Il Consiglio di Stato si pronuncia sul concetto di destinazione agricola

Il Consiglio di Stato, sez. II, con sentenza del 31 luglio 2023, n. 7407, ha chiarito che la destinazione di una zona a verde agricolo non deve necessariamente rispondere a finalità di tutela degli interessi dell’agricoltura, ma può essere imposta per soddisfare altre esigenze connesse con la disciplina urbanistica del territorio, quali la necessità di impedire un’ulteriore edificazione e mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi, anche ai fini di tutela ambientale. In altri termini, la destinazione a zona agricola non impone in positivo un obbligo specifico di utilizzazione effettiva in tal senso, ma ha, in negativo, lo scopo di evitare insediamenti residenziali e produttivi. In un territorio considerato quale complesso di ecosistemi interagenti la zona agricola possiede pertanto una valenza conservativa dei vincoli naturalistici, costituendo il polmone dell’insediamento urbano e assumendo per tale via anche una funzione decongestionante e di contenimento dell’espansione dell’aggregato urbano. L’area agricola, così individuata, finisce per svolgere una funzione essenziale anche per il paesaggio e per la salute dei cittadini, al tempo stesso ecologico-ambientale, sanitaria, protettiva, sociale e ricreativa, igienica, culturale e didattica, estetico-architettonica.

In sede di pianificazione urbanistica la relativa destinazione non presuppone necessariamente la corrispondente “vocazione” dell’area, intesa nella sua accezione letterale. Ciò significa che la classificazione di un terreno in zona “E1” non presuppone che lo stesso sia concretamente utilizzata per colture tipiche o che possieda già tutte le caratteristiche previste dalla legge. L’individuazione dell’omogeneità di una zona in riferimento alla situazione morfologica, ambientale e d’uso di una parte del territorio rileva ai soli fini della dotazione degli standard, senza peraltro costituire vincolo alle valutazioni tecnico-discrezionali dell’amministrazione.
Il Consiglio di Stato chiarisce che tale lettura va data anche in relazione alla normativa sul divieto di incentivi per gli impianti fotovoltaici a terra su terreno agricolo, che resta ancora in vigore, seppure ne siano state ampliate le eccezioni (c.d. impianti agrovoltaici).

 

La redazione PERK SOLUTION

Schema del Codice dei contratti pubblici elaborato dal Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato ha trasmesso al Governo il 7 dicembre 2022, per le proprie determinazioni, il testo dello schema del Codice dei contratti pubblici con le modifiche apportate anche tenendo conto dei lavori del Tavolo Tecnico congiunto tra il Consiglio di Stato, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e le altre amministrazioni interessate.

 

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Appalti pubblici: il Consiglio di Stato ribadisce la differenza tra migliorie e varianti

In tema di procedure per l’affidamento di contratti pubblici, allorquando si applichi il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, occorre distinguere tra migliorie e varianti: le prime possono liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite dall’Amministrazione, mentre le seconde si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante, mediante preventiva autorizzazione contenuta nel bando di gara e l’individuazione dei relativi requisiti minimi che segnano i limiti entro i quali l’opera proposta dal concorrente costituisce un aliud rispetto a quella prefigurata dalla Pubblica Amministrazione, pur tuttavia consentito (cfr. C.d.S., Sez. V, 24 ottobre 2013, n. 5160; 20 febbraio 2014, n. 819; Sez. VI, 19 giugno 2017, n. 2969; Sez. V, 18 febbraio 2018, n. 1097; 21 giugno 2021, n. 4754).

La proposta migliorativa consiste in una soluzione tecnica che, senza incidere sulla struttura, sulla funzione e sulla tipologia del progetto a base di gara, investe singole lavorazioni o singoli aspetti tecnici dell’opera, lasciati aperti a diverse soluzioni, configurandosi come integrazioni, precisazioni e migliorie che rendono il progetto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste. È quanto evidenziato dal Consiglio, Sezione V,  con sentenza 21 settembre 2022, n. 8123.

 

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I dubbi del Consiglio di Stato sul PIAO

Il Consiglio di Stato, con parere n. 902/2022, nell’esprimere il proprio apprezzamento sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica, recante “Individuazione e abrogazione degli adempimenti relativi ai Piani assorbiti dal piano integrato di attività e organizzazione ai sensi dell’articolo 6, comma 5, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto2021, n. 113”, per l’intento sotteso al disegno di riforma, ha tuttavia rilevato, con riferimento al disegno generale delineato dal decreto ministeriale, che non appare fugato il rischio che il Piao si risolva, come si ebbe modo di rilevare nel precedente parere n. 506 del 2022, in una giustapposizione di Piani, quasi a definirsi come un ulteriore “strato di burocrazia”.
Per il Collegio. le sezioni e le sottosezioni del Piao, come descritte, rinviano infatti, espressamente, a soggetti diversi quanto a predisposizione e a monitoraggio oltre ad alludere a effetti diversi. Ciò ben si evince, fra le altre, dalle indicazioni offerte nell’art. 3, comma 1, lett. c) dello schema di decreto, dove, con peculiare riferimento alla sottosezione “rischi corruttivi e trasparenza”, si precisa che essa dovrà essere predisposta dal Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, sulla base degli obiettivi strategici definiti dall’organo di indirizzo, ai sensi della l. 6 novembre 2012, n. 190, aggiungendo che ne sono elementi essenziali quelli indicati nel Piano nazionale anticorruzione e negli atti di regolazione generale adottati dall’ANAC ai sensi della stessa legge del 2012 nonché del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33. Lo stesso dicasi per l’art. 4 dello schema di decreto dove, al comma 1, lett. b), con riferimento alla sottosezione “Organizzazione del lavoro agile”, se ne richiede la necessaria coerenza con le Linee Guida emanate dal Dipartimento della Funzione Pubblica oltre che con gli istituti del lavoro agile stabiliti dalla Contrattazione collettiva nazionale.
Anche con riferimento al “Monitoraggio”, di cui all’art. 5, si rinvia a strumenti e modalità differenti a seconda delle sezioni o sottosezioni. In particolare, il monitoraggio delle sottosezioni “Valore pubblico e Performance” si dispone avvenga secondo le modalità stabilite dagli articoli 6 e 10, comma 1, lett. b), del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, ossia con l’intervento degli OIV e sulla base della relazione sulla performance, la cui previsione non è, infatti, toccata dalle abrogazioni disposte dallo schema di regolamento. Il monitoraggio della sottosezione “Rischi corruttivi e trasparenza” si stabilisce avvenga secondo le indicazioni di ANAC, mentre per la Sezione “Organizzazione e capitale umano” il monitoraggio della coerenza con gli obiettivi di performance si vuole effettuato su base triennale dall’OIV o dal Nucleo di valutazione, ai sensi dell’articolo 147 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
Trattasi di un insieme di disposizioni che, in questi loro rinvii ai differenti contesti normativi di riferimento dei differenti Piani, appaiono ancora disomogenee e non armonizzate, e accrescono dunque l’eventualità che il Piao possa andare a costituire, in concreto, “un adempimento formale aggiuntivo entro il quale i precedenti Piani vanno semplicemente a giustapporsi, mantenendo sostanzialmente intatte, salvo qualche piccola riduzione, le diverse modalità di redazione (compresa la separazione tra i diversi responsabili) e sovrapponendo l’ulteriore onere di ricomporli nel più generale Piao” (cfr. pt. 4.1. parere n. 506 del 2022), anziché affermarsi come strumento unitario che sostituisce e metabolizza i Piani del passato, per quella “visione integrata dell’organizzazione” di cui parla anche l’AIR.

 

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Consiglio di Stato: parere favorevole condizionato sullo schema di Regolamento sugli adempimenti relativi ai Piani assorbiti dal PIAO

Il Consiglio di Stato ha reso parere favorevole condizionato sullo schema di Regolamento sugli adempimenti relativi ai Piani assorbiti dal Piano integrato di attività e organizzazione ai sensi dell’art. 6, comma 5, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113”.

La Sezione, nel riconoscere la rilevanza della scelta espressa con l’art. 6, d.l. n. 80 del 2021, esprime un parere favorevole sullo schema di Regolamento recante “Individuazione e abrogazione degli adempimenti relativi ai Piani assorbiti dal Piano integrato di attività e organizzazione ai sensi dell’art. 6, comma 5, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113”, sia pure condizionato a correttivi e a integrazioni che consentano di superare le criticità insite nelle modalità in cui ci si propone di creare le condizioni normative perché il Piao operi come strumento di effettiva semplificazione dell’azione e dell’organizzazione amministrativa.

In particolare, dal punto di vista sistematico e giuridico, l’art. 6, d.l. n. 80 del 2021, quale norma di delegificazione, assegna al Regolamento il solo compito di individuare e abrogare “gli adempimenti” relativi ai piani che saranno assorbiti nel nuovo Piao, senza indicare le disposizioni legislative che andranno ad essere abrogate con l’entrata in vigore del Regolamento né ponendo le norme generali di disciplina della materia.

Al Regolamento si affida perciò la sola pars destruens del disegno di delegificazione per la semplificazione, mentre la pars costruens, ovvero la concreta definizione di quello che sarà il quadro di riferimento per le pubbliche amministrazioni assoggettate al Piao, viene demandata allo schema di decreto ministeriale cui lo stesso art. 6, d.l. n. 80 affida l’adozione di un Piano Tipo, pensato come strumento di supporto delle amministrazioni, ma in realtà provvisto di un valore normativo, in quanto deputato, come rende palese la lettura del testo trasmesso a questo Consiglio per conoscenza, a integrare, anzi sostanzialmente a comporre, le scarne indicazioni offerte dall’art. 6, d.l. n. 80 del 2021.

Quanto allo schema di Regolamento, gli interventi abrogativi o comunque le modifiche soppressive o sostitutive appaiono poi piuttosto conservativi, distanti dalla logica di conservare solo ciò che è strettamente indispensabile e, comunque, configurati in termini tali che le loro ricadute non sono uniformi per tutti i piani dei quali si prevede l’assorbimento nel Piao, né per tutti i contesti legislativi di rispettivo riferimento, né per tutte le amministrazioni pubbliche.

Guardando poi agli aspetti sostanziali e operativi del disegno, del quale è parte lo schema di Regolamento, la Sezione ritiene che il nuovo strumento immaginato non debba configurarsi come un semplice layer of bureacracy entro il quale i diversi piani precedenti vadano semplicemente a giustapporsi ma debba esserne occasione di riconfigurazione e integrazione, dandosi come obiettivo di migliorare verso l’esterno, ossia verso i cittadini e le imprese, l’azione della pubblica amministrazione.

È questa la principale sfida alla quale è chiamato il Piao, nella sua intrinseca, attuale, eterogeneità. Sfida che peraltro possiede una valenza anche interna alle stesse pubbliche amministrazioni ad esso assoggettate, chiamate a un compito che, ove non si risolva nella mera addizione dei piani preesistenti, suppone la disponibilità di un capitale umano di competenze e di ambienti anche organizzativi che la stessa l. n. 131 del 2021 prevede debbano essere attrezzati all’interno e in esito ad altri processi di riforma i cui tempi non coincidono con quelli previsti per l’adozione del Piao. Il nuovo piano, in questa tempistica, subisce quindi anche una sorta di torsione per effetto della quale sembra chiamato a farsi punto di avvio delle innovazioni per il miglioramento dell’azione e dell’organizzazione amministrativa anziché proporsi quale loro punto di caduta.

La Sezione ritiene perciò di suggerire sin da subito un monitoraggio ad hoc che consenta di verificare e assicurare la fattibilità del disegno da parte delle pubbliche amministrazioni, anche attraverso interventi sul decreto ministeriale di adozione del Piano tipo, la cui natura sostanzialmente normativa, per come risulta sia dai contenuti, sia dalla (necessaria) funzione integrativa dell’ordinamento cui è destinato dagli elementi di contesto che sono stati esaminati, induce questo Consiglio di Stato a riservarsi di esprimere su di esso un apposito parere, una volta acquisito dall’Amministrazione, con la qualificazione di regolamento da adottare ai sensi dell’art. 17, comma 3, l. n. 400 del 1988.

Consiglio di Stato, Rimborso spese elettorali anticipate dai Comuni

Tutte le spese elettorali sostenute dai Comuni devono essere rimborsate (art. 17, primo comma, l. n. 136 del 1976) nei limiti fissati con decreto ministeriale; l’importo massimo da rimborsare a ciascun Comune, fatta eccezione per il trattamento economico dei componenti dei seggi, è stabilito con decreto del Ministero dell’interno, nei limiti delle assegnazioni di bilancio. È quanto stabilito dal Consiglio di Stato, con parere n. 1786 del  22/11/2021, in risposta ad una nota del Ministero dell’interno, a seguito di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da un Comune, contro l’ Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura, per l’annullamento del decreto prot. n. 191159/W/18 – Servizio I del 19 dicembre 2018, concernente il rimborso delle spese per lo svolgimento delle elezioni politiche del 4 marzo 2018, effettuato in misura inferiore alle effettive spese anticipate dall’Ente.
Il Comune lamenta il difetto di motivazione e di istruttoria, dal momento che il provvedimento impugnato si limiterebbe a stabilire il minor importo rimborsato al Comune, senza fornire alcuna giustificazione. Per il Comune, la Prefettura avrebbe omesso di comunicare l’avvio del procedimento impedendo, pertanto, di intervenire nella formazione del provvedimento in questione. Anzi, il Comune sarebbe stato messo al corrente dei limiti del rimborso delle spese effettuabili quando queste erano state già sostenute. In particolare, l’ente avrebbe potuto giustificare le spese sostenute, dimostrando che esse erano esclusivamente spese obbligatorie e necessarie per il corretto svolgimento delle elezioni.

Il Consiglio di Stato ha ricordato, preliminarmente, come il legislatore abbia inteso contemperare due distinte e contrapposte esigenze: l’onere del rimborso integrale per l’esercizio da parte dei Comuni di funzioni a loro delegate dall’amministrazione centrale in occasione dello svolgimento delle elezioni politiche; la necessità di contenere le spese complessive, che rischia di rimanere insoddisfatta attraverso il semplice rimborso delle spese comunali a pie’ di lista. Le disposizioni di legge vanno lette anche alla luce dei parametri costituzionali, in primo luogo l’art. 119, evocato anche nei motivi dedotti dal Comune ricorrente, che stabilisce una corrispondenza stretta tra titolarità delle funzioni e disponibilità delle relative risorse finanziarie. L’autonomia di entrata e di spesa degli enti territoriali (art. 119, primo comma, Cost.) rischia di essere lesa nel caso in cui tali enti siano obbligati a utilizzare risorse proprie in favore di organismi statali per l’esercizio di compiti istituzionali di questi ultimi, corrispondenti a loro specifiche competenze fissate nella legislazione vigente.

Nel disattendere la conclusione ministeriale sulla insussistenza di diritti partecipativi del Comune, i giudici hanno evidenziato come la comunicazione di avvio del procedimento di corresponsione di somme inferiori a quelle per cui era stato richiesto il rimborso avrebbe consentito anche alla Prefettura di considerare e ponderare appieno le ragioni del Comune, non ultima quella relativa al fatto che il Comune esercita funzioni nel procedimento elettorale anche per altri Comuni.

Inoltre, proprio nella funzione di controllo, la Prefettura avrebbe potuto in tal modo evidenziare con idonea motivazione, all’esito dell’attività istruttoria arricchita dai contributi partecipativi del Comune interessato, quali fossero le spese comunali eccedenti i limiti della buona gestione oppure applicare le riduzioni in misura diversa oppure ancora – e in via del tutto ipotetica correlata alle circostanze – distribuire diversamente la riduzione tra vari comuni.

L’omessa garanzia nei confronti dei diritti partecipativi comunali si riflette nelle carenze motivazionali del provvedimento della Prefettura del 19 dicembre 2018, da cui non è dato evincere quali siano le ragioni del rimborso parziale, se non la non corrispondenza delle spese sostenute dal Comune rispetto alla somma assegnata il 19 aprile 2018. Nessun cenno, per converso, è fatto all’obiettivo fissato dal legislatore che “tutte” le spese per l’organizzazione tecnica e l’attuazione delle elezioni politiche e dei referendum debbano essere a carico dello Stato (art. 17, primo comma, della legge n. 136/1976).

Inoltre, la fissazione del tetto massimo del rimborso in un momento successivo alla celebrazione delle elezioni confliggerebbe con il parametro costituzionale dell’autonomia finanziaria degli enti locali sancito dall’art. 119 Costituzione, determinando in sostanza l’accollo di quota parte delle spese per la celebrazione delle elezioni europee – il cui costo a norma di legge deve essere sostenuto dallo Stato – alle finanze dell’ente locale. Ha ricordato il giudice amministrativo che l’interpretazione conforme a Costituzione della norma di cui all’art. 2 d.l. 300/1994 deve, invece, porsi in linea con le previsioni di cui al disposto dell’art. 55, comma 8 l. 449/1997, ammettendo la possibilità di limitare il rimborso delle spese elettorali da parte dello Stato ma previa fissazione da parte dello Stato di un budget a ciascuna amministrazione comunale. La limitazione dovrebbe essere stabilita preventivamente allo svolgimento delle competizioni elettorali.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Affidamenti in house, il Consiglio di Stato sospende parere sulle Linee guida ANAC

Il Consiglio di Stato, con atto n. 01614 del 7/10/2021 ha sospeso il parere sullo schema di Linee Guida ANAC recanti «Indicazioni in materia di affidamenti in house di contratti aventi ad oggetto lavori, servizi o forniture disponibili sul mercato in regime di concorrenza ai sensi dell’articolo 192, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50 e s.m.i.», in attesa di ulteriori approfondimenti istruttori da parte dell’Autorità sui profili di impatto operativo, nel contesto di attuazione del PNRR.
Le linee guida sono adottate ai sensi dell’articolo 213, comma 2, del codice dei contratti pubblici e si pongono l’obiettivo di fornire indicazioni utili alle stazioni appaltanti per la formulazione della motivazione richiesta dall’articolo 192, comma 2, del codice dei contratti pubblici nel caso di affidamento diretto ad organismi in house. Lo scopo è quello di fornire indicazioni pratiche per orientare l’azione degli enti interessati verso comportamenti conformi alla normativa vigente ed uniformi, favorendo la diffusione di best-practice.
I giudici, nel presupposto che le linee guida in questione costituiscono un atto privo di efficacia normativa vincolante, che nasce da un’iniziativa discrezionale dell’Autorità, rispetto al quale il parere del Consiglio di Stato ha natura facoltativa, evidenziano come l’articolo 10 (rubricato “Misure per accelerare la realizzazione degli investimenti pubblici”) del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108, ha ampliato l’area applicativa del ricorso all’in house providing; il comma 3 del medesimo articolo, modificato dalla legge di conversione n. 108 del 2021, reca poi una disciplina ad hoc della motivazione del ricorso alla formula dell’in house in deroga al mercato, di cui all’art. 192, comma 2; in Parlamento è in discussione la delega per la riforma degli appalti; sussiste un consolidato orientamento giurisprudenziale in merito all’applicazione dell’articolo 192 c. 2 del dlg. 50/2016. Tutti elementi da considerare ed approfondire prima di emanare le linee Guida.
Le citate riflessioni inducono, quindi, il Consiglio di Stato “prima di procedere all’analisi delle linee guida e delle diverse, spesso complesse e delicate, problematiche ivi affrontate, a demandare preliminarmente all’Autorità un ulteriore approfondimento sui profili di impatto operativo, nel contesto di attuazione del PNRR, acquisendo eventualmente anche l’avviso sulle prossime prospettive de iure condendo del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e della Presidenza del consiglio dei ministri – Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (che potrà se del caso consultare anche gli appositi organismi introdotti con il predetto decreto-legge n. 77 del 2021, quali la Segreteria tecnica presso la Presidenza del consiglio dei ministri e la “Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione”.

Consiglio di Stato ed Anac hanno sottoscritto un accordo per la condivisione dei dati sugli appalti pubblici

E’ stato sottoscritto oggi a Palazzo Spada, dal presidente dell’Anac Giuseppe Busia e dal presidente del Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi il protocollo d’intesa triennale che consentirà lo scambio di tutte le informazioni contenute nella Banca Dati nazionale dei Contratti Pubblici gestita dall’Autorità nazionale anticorruzione.
Con il protocollo, le parti intendono regolare il trasferimento di dati dall’Anac al Consiglio di Stato, al fine di assicurare la condivisione, l’integrazione e la circolarità del patrimonio informativo e dei dati sugli appalti pubblici, per garantire accessibilità unificata, reciproca collaborazione, trasparenza, pubblicità e tracciabilità delle procedure di gara, in tutte le loro fasi. Tali informazioni verranno utilizzate dalle parti ai soli fini delle proprie attività istituzionali.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Consiglio di Stato: le concessioni balneari sono un’occasione di guadagno e vanno messe a gara

“In punto di diritto va rammentato che, prima ancora della nota sentenza della Corte di Giustizia UE del 14 luglio 2016 (in cause riunite C-458/14, Promoimpresa S.r.l. e C-67/15, Mario Melis e altri), la giurisprudenza nazionale aveva già largamente aderito all’interpretazione dell’art. 37 cod. nav. che privilegia l’esperimento della selezione pubblica nel rilascio delle concessioni demaniali marittime, derivante dall’esigenza di applicare le norme conformemente ai principi comunitari in materia di libera circolazione dei servizi, di par condicio, di imparzialità e di trasparenza, derivanti dalla direttiva 123/2016 (c.d. Bolkestein), essendo pacifico che tali principi si applicano anche a materie diverse dagli appalti, in quanto riconducibili ad attività suscettibili di apprezzamento in termini economici.
In tal senso si è del resto espresso, già da tempo risalente, il Consiglio di Stato che ha ritenuto applicabili i detti principi “anche alle concessioni di beni pubblici, fungendo da parametro di interpretazione e limitazione del diritto di insistenza di cui all’art. 37 del codice della navigazione”, sottolineandosi, in particolare, che “la sottoposizione ai principi di evidenza trova il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione di area demaniale marittima si fornisce un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai ricordati principi di trasparenza e non discriminazione”(cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2005 n. 168 e, nello stesso senso, in epoca più recente Cons. Stato, Sez. VI, 31 gennaio 2017 n. 394), segnalando l’esigenza di una effettiva ed adeguata pubblicità per aprire il confronto concorrenziale su un ampio ventaglio di offerte (cfr., in epoca ancora antecedente ed in via generale, Cons. Stato, Sez. VI, 15 febbraio 2002 n. 934)”.
È quanto stabilito dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4610/2020 del 17 luglio 2020, pronunciandosi rispetto all’appello contro una sentenza del Tar Puglia, sede di Bari, Sez.  III, 9 luglio 2015 n. 992, che aveva già respinto un ricorso per ottenere l’annullamento di una determina dirigenziale del Comune di Bari, emessa dal direttore della Ripartizione sviluppo economico, con la quale si disponeva di dare corso alla procedura di rinnovo di due concessioni demaniali (già avviata dalla Capitaneria di Porto di Bari), in relazione ad un locale in muratura sito nell’area demaniale prospiciente il porticciolo di Torre a Mare, mediante licitazione privata. Il Consiglio di Stato, nel confermare la sentenza del TAR, ha ritenuto corretta la procedura comparativa per la selezione pubblica avviata prima dalla Capitaneria di Porto di Bari e poi dal Comune di Bari.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

 

Consiglio di Stato, reso il parere sullo schema di contratto standard in tema di partenariato pubblico-privato

Il Consiglio di Stato, Sez. I, ha reso il proprio parere n. 823 del 28 aprile 2020 sullo schema di contratto standard, trasmesso dal Ministero dell’Economia e finanza, concernente l’affidamento della progettazione, costruzione e gestione di opere pubbliche a diretto utilizzo della pubblica amministrazione da realizzare in partenariato pubblico-privato, con annessa guida di redazione. Il Ministero nella descrizione di carattere generale del documento ha evidenziato come lo schema o schema di contratto standard può rappresentare una efficace guida per la predisposizione di contratti di partenariato pubblico privato costruiti in ragione di una corretta allocazione dei rischi tra le parti negoziali ai fini, sotto il profilo giuridico, di qualificare l’operazione di partenariato come una concessione e non come un appalto; sotto il profilo economico, di conseguire un corretto value for money; e sotto il profilo contabile e statistico, di consentire la classificazione dell’operazione off balance e di contabilizzare quindi il valore totale della stessa operazione (parte pubblica e parte privata) sul bilancio dell’ente concedente come non generativa di nuovo debito e di nuovo deficit con effetti positivi per la finanza pubblica. Punti cardine dello schema di contratto di partenariato pubblico-privato sono, ad avviso del Ministero, gli obblighi e le prestazioni di ciascuna parte in fase di costruzione e gestione; le modifiche contrattuali; le vicende estintive del rapporto concessorio; i termini, le modalità di pagamento e le decurtazioni del corrispettivo per i servizi erogati dal concessionario; i presupposti e le condizioni di base determinanti l’equilibrio economico-finanziario del rapporto e le cause di disequilibrio. Lo stesso Ministero ha però precisato che “In coerenza con le indicazioni di cui agli articoli 71 e 213, comma 2, del Codice dei contratti pubblici, lo schema di contratto, non potendosi configurare alla stregua di un bando-tipo, non ha carattere vincolante ma rappresenta uno strumento di indirizzo per le pubbliche amministrazioni ai fini di una corretta configurazione dei contratti di partenariato pubblico privato, in termini sia di allocazione dei rischi sia di contabilizzazione dell’operazione”.

Le questioni che appaiono dubbie, sulle quali il Ministero ha richiesto il parere del Consiglio di Stato riguardano, in sintesi:

  • l’esecuzione dei lavori e gestione dei servizi da parte dei soggetti terzi (art. 15-23 del contratto), ovvero se il Concessionario che si è aggiudicato la gara per l’affidamento in concessione della progettazione, costruzione e gestione di una determinata opera sia obbligato ad affidare agli appaltatori eventuali lavori oggetto del contratto attraverso procedure selettive concorsuali o se invece possa scegliere gli stessi con procedure semplificate fermo il rispetto degli obblighi generali di trasparenza, restando salva la libertà del Concessionario di affidare lavori o servizi in subappalto a terzi senza il preventivo esperimento di una procedura di gara;
  • le modifiche al contratto (artt. 19 e 32) relativamente alla compatibilità degli eventi non riconducibili al concessionario di cui all’articolo 32 dello schema di contratto, che consentono il riequilibrio del piano economico finanziario con il medesimo concessionario, con le previsioni di cui all’articolo 175, comma 7, del Codice dei contratti pubblici;
  • le clausole contenute nel documento, riguardanti: a) l’esclusione della configurazione del contributo pubblico come una condizione necessaria per raggiungere l’equilibrio economico finanziario nelle cosiddette “opere fredde” in PPP; b) la distribuzione degli obblighi e dei rischi relativi all’acquisizione e alla perdurante validità delle autorizzazioni (art. 9, commi 1 e 2), in relazione al rilievo di Eurostat circa le possibili ricadute negative di tale regime sulla bancabilità del progetto; c) la previsione (art. 43 del contratto standard) del passaggio dell’opera al concedente al termine del contratto, senza il pagamento di un valore residuo; d) la disciplina dei termini di pagamento dell’eventuale contributo pubblico riconosciuto a titolo di prezzo dei lavori da realizzare e del canone di disponibilità; e) i profili di discordanza dello schema di contratto rispetto alle Linee guida ANAC n. 9 del 2018.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION