Anci: Servizio di Tesoreria affidabile direttamente se l’importo è inferiore a 75mila euro

E’ ammissibile l’affidamento diretto da parte di un Comune del servizio di tesoreria il cui importo stimato sia inferiore a 75mila euro per tutto il periodo di affidamento, poiché risulta inferiore all’importo di 139mila euro previsto lett. a) del comma 2 dell’art. 1 del D.L. n. 76/2020. Lo confermano  gli esperti di ANCI sulla base della vigente normativa in materia di contratti delle pubbliche amministrazioni, prendendo spunto dal quesito inoltrato da un Comune.

“Ciò è legittimo – aggiungono – a condizione, però, che la determina a contrarre o altro atto di avvio del procedimento equivalente sia adottato entro il 30 giugno 2023, addivenendo all’aggiudicazione o individuazione entro il termine di due mesi dalla data di adozione dell’atto di avvio del procedimento, pena, in difetto, il possibile addebito, al responsabile unico del procedimento, di responsabilità per danno erariale. Inoltre – specificano – tale affidamento diretto potrà avvenire anche senza consultazione di più operatori economici, ma dovranno comunque essere rispettati i principi di cui all’art. 30 del Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 50/2016, vale a dire i principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e di pubblicità, e “l’esigenza che siano scelti soggetti in possesso di pregresse e documentate esperienze analoghe a quelle oggetto di affidamento, anche individuati tra coloro che risultano iscritti in elenchi o albi istituiti dalla stazione appaltante, comunque nel rispetto del principio di rotazione”. Pertanto – concludono gli esperti – al fine di rispettare le suddette condizioni, qualora il Comune non disponga di elenchi o albi istituiti dall’Ente stesso che contemplino anche la categoria di soggetti idonei allo svolgimento del servizio in questione, dai quali attingere il soggetto con il quale contrattare nel rispetto del principio di rotazione, potrebbe essere valutata l’ipotesi  di ricorrere a una indagine esplorativa per raccogliere le manifestazioni di interesse di uno o più soggetti “in possesso di pregresse e documentate esperienze analoghe” ai fini del successivo affidamento diretto del servizio (Fonte Anci).

Dubbi di costituzionalità sull’obbligo dei concessionari di esternalizzare a terzi l’80% dei lavori

La Corte costituzionale, nell’udienza fissata per il prossimo 5 ottobre 2021, dovrà pronunziarsi sulla questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Consiglio di Stato, dell’art. 1, comma 1, lett. iii), della legge 28 gennaio 2016, n. 11 (Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture) recante il criterio di delega attuato dall’art. 177, comma 1, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), disposizione ugualmente censurata dal rimettente, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 41 e 97, secondo comma, della Costituzione.
L’art. 177 del codice dei contratti pubblici, oggetto di una pluralità di interventi di modifica e di integrazione, disciplina l’affidamento dei concessionari prevedendo, in particolare, l’obbligo per i soggetti pubblici o privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture – già in essere alla data di entrata in vigore del codice dei contratti – non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica, di affidare, una quota pari all’ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità. La restante parte dell’affidamento può essere realizzata da società in house per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato. Secondo il rimettente l’obbligo imposto ai concessionari di dismettere l’intera concessione (a terzi, mediante una procedura di evidenza pubblica, per una quota pari all’80% dei contratti; a soggetti riconducibili al concessionario, per il restante 20%, ovvero tramite operatori individuati tramite
procedura di evidenza pubblica) si porrebbe in tensione con la garanzia costituzionale della libertà di impresa. Pur riconoscendo che la giustificazione dell’obbligo di messa a gara sia collegato all’esigenza di ripristinare la concorrenza “per il mercato”, mancata al momento dell’affidamento della concessione, l’applicazione dell’obbligo riferita all’intera concessione si tradurrebbe, secondo la prospettazione del rimettente, per un verso, in un impedimento assoluto e definitivo di proseguire l’attività economica privata, intrapresa ed esercitata sulla base di un titolo amministrativo legittimo, e, per altro verso, trasformerebbe il concessionario in una mera articolazione operativa degli enti concedenti con funzione di stazione appaltante. La mancata considerazione, da parte del legislatore, delle esigenze di tutela della libertà di impresa induce il rimettente a censurare le disposizioni per violazione del principio di ragionevolezza, anche sotto il profilo del coinvolgimento indistinto di tutti i concessionari titolari di un affidamento senza gara, indipendentemente dalla dimensione della struttura imprenditoriale, dall’oggetto e dall’importanza del settore strategico cui si riferisce la concessione, oltre che dal valore economico e dal fatto che il contratto fosse in vigore ovvero che la concessione fosse scaduta e che si versasse in una condizione di proroga. Il Consiglio di Stato prospetta, infine, una lesione dei principi del buon andamento e dell’imparzialità poiché sia la norma delegante che quella delegata non risultano contenere alcuna valutazione degli effetti dell’obbligo di dismissione sull’efficiente svolgimento di servizi pubblici essenziali, relativi alle concessioni affidate, e sulle possibili ricadute sull’utenza.