La Corte dei conti, Sez. Puglia, con deliberazione n. 84/2020 fornisce utili chiarimenti in merito alla possibilità, da parte di enti che abbiano fatto ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (ex artt. 243-bis ss. TUEL), di contrarre debito. Il comma 9-bis dell’art. 243-bis – aggiunto dall’art. 3, comma 3, lett. b), del d.l. 6.3.2014, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla l. 2.5.2014, n. 68, successivamente, modificato dall’art. 39, comma 14-decies, lett. a), del d.l. 30.12.2019, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla l. 28.2.2020, n. 8 – ha previsto che «In deroga al comma 8, lettera g), e al comma 9, lettera d), del presente articolo e all’articolo 243-ter, i comuni che fanno ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale prevista dal presente articolo possono contrarre mutui, oltre i limiti di cui al comma 1 dell’articolo 204, necessari alla copertura di spese di investimento relative a progetti e interventi che garantiscano l’ottenimento di risparmi di gestione funzionali al raggiungimento degli obiettivi fissati nel piano di riequilibrio finanziario pluriennale, per un importo non superiore alle quote di capitale dei mutui e dei prestiti obbligazionari precedentemente contratti ed emessi, rimborsate nell’esercizio precedente, nonché alla copertura, anche a titolo di anticipazione, di spese di investimento strettamente funzionali all’ordinato svolgimento di progetti e interventi finanziati in prevalenza con risorse provenienti dall’Unione europea o da amministrazioni ed enti nazionali, pubblici o privati».
La disposizione circoscrive la possibilità per gli enti in piano di riequilibrio di ricorrere a nuovo indebitamento mediante la contrazione di mutui; segnatamente, i mutui in questione:
– devono essere necessari per il finanziamento di spese di investimento relative a «progetti e interventi che garantiscano l’ottenimento di risparmi di gestione funzionali al raggiungimento degli obiettivi fissati nel piano di riequilibrio finanziario pluriennale»;
– possono essere accesi per un importo non superiore alle quote di capitale dei mutui e dei prestiti obbligazionari precedentemente contratti ed emessi, rimborsate nell’esercizio precedente.
I risparmi di gestione si riferiscono sia a spese correnti che in conto capitale, non contemplando la disposizione alcun distinguo ed essendo semmai auspicabile una contrazione della prima tipologia di uscite.
Ne consegue che gli enti interessati abbiano l’onere di dimostrare – sulla base di documentate analisi proiettate lungo la durata della procedura – non solo l’effettività dei risparmi ottenibili ma anche la loro idoneità al conseguimento degli obiettivi del piano. La scelta di accedere al finanziamento in esame andrà, quindi, adeguatamente motivata con l’attitudine, puntualmente verificata e rappresentata in atti, dei progetti e degli interventi finanziati a garantire – nel confronto con spese alternativamente praticabili dell’ente – risparmi di gestione che consentano il raggiungimento degli obiettivi fissati dal piano. Infine, viene precisato che l’incapacità dei progetti finanziati di assicurare risparmi di gestione funzionali al raggiungimento degli obiettivi del piano comporterebbe un aggravamento della situazione debitoria dell’ente, che a sua volta rischierebbe di minare la sostenibilità del piano stesso; in proposito, si rammenta che l’accertamento, da parte della competente Sezione regionale della Corte dei conti, di grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano ovvero il mancato raggiungimento del riequilibrio finanziario al termine del periodo di durata del piano stesso comportano l’applicazione del dissesto guidato di cui al citato art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 149/2011, con l’assegnazione al consiglio dell’ente, da parte del Prefetto, del termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto (art. 243- bis, comma 7, TUEL).