEL).

Gli incrementi sugli stipendi tabellari (art. 76, commi 1 e 2) sono previsti in tre tranche per i tre anni, ognuna con decorrenza dal primo giorno dell’anno e sono comprensivi della “indennità di vacanza contrattuale” (IVC), erogata in applicazione dell’art. 47-bis, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001. Nello stipendio è, altresì, conglobato l’elemento perequativo (art. 76, comma 3), a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello di sottoscrizione dell’accordo. In raccordo con il nuovo sistema di classificazione, l’Ipotesi introduce un nuovo
elemento nella struttura della retribuzione del personale del comparto, denominato “differenziale stipendiale” (art. 78, comma 3), legato alla carriera economica individuale, destinato ad incrementarsi nel tempo (in numero massimo e predefinito) e che, in sede di prima applicazione, sarà costituito da un assegno “ad personam” finalizzato a riconoscere il differenziale retributivo stipendiale spettante al personale in servizio alla data del passaggio dal vecchio al nuovo sistema di classificazione.

Le raccomandazioni e osservazioni formulate dalla Corte riguardano, in particolare:

  • il sistema degli incarichi, per i quali sarà opportuno verificare che non determinino conflittualità interne, anche al fine di rimuovere e correggere eventuali distorsioni  ed extra-costi gestionali;
  • la copertura assicurativa e il patrocinio legale, che non devono determinare un indebito sollevamento dal principio di responsabilità personale prevista per ciascun dipendente pubblico, né possono spingere gli enti e le aziende ad assumere la difesa diretta di dipendenti con cui siano in conflitto d’interesse (sempre presente nei casi di responsabilità amministrativo contabile), oppure a procedere all’effettuazione di rimborsi per spese legali in assenza della preventiva comunicazione del difensore e degli altri requisiti previsti;
  • la disciplina dei rapporti di lavoro a tempo determinato, affinché siano attentamente valutati i presupposti di applicabilità dell’istituto, nonché per prevenire il rischio di una alterazione degli ordinari criteri di reclutamento del personale;
  • gli istituti di lavoro a distanza, per i quali si auspica una messa a regime che sappia tener conto delle esigenze personali dei dipendenti senza che ciò comprometta il perseguimento di una maggiore efficienza degli enti e dei servizi che vengono rivolti alla collettività;
  • il lavoro agile, in particolare, affinché venga posto in essere un approccio integrale di revisione dei processi operativi in forma telematica, sia in sede sia fuori sede, di predisposizione di nuovi obiettivi per il personale, sia in lavoro agile sia in presenza, con adattamento dei controlli datoriali ai nuovi risultati attesi, affinché anche gli investimenti in formazione possano produrre i vantaggi desiderati.

 

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Limiti sulla possibilità di operare in autotutela sui rendiconti comunali già approvati dal Consiglio

Benché il potere di intervento in autotutela delle amministrazioni sia, in generale, da considerarsi molto esteso, avendo una funzione soprattutto di “auto-correzione”, lo stesso incontra comunque dei limiti. La norma, infatti, prevede che si possa revocare un provvedimento solo per la sopravvenienza di fatti nuovi, di cui l’amministrazione debba necessariamente tenere conto, ovvero per il “preponderante interesse pubblico” (art. 21-quinquies l. n. 214/1990). È quanto stabilito dalla Corte dei conti, Sez Riunite, in speciale composizione, sentenza n. 16/DELC/2022, pronunciandosi sul ricorso proposta da un Comune avverso la pronuncia della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti in merito all’inadempimento del Comune medesimo rispetto alle misure correttive richieste.
Nel caso di specie, dopo lo scioglimento degli organi del Comune e la nomina di un commissario per la gestione corrente fino alle elezioni, il consiglio neoeletto approvava il rendiconto, confermando la grave compromissione degli equilibri finanziari dell’ente. Dopo l’approvazione del rendiconto 2020 l’ente deliberava di accedere alla procedura di riequilibrio e chiedere il Fondo di rotazione, ma allo scadere dei 90 giorni previsti per la redazione del piano, il Comune chiedeva la revoca della procedura di riequilibrio in ragione dell’avvenuto ripristino degli equilibri.

Il Comune interessato, per ripristinare gli equilibri, come dichiarato nella delibera di revoca al ricorso al piano di riequilibrio, aveva riapprovato in autotutela il rendiconto 2020 (senza parere dell’organo di revisione) abbattendo gli accantonamenti del Fondo contenzioso e del FCDE con ciò ottenendo una riduzione drastica del disavanzo del 2020 che, unita alle buone prospettive del rendiconto 2021 ancora da approvare, potevano consentire, ad avviso dell’Ente, di considerare risolta la grave compromissione degli equilibri finanziari. Il Comune aveva altresì proceduto, sempre in autotutela, a riapprovare i rendiconti 2017, 2018 e 2019 nonostante il parere negativo dell’organo di revisione.

Per i giudici, non è dunque sufficiente in sede di delibera di revoca invocare un generico ripensamento, occorre che lo stesso sia motivato adeguatamente nei termini indicati dalla norma citata. Tale previsione di carattere generale deve poi essere calata nell’ambito del regime del rendiconto e in generale dei documenti contabili di un ente. Infatti, il rendiconto è il risultato derivante da un anno di fatti gestori che sono stati registrati nella contabilità dell’ente. È opportuno rammentare, che vi è un principio generale di irretrattabilità dei saldi esposto, ad esempio, nell’art. 150 del r.d. n. 827/1924 con riguardo al rendiconto dello Stato. Inoltre, occorre tenere conto di principi contabili quali la continuità e veridicità dei bilanci che rappresentano anch’essi un limite alla revisione dei saldi: pertanto, quanto esposto in un rendiconto approvato non può essere rivisto dalla stessa amministrazione, se non in presenza di meri errori materiali.

Sul punto la Corte costituzionale ha osservato, con argomento riferentesi all’ordinamento contabile regionale, ma di portata generale, che “il principio di continuità del bilancio è una specificazione del più ampio principio dell’equilibrio tendenziale contenuto nell’art. 81 Cost.” in quanto “collega gli esercizi sopravvenienti nel tempo in modo ordinato e concatenato” (sentenza n. 181 del 2015), consentendo di inquadrare in via strutturale e pluriennale la stabilità dei bilanci preventivi e successivi. Alla ciclicità e continuità tra determinazione iniziale del bilancio e rendicontazione finale consegue la possibilità di valutare la credibilità della definizione e dell’attuazione del programma politico che ha raccolto il consenso elettorale maggioritario.

Ulteriore elemento nel senso esposto della irretrattabilità del rendiconto è la previsione che la dichiarazione di dissesto non possa
essere revocata (art. 246 TUEL) in quanto adottata in presenza di una situazione di bilancio compromessa e non più rimediabile.
L’operazione di riapprovazione dei rendiconti del Comune per gli esercizi 2017, 2018 e 2019 con il parere negativo dell’organo di revisione, e poi anche di quello del 2020, secondo la Sezione, getta un’ombra ineliminabile sulla attendibilità  veridicità dei rendiconti riapprovati e quindi sui saldi esposti nel rendiconto 2021 che, ad avviso dell’Ente, risulterebbero gli unici da considerare per la valutazione dell’adozione di adeguate misure correttive.

 

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Vincoli di cassa per le entrate da sanzioni amministrative per violazione codice della strada

La Corte dei conti, Sez. Emilia-Romagna, con deliberazione n. 167/2022, nell’ambito dell’indagine sull’applicazione dei principi contabili in ordine alla verifica della consistenza della cassa e del fondo rischi da contenzioso, avviata con la somministrazione di apposito questionario agli enti selezionati, ha ribadito che la mancata rappresentazione dei vincoli di cassa dei proventi da sanzioni pecuniarie al codice della strada effettuata dal Comune è da considerarsi grave irregolarità contabile in quanto queste entrate rispondono ad entrambi i requisiti (specificità del vincolo e provenienza del vincolo, attribuito da legge o principi contabili/trasferimenti/indebitamento) essendo entrate che la l. n. 285/92 destina alla realizzazione di specifici interventi che l’ente deve individuare tra quelli elencati, in modo puntuale, dall’art. 208, comma 4. La grave irregolarità rilevata comporta una non corretta rappresentazione del fondo di cassa nel conto presentato dal tesoriere dell’ente e allegato al rendiconto della gestione di cui all’art. 226 TUEL (Corte dei conti Toscana, deliberazione 6 maggio 2019, n. 167).

La Sezione delle Autonomie, con la deliberazione n. 31/2015, ha avuto modo di precisare che il vincolo di cassa opera esclusivamente per le “entrate vincolate a destinazione specifica individuate dall’art. 180, comma 3, del TUEL” restando conseguentemente escluse dall’obbligo sia le entrate di cui all’art. 187, comma 3-ter, lett. d, del TUEL che le “entrate con vincolo di destinazione generica”. L’esigenza che le risorse vincolate giacenti in cassa non siano distolte dalla loro originaria destinazione (impressa dalla legge o dalla volontà di terzi finanziatori) traspare chiaramente nell’art. 195 del TUEL che, nell’ammettere deroghe al vincolo di destinazione di tali risorse, pone, tuttavia, vari limiti, quantitativi e procedimentali, nonché, dopo la novella apportata dal d.lgs. n. 126/2014, la necessità che i movimenti di utilizzo e di reintegro delle somme vincolate siano oggetto di registrazione contabile secondo le modalità indicate nel Principio applicato della contabilità finanziaria.

Risulta, altresì, importante che la corretta rilevazione delle giacenze vincolate in occasione delle verifiche trimestrali compiute dall’organo di revisione, al quale fa carico di segnalare espressamente nei verbali anche l’eventuale carenza della relativa rappresentazione contabile, nonché delle movimentazioni (prelievi, ricostituzioni) anche in caso negativo che attengono alle poste anzidette.

 

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La corretta destinazione delle entrate derivanti dalla gestione dei parcheggi

Nessuna eccezione viene posta dal legislatore nel richiedere il vincolo delle entrate spettanti all’ente in quanto proprietario della strada sulla quale i parcheggi insistono. Nell’ambito della propria autonomia l’ente può scegliere le modalità gestionali che meglio rispondono alle proprie esigenze di amministrazione delle risorse, del suolo pubblico e dei servizi da rendere al cittadino. Tali modalità, tuttavia, non cambiano la natura dell’entrata, che resta quella di un compenso pagato dall’utente-cittadino all’amministrazione pubblica per la resa di un servizio e che la legge impone di destinare alle finalità specifiche indicate dal citato art. 7, comma 7, del codice della strada. È quanto evidenziato dalla Corte dei conti, Sez. Toscana, con deliberazione n. 195/2022/PRSP, pronunciandosi sugli esiti dell’esame dei rendiconti 2017-2018 e 2019 di un Comune.

Un aspetto dell’analisi istruttoria ha riguardato anche la corretta destinazione delle entrate derivanti dalla gestione dei parcheggi, per le quali è stato richiesto all’amministrazione di indicare l’ammontare delle risorse accertate nell’esercizio e di quelle vincolate per le finalità di cui all’art. 7, comma 7, del codice della strada distinguendo, qualora ricorresse il caso, fra quelle destinate al finanziamento di spese di parte corrente e quelle destinate agli investimenti. La norma, infatti, dispone che “i proventi dei parcheggi a pagamento, in quanto spettanti agli enti proprietari della strada, sono destinati alla installazione, costruzione e gestione di parcheggi in superficie, sopraelevati o sotterranei, e al loro miglioramento e le somme eventualmente eccedenti ad interventi per migliorare la mobilità urbana”.

Nel caso di specie è emerso che il Comune abbia affidato la gestione dei parcheggi alla società in house. L’esame dei rapporti contrattuali fra comune e società evidenzia come il canone di concessione sia dovuto in favore del comune in base ad un forfait che non ha alcun riferimento con l’ammontare dei flussi di cassa derivanti dai parcheggi e dalle aree di sosta, con la conseguenza che gli incassi vengono introitati direttamente dalla Società e qualificati come
ricavi della stessa nell’ambito del conto economico ed imponibili ai fini reddituali. Del resto, la società non è mai stata qualificata come agente contabile, poiché in base alle regole contrattuali non maneggia somme di pertinenza comunali. Per il Comune, l’entrata non risulta ascrivibile alla gestione dei parcheggi rientrante nella casistica di cui all’art. 7, comma 7, del codice della strada”.

Per la Corte, nella scelta adottata dall’ente per la gestione dei parcheggi rientra l’obbligo di garantire, sul piano sostanziale, che l’entrata, pur acquisita attraverso società di gestione del servizio, sia ricondotta alle finalità di legge o dalla società stessa o dall’amministrazione comunale. La gestione esternalizzata del servizio, e la concessione dell’attività ad un soggetto privato, non possono costituire un meccanismo elusivo del vincolo normativo. Nel caso di specie, l’ente non provvede alla destinazione delle entrate né con riferimento ai proventi pagati dalla società a titolo di contributo o canone di
concessione, né con riferimento alle entrate percepite dalla società quale pagamento del servizio reso all’utenza, poiché queste, qualificate come ricavi, vanno a coprire costi che afferiscono alla pluralità dei servizi resi dalla società, né con riferimento agli eventuali utili distribuiti dalla società, per quanto, in tale ultima fattispecie, la riconduzione dei fondi alle loro finalità di legge avverrebbe solo in minima parte, proprio in virtù del fatto che la società è affidataria di servizi comunali differenziati, e non solo della gestione dei parcheggi. In ultimo, la Corte evidenzia che la società affidataria del servizio pubblico è senz’altro da considerarsi un agente contabile, riscuotendo nell’interesse del Comune i relativi proventi.

 

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Fondo contenzioso: possibile svincolare le somme solo se la spesa potenziale non può più verificarsi

La Corte dei conti, Sez. Veneto, con deliberazione n. 148/2022, in riscontro ad una richiesta di un Comune in merito alla “possibilità di operare uno svincolo
dell’importo accantonato nel fondo rischi contenzioso per le relative spese potenziali, modificando la composizione del risultato di amministrazione 2021 e ricomprendere tale quota nell’avanzo libero per le finalità che l’amministrazione dovesse individuare e, comunque, nel rispetto delle priorità previste dall’art. 287 del TUEL”, a seguito di pronuncia definitiva favorevole sulla questione legittimante l’accantonamento stesso” ha ribadito che solo fino a quando non si sia determinato l’esito definitivo del procedimento da cui scaturisce il concreto rischio di spesa potenziale – qualsivoglia sia la natura del giudizio da cui origina il pericolo della passività relativa – non sarà possibile svincolare le somme dal fondo all’uopo costituito. Ciò sarà, invece, consentito a decorrere dal venir meno del rischio in quanto presupposto logico fondativo e, quindi, con decorrenza ex tunc ed operatività pro futuro. Analogamente, in caso di giudizio concluso a favore dell’ente in maniera definitiva, tale da determinare con certezza la mancanza di necessità del relativo accantonamento, sarà ben possibile liberare la somma dal vincolo e ricomprendere tale quota nell’avanzo libero di amministrazione.

La Corte, esaminata la disciplina della costituzione e successiva gestione del fondo rischi contenzioso, ricorda che una questione non dissimile a quella rappresentata nel quesito oggetto di esame sia stata affrontata dalla Sezione regionale di controllo della Campania della Corte dei conti, con la deliberazione n. 238/2017, la quale ha, prima di tutto, puntualmente inquadrato in termini giuridici il rischio derivante da contenzioso come “un’obbligazione passiva possibile la cui consistenza deriva da eventi passati e la cui esistenza sarà confermata dal verificarsi o meno di uno o più eventi futuri e incerti, non totalmente sotto il controllo del Comune medesimo”, ispirandosi a quanto stabilito nell’allegato 4.2 al D.Lgs. n. 118/2011, punto 5.2, con particolare riferimento alla lettera h, la quale riporta che con il fondo contenzioso “si è in presenza di una obbligazione passiva condizionata al verificarsi di un evento (l’esito del giudizio o del ricorso)”. Conseguentemente, nel corso del citato parere, la stessa Sezione ha affermato che “le quote accantonate dell’avanzo di amministrazione sono utilizzabili solo a seguito del verificarsi dei rischi per i quali sono state accantonate le relative risorse; quando invece si accerta che la spesa potenziale non può più verificarsi, la corrispondente quota del risultato di amministrazione è liberata dal vincolo”.

 

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Costituzione di società a partecipazione pubblica: sostenibilità finanziaria e compatibilità della scelta con i princìpi di efficienza, di efficacia e di economicità

Con deliberazione della Corte dei conti, Sez. Marche, deliberazione n. 115/2022, chiamata a pronunciarsi sulla deliberazione consiliare di un Comune in merito alla costituzione di un organismo societario “a partecipazione mista pubblico-privata”, traccia il quadro delle coordinate normative dell’azione di controllo affidata alla Corte dei conti, in sede di costituzione e acquisizione di partecipazioni societarie, alla luce della novella legislativa introdotta dalla legge n. 118/2022 “Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021”.
In particolare, l’art. 11 della suddetta legge, attraverso una modifica dell’articolo 5, commi 3 e 4 del D.Lgs. 175/2016 (TUSP), prevede che la Corte dei conti deliberi un parere in ordine alla sostenibilità finanziaria e alla compatibilità della scelta con i princìpi di efficienza, di efficacia e di economicità dell’atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica o di acquisto di partecipazione. Con un’ulteriore modifica all’articolo 20 del TUSP si prevede l’applicazione della sanzione della cancellazione d’ufficio dal registro delle imprese della società a controllo pubblico che non abbia depositato il bilancio di esercizio o non abbia compiuto atti di gestione per oltre due anni consecutivi (in luogo di tre anni previsti dalla disciplina vigente).
Il Collegio ritiene doveroso sottolineare che il ricorso allo strumento societario da parte della pubblica amministrazione, sia che si tratti di costituzione di un organismo sia nel caso di acquisizione di partecipazioni in organismi già esistenti, deve ritenersi fortemente circoscritto ad esigenze eccezionali e a preminenti ragioni di interesse pubblico nel quadro di un rapporto di indispensabilità o insostituibilità tra la partecipazione societaria dell’ente e la sua finalità istituzionale. Nella scelta partecipativa deve rinvenirsi, in concreto, la dimensione del servizio di interesse generale così come lo svolgimento di funzioni “strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali”. L’autonomia negoziale della pubblica amministrazione soggiace al limite funzionale della compatibilità con lo scopo pubblico affidato alla cura dell’Ente e che il procedimento di acquisto di partecipazioni deve informarsi ai principi generali dell’azione amministrativa ed a criteri di razionalità operativa. Pertanto, al pari di tutti i procedimenti amministrativi volti alla cura dell’interesse pubblico, anche le operazioni di costituzione di società o di acquisto di partecipazioni societarie effettuate da enti pubblici devono rigorosamente conciliarsi con gli scopi che sono tipici del bilancio e della contabilità pubblica poiché il principio costituzionale di buon andamento letto alla luce di quello dell’equilibrio di bilancio vincola l’amministrazione pubblica ad impiegare nel modo più efficiente possibile tutte le risorse, non solo finanziarie, di cui dispone ai fini del perseguimento degli interessi pubblici affidati alla sua cura.
La Sezione ribadisce come il combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’articolo 4 del TUSP individui per le partecipazioni societarie degli enti pubblici un «vincolo di scopo pubblico» e un «vincolo di attività»; condizioni gli enti dovranno valutare attentamente e motivare adeguatamente, tanto ai fini del mantenimento quanto ai fini della costituzione e acquisizione di partecipazioni societarie.
Il vincolo di scopo è riconducibile all’oggetto delle attività di produzione di beni e servizi da parte delle società, che dovrà essere strettamente necessario per il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente. Il vincolo di attività individua le attività consentite alle società pubbliche, quali:

1. la produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi;
2. la progettazione e realizzazione di un’opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell’articolo 193 del decreto legislativo n. 50 del 2016;
3. la realizzazione e gestione di un’opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d’interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all’articolo 180 del decreto legislativo n. 50 del 2016, con un imprenditore selezionato con le modalità di cui all’articolo 17, commi 1 e 2;
4. l’autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento;
5. servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all’articolo 3, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 50 del 2016.
La motivazione della decisione di acquisizione di partecipazioni societarie deve essere fondata su stringenti e concrete ragioni di interesse pubblico: tale obbligo motivazionale, già sussistente quale presupposto di legittimità degli atti amministrativi dall’art. 3 della legge n. 241/1990, è stato reso ancora più pregnante dalle richiamate previsioni normative, non essendo rispettose di tale parametro le motivazioni di natura apodittica o contenenti mere ripetizioni del dato legale.
La sussistenza dell’interesse pubblico posto a giustificazione dell’acquisto della posizione di socio da parte del Comune deve essere adeguatamente motivata sia alla luce degli scopi istituzionali sia in vista della necessità di perseguire i canoni di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa soprattutto in termini di razionalità economica.
La motivazione sulla convenienza economica, anche se sintetica, deve essere idonea a rappresentare le ragioni per le quali l’Amministrazione pubblica che intende acquisire la qualifica di socio abbia deciso di avvalersi di quello specifico modello organizzativo di diritto privato. La “convenienza economica” deve essere messa in evidenza rispetto alla preliminare scelta discrezionale che l’Amministrazione pubblica compie: la decisione di svolgere, attraverso un organismo societario, una attività di produzione di beni o di servizi necessaria per il perseguimento dei suoi fini istituzionali. Detta valutazione interessa tutti gli organismi societari, a prescindere che questi siano deputati alla produzione di beni o alla erogazione di servizi. La “convenienza economica” deve essere esplicitata anche sotto il profilo della modalità di scelta dell’erogazione del servizio.
In merito alla motivazione sulla sostenibilità finanziaria, l’ente deve compiere una ponderata verifica ex ante che lo porti ad escludere che ci siano le condizioni fattuali e/o giuridiche che possano far presupporre che l’andamento della società sarà quello di «essere strutturalmente in perdita, attesa l’incompatibilità tra il ricorso allo strumento societario e risultati economici sistematicamente negativi. L’Ente dovrà riferire sulla fattibilità economico-finanziaria dell’iniziativa di costituire un nuovo organismo partecipato in termini di chiara progettualità della stessa, sia sul terreno della gestione operativa e delle linee di attività della costituenda società, sia sul piano del budget economico e della pianificazione finanziaria, dell’analisi prospettica di costi e ricavi e della complessiva gestione economica e patrimoniale del nuovo soggetto. Trattasi di una rilevante criticità in considerazione del fatto che, proprio al fine di vagliare la sostenibilità e la convenienza dell’operazione nella fase in cui l’organismo societario è in via di costituzione, si rivela indispensabile che l’iniziativa adottata in tal senso sia supportata da informazioni puntuali sulle prospettive della società relativamente alla gestione economico-patrimoniale, alle spese funzionamento e agli obiettivi di efficienza gestionale ed amministrativa nonché agli specifici compiti e servizi di cui la stessa società verrebbe incaricata.

 

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