Richiesta convocazione consiglio comunale straordinario: i chiarimenti ministeriali

Una questione rientra nella competenza del consiglio comunale quando riferisce ad atti fondamentali espressamente elencati dal c. 2 art.42 TUEL o quando rientri nelle funzioni d’indirizzo e controllo politico-amministrativo di cui al c.1, con la possibilità che la trattazione non debba necessariamente sfociare nell’adozione di un provvedimento finale. È questa, in sintesi, la risposta fornita dal Ministero dell’interno ad una richiesta di parere da parte di una Prefettura in merito alla convocazione di un consiglio comunale straordinario ex art.39 del TUEL.

Nel caso di specie, quattro consiglieri del consiglio comunale hanno chiesto la convocazione del consiglio comunale straordinario ai sensi dell’articolo 39, comma 2, del d.lgs. n.267/2000 e dell’articolo 17, comma 5, dello statuto comunale. In particolare, i consiglieri hanno richiesto la convocazione del consiglio per discutere argomenti ritenuti di particolare gravità e segnalati in un esposto presentato da un dipendente del Comune sospeso dal servizio. Il Presidente del consiglio ha respinto la richiesta dei consiglieri in quanto avente come oggetto di discussione procedimenti di carattere gestionale e, quindi, non di competenza del consiglio comunale.

Nel merito, il Ministero ha evidenziato che – in relazione ai motivi che determinano i consiglieri a chiedere la convocazione straordinaria dell’assemblea – al Presidente del consiglio spetta la sola verifica formale che la richiesta provenga da parte di un quinto dei consiglieri (o dal sindaco) non potendo comunque sindacarne l’oggetto. In tal senso, la giurisprudenza in materia si è espressa con orientamento costante affermando che spetta solo al consiglio la verifica circa la legalità della convocazione e l’ammissibilità delle questioni da trattare, salvo che non si tratti di oggetto che, in quanto illecito, impossibile o per legge manifestamente estraneo alle competenze dell’assemblea, in nessun caso potrebbe essere posto all’ordine del giorno.

Una determinata questione rientra nella competenza del consiglio comunale quando:

  • fa riferimento agli atti fondamentali espressamente elencati dal comma 2 dell’articolo 42 del TUEL;
  • rientri nelle funzioni di indirizzo e di controllo politico-amministrativo di cui al comma 1 del medesimo articolo 42, con la possibilità, quindi, che la trattazione da parte del collegio non debba necessariamente sfociare nell’adozione di un provvedimento finale.

Nel caso in esame, la convocazione del consiglio straordinario è stata chiesta ai sensi dell’art.3 9, comma 2, del d.lgs. n.267/2000 e dell’art.17, comma 5, dello statuto. L’art. 17 comma 5 dello statuto, rubricato “Il Consiglio Comunale”, riproduce in sostanza il contenuto dell’art.39, comma 2, del TUEL in quanto dispone “Il consiglio si riunisce almeno quattro volte all’anno. Qualora lo richieda almeno un quinto dei consiglieri, il Sindaco è tenuto a riunire il Consiglio entro venti giorni dal deposito della richiesta presso l’Ufficio di Segreteria ed a inserire nell’ordine del giorno l’esame delle questioni richieste”.

Il quadro delineato consente di ritenere che la questione debba essere portata all’attenzione del consiglio in quanto spetta solo a tale organo, nella sua totalità, valutare l’ammissibilità degli argomenti da trattare, nell’ambito delle prerogative ad esso riconosciute dalla legge.

 

La redazione PERK SOLUTION

Riconoscimento debito fuori bilancio da sentenza esecutiva, necessaria l’approvazione del Consiglio

Il pagamento di un debito fuori bilancio riveniente da una sentenza esecutiva deve, sempre, essere preceduto dall’approvazione da parte del Consiglio dell’ente della relativa deliberazione di riconoscimento. È quanto ribadito dalla Corte dei conti, Sez. Lombardia, con deliberazione n. 40/2022. Nel caso di specie, il Comune istante ha chiesto di sapere se nell’ambito del giudizio di opposizione a sanzioni amministrative elevate per violazioni al Codice della strada, per le sentenze di condanna del giudice di pace alla rifusione delle spese di lite, sia imprescindibile seguire il procedimento del riconoscimento del debito fuori bilancio ex articolo 194, comma 1, lettera a), TUEL, ovvero, in caso di risposta negativa, quale potrebbe essere, tenuto conto della specificità fondata sul dato qualitativo delle sentenze di condanna del giudice di pace, il procedimento alternativo da attivare per ristorare tempestivamente l’avente diritto delle spese di lite e dei costi di causa a seguito della dichiarazione di soccombenza del Comune in cause nelle quali vien fatta questione della violazione di norme del Codice della strada.

Il Comune evidenzia come le sentenze di condanna del giudice di pace, a seguito del giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, raramente superano i mille euro e tenuto conto che imporre, anche per le suddette sentenze, il procedimento di cui all’articolo 194 del TUEL comporterebbe il sostenimento di costi – per convocazione del Consiglio comunale, gettoni di presenza, nonché di eventuali somme dovute per ritardato pagamento – superiori al valore del debito fuori bilancio da riconoscere.

Per la Corte l’iter procedimentale previsto dall’articolo 194 costituisce principio generale con valore di limite inderogabile rispetto alla potestà regolamentare dell’ente locale; la disposizione non introduce alcun distinguo per la regolazione contabile di ciascuna delle eterogenee fattispecie disciplinate ma prevede, anzi, un regime indifferenziato, disponendo, infatti, per tutte una uniforme procedura di riconoscimento di competenza consiliare.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Nei comuni con meno di 15.000 ab., il vicesindaco che non riveste la carica di consigliere sostituisce il sindaco anche quale componente del consiglio

Il Tar Lazio, sez. II bis, con la sentenza 17 marzo 2022, n. 3080 ha stabilito che “nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, allorché il vicesindaco sostituisca il primo cittadino in caso di sospensione di quest’ultimo dall’esercizio della funzione disposta ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 235/2012, i poteri vicariali da egli esercitati non incontrano, nel vigente sistema normativo, alcuna esclusione o limitazione a particolari categorie di atti, estendendosi anche alle funzioni, spettanti al sindaco, di componente, con diritto di voto, del consiglio comunale, e ciò anche nell’ipotesi in cui il vicesindaco non faccia parte del cennato organo elettivo tanto perché, sin dall’inizio, non ha mai rivestito la carica di consigliere quanto perché, come nel caso di specie, abbia successivamente rassegnato le dimissioni per divenire esclusivamente componente della giunta ”.
Infatti, nell’ordinamento vigente sono rinvenibili plurimi indici normativi che depongono nel senso che il meccanismo surrogatorio previsto dall’art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000 operi senza limitazione alcuna a particolari categorie di atti o di funzioni, e ciò è tanto più vero laddove la situazione di fatto legittimante la sostituzione si rinvenga nell’essere stato il sindaco raggiunto dalla sospensione delle funzioni prevista dall’art. 11 del d.lgs. n. 235/2012.
In questa ipotesi, la durata preventivamente non determinabile della situazione di interdizione che ha colpito il primo cittadino, in uno con l’incertezza in ordine agli esiti che detta sospensione potrà conoscere, impone di salvaguardare la continuità dell’esercizio delle funzioni sindacali evitando che le vicissitudini personali del sindaco si trasformino in una deminutio capitis dell’ente.
Né a conclusioni dissimili potrebbe pervenirsi invocando eventuali disposizioni statutarie o regolamentari che escludono la possibilità, per gli assessori non consiglieri, di esprimere il proprio voto all’interno del consiglio comunale, disposizioni che, ove presenti, si limitano a disciplinare il c.d. “diritto di tribuna” spettante agli assessori “esterni” ma che, di certo, non giustificano deroghe ad una disposizione legislativa precisa ed inequivocabile quale quella recata nell’art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000.
Infine, proprio la natura tendenzialmente non occasionale assunta dalla sostituzione vicariale nell’ipotesi di sospensione dalla carica del sindaco e la circostanza che lo statuto dell’ente abbia, nell’esercizio di una facoltà di scelta riconosciuta dalla legge, affidato la presidenza dell’assemblea ad un consigliere anziché al sindaco, sono da ritenere elementi sufficienti a scongiurare il rischio di una delega o sostituzione nelle funzioni di componente dell’assemblea elettiva.

 

Consiglio di Stato: scioglimento dei Consigli comunali

Il Consiglio di Stato, nell’adunanza della Commissione speciale del 14 giugno 2021, in riscontro ad una richiesta di parere del Ministero dell’Interno, ha chiarito che nella fattispecie prevista dall’art. 141, comma 1, lett. b), n. 4), del T.U.O.E.L., l’impossibilità per il Consiglio comunale, in prima convocazione, di raggiungere il quorum previsto dal proprio regolamento per la validità della riunione sussistendo – almeno in astratto – il quorum strutturale per la validità della riunione in seconda convocazione, non configura un’ipotesi dissolutoria del consiglio medesimo. L’impossibilità di funzionamento dell’organo rappresentativo dovrebbe costituire ipotesi residuale ed eccezionale, insuscettibile di applicazioni estensive. Come ha precisato il Consiglio di Stato (v. sez. III, nn. 2273 del 2021 e 4545 del 2021), non si può prescindere, ai fini dell’approvazione della surroga in seconda convocazione, dalla giuridica possibilità di convocare la seduta in prima convocazione; invece sono indifferenti le ragioni per cui la prima convocazione non si sia in concreto tenuta, tanto più quando esse integrino, con il fenomeno del c.d. aggancio, un mezzo ostruzionistico per opporsi alla doverosa surroga del consigliere di maggioranza dimissionario. E’ poi da considerare un elemento aggiuntivo, rispetto a quanto già ampiamente rappresentato nelle più recenti sentenze della sez. III del Consiglio di Stato nn. 2273 del 2021 e 4545 del 2021, In base alle disposizioni di rango primario, la doppia convocazione per la medesima riunione, con quorum distinti a scalare, non costituisce un obbligo ma esclusivamente una prassi consolidata prevista dai regolamenti consiliari e, in genere, dalla disciplina regolatoria di non pochi organi collegiali. La doppia convocazione è diretta a contemperare, nell’ordine, la maggiore rappresentatività del quorum strutturale e l’esigenza di snellimento ed efficienza dell’attività dell’organo rappresentativo. La seconda convocazione, in assenza di una espressa previsione legislativa, non può svolgere un ruolo recessivo rispetto alla prima, non fosse altro che per la necessità di evitare esiti di segno opposto alla volontà espressa dall’elettorato al momento delle elezioni. Né, come si è visto, le eventuali manovre opportunistiche svolte in seno al consiglio dai componenti possono comportare lo scioglimento quale prodotto automatico della mancanza del numero legale in prima convocazione. ​​​​​​​Merita soprattutto sottolineare, rispetto al silenzio del legislatore sulla necessità della doppia convocazione, che, proprio la natura non obbligatoria della doppia convocazione con quorum distinti potrebbe condurre a esiti palesemente contraddittori con riguardo alla fattispecie astratta in esame. E infatti, in linea ipotetica, non è interdetta dalla legge al regolamento consiliare la possibilità di escludere la doppia convocazione e di stabilire un quorum unico di validità della seduta, senza distinzione tra prima e seconda convocazione (ad es. il quorum di un terzo). Ebbene, il consiglio che, in ipotesi, si fosse dato un regolamento con doppia convocazione e quorum a scalare (ad es. la metà dei consiglieri assegnati, in prima convocazione, e poi un terzo, in seconda convocazione), dovrebbe essere sciolto anche ove fosse in grado di raggiungere il secondo quorum mancando il primo; diversamente, il consiglio che si fosse dato direttamente un unico quorum strutturale di un terzo non verrebbe sciolto. Un esito del genere risulta, allo stato, intrinsecamente contraddittorio.

La surroga del consigliere comunale dimissionario dev’essere deliberata dal Consiglio

Ai sensi dell’art. 38, commi 4 e 8, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, la surroga del consigliere comunale dimissionario, pur costituendo un atto dovuto e vincolato, necessita di una specifica ed espressa deliberazione del Consiglio comunale. È quanto ribadito dal TAR Calabria, sezione I, con sentenza del 9 settembre 2020, n. 1440. Il comma 8 dell’art. 38 stabilisce, infatti, che il consiglio, entro e non oltre dieci giorni, deve procedere alla surroga dei consiglieri dimissionari, con separate deliberazioni, seguendo l’ordine di presentazione delle dimissioni quale risulta dal protocollo.
In merito alla possibilità di procedere comunque alla surroga del consigliere dimissionario da parte del Consiglio riunito in seconda convocazione (laddove in prima convocazione non sia stato possibile procedere per sopravvenute dimissioni dei consiglieri), al fine di incorrere nella causa di scioglimento del Consiglio comunale prevista dall’art. 141, comma 1, lett. b), n. 4), TUEL («riduzione dell’organo assembleare per impossibilità di surroga alla metà dei componenti del consiglio»), il Tribunale è consapevole dell’orientamento, espresso in una risalente sentenza del Consiglio di Stato (C.d.S., Sez. V, 17 febbraio 2006, n. 640), secondo cui la seconda convocazione di un collegio deliberante ha lo scopo di ridurre il quorum strutturale necessario per la validità delle deliberazioni, onde evitare, in base ad un principio di efficienza dell’organo collegiale, la paralisi di questo. In relazione a tale finalità sono irrilevanti le ragioni per le quali non si è potuta tenere l’adunanza in prima convocazione, qualunque ne possa essere la ragione. Per tale ragione, sarebbe consentito procedere alla surroga dei consiglieri dimissionari anche laddove non sia possibile una valida riunione del Consiglio in prima convocazione per via delle sopravvenute dimissioni di un numero di consiglieri tale da non consentire il raggiungimento del quorum costitutivo, purché l’assemblea sia in grado di deliberare in seconda convocazione con il quorum previsto dal regolamento, nel rispetto dell’art. 38, comma 2, d.lgs. TUEL.
Per i giudici del TAR, appare però, più convincente il diverso orientamento, emerso nella giurisprudenza dei T.A.R. (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. I, 9 giugno 2008, n. 1689; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 17 gennaio 2015, n. 33; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 3 aprile 2018, n. 2131), per cui rientra nella stessa ratio della previsione che distingue tra sedute di prima e seconda convocazione attribuendo preferenza alle prime (per le ragioni di maggior rappresentatività sopra evidenziate) che deve ritenersi insita nel sistema la necessità che, affinché il consiglio possa continuare ad operare senza essere sciolto, esso debba garantire quantomeno in astratto (con la presenza del relativo numero minimo legale) la valida costituzione dell’assemblea in prima convocazione.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION