ANAC: nessuna transazione con azienda inadempiente

Anac, rispondendo ad una richiesta di parere da parte di un Comune marchigiano, ha evidenziato che una stazione appaltante non può concludere un accordo transattivo con un’azienda offrendole in cambio gli stessi lavori revocati per grave inadempimento. Un operatore economico, peraltro, su cui è stata disposta l’annotazione nel casellario informatico delle imprese.

La vicenda si riferisce ad sorta una controversia fra il Comune e la ditta affidataria, che aveva portato alla revoca dell’appalto. Successivamente, volendo chiudere il contenzioso che ne era nato, il Comune marchigiano proponeva un accordo che prevedeva l’aggiudicazione alla stessa dell’appalto come transazione. L’Autorità ha ribadito “il carattere imperativo ed indisponibile dei sistemi di affidamento dei contratti pubblici, e la necessità che detti contratti siano aggiudicati ad operatori economici in possesso di adeguati requisiti professionali e morali, inclusa l’assenza di gravi illeciti professionali, tanto più se commessi – come nel caso in questione – in relazione allo stesso contratto che si intende riaffidare, quale presupposto indispensabile per garantire la corretta esecuzione e la qualità delle prestazioni dedotte nel contratto d’appalto, nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza”. Non si può, quindi, concludere una transazione per risolvere un contenzioso, dando in cambio un appalto.

La conclusione di un accordo transattivo tra amministrazione aggiudicatrice ed appaltatore al fine di tacitare le pretese avanzate da quest’ultimo in sede giurisdizionale in cambio di un nuovo affidamento di lavori, determina un grave vulnus agli equilibri concorrenziali. Le procedure di affidamento sono, infatti, rigorosamente soggette alla normativa comunitaria e nazionale a tutela della libera concorrenza e non possono essere oggetto di scambi transattivi in termini di affidamento lavori/rinuncia alle liti.

 

La redazione PERK SOLUTION

Corte dei conti, caratteri e limiti dell’accordo transattivo

L’accordo transattivo dovrebbe mirare a recuperare il massimo importo possibile, in quanto deve essere improntato a criteri di stretta economicità (art. 1, l. n. 241/1990 e s.i.m.), con l’effetto che si dovrebbe garantire, (…) il massimo valore ottenibile dall’impiego delle risorse a disposizione, anche attraverso la predisposizione di piani di rateizzazione, così come previsto per altre fattispecie. È quanto ribadito dalla Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, con deliberazione n. 343/2021, in risposta ad un quesito da parte di un comune in merito alla possibilità alla possibilità di accettare un pagamento a titolo transattivo, mediante assolvimento parziale di soggetti terzi rispetto alle posizioni debitorie di una società in stato di liquidazione nei confronti della quale sia stata infruttuosamente esperita la procedura esecutiva con le conseguenze di cui all’art. 164-bis delle disposizioni attuative del c.p.c.
La Sezione, fornisce un quadro generale sull’istituto della transazione, riassumendone i caratteri fondamentali, dal punto di vista dei principi generali di contabilità pubblica secondo i quali un comune gestisce con accordo transattivo partite creditorie a residuo, ne affronta le ricadute finanziarie rispetto ad un possibile realizzo, anche in forma parziale, e ne cura i conseguenti riflessi nelle scritture contabili.
Da un punto di vista civilistico, la transazione (art. 1965 c.c.) è il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro. Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti. Secondo consolidata giurisprudenza, oggetto dell’accordo non è il rapporto o la situazione giuridica cui si riferisce la discorde valutazione delle parti, ma la lite cui questa ha dato luogo o possa dar luogo e che le parti stesse intendono definitivamente risolvere mediante reciproche concessioni (Cfr., ex multis, Cass. 6 maggio 2003 n. 6861; Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 24 febbraio 2015, n. 3598).
Appurato che gli enti pubblici possono transigere le controversie delle quali siano parte, ai sensi dell’art. 1965 del c.c. e seguenti, la Corte ha rilevato come la scelta se proseguire un giudizio o addivenire ad una transazione e la concreta delimitazione dell’oggetto della stessa spetta all’Amministrazione nell’ambito dello svolgimento della ordinaria attività amministrativa e come tutte le scelte discrezionali non è soggetta a sindacato giurisdizionale, se non nei limiti della rispondenza delle stesse a criteri di razionalità, congruità e prudente apprezzamento, ai quali deve ispirarsi l’azione amministrativa. La verifica della legittimità dell’attività amministrativa non può più ormai prescindere da una valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti e spese sostenute, con l’ulteriore effetto che la violazione dei criteri di economicità e di efficacia assume specifico rilievo nel giudizio di responsabilità, considerato che l’antigiuridicità dell’atto amministrativo ed in generale dei comportamenti dei soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti, costituisce presupposto necessario (ancorchè non sufficiente) della “colpevolezza” di colui che lo ha posto in essere. Occorre, pertanto, la massima prudenza da parte dell’ente, nonché una dettagliata motivazione che dia conto del percorso logico seguito per giungere alla definizione transattiva della controversia, anche sulla base di un giudizio prognostico circa l’esito del contenzioso. Da ciò ne deriva che l’intera procedura negoziale transattiva deve essere accompagnata da atti ad evidenza pubblica che rispettino il principio di trasparenza, nel disegno del dettato costituzionale che, all’art. 97, richiede che gli uffici pubblici conformino il loro agire ai principi di “imparzialità e buon andamento”.
Un’adeguata ponderazione dei contenuti degli accordi transattivi, con puntuale valutazione degli interessi in gioco, appartiene, pertanto, all’organo amministrativo al vertice della struttura, in coerenza con le responsabilità di cui al d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Tale responsabilità, salvo che si tratti di importi irrisori, è bene sia condivisa nel procedimento decisorio con l’organo rappresentativo della volontà dell’intero corpo elettorale.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Agenzia delle entrate, trattamento fiscale dell’accordo transattivo del Comune

Le agevolazioni di cui all’art. 20 della legge n. 10 del 1977 ovvero quelle previste dall’art. 32 del d.P.R. 601 del 1973, con conseguente applicazione dell’imposta di registro in misura fissa (Euro 200,00) e dell’esenzione dalle imposte ipotecarie e catastali, che si applicano anche a tutti gli atti preordinati alla trasformazione del territorio, nonché a tutti gli atti attuativi posti in essere in esecuzione dei primi, presuppongono, quale elemento essenziale della fattispecie agevolativa, l’esistenza di un accordo o convenzione, da stipularsi tra privato ed ente pubblico. È quanto chiarito dall’Agenzia delle entrate, con la risposta n. 668 del 6 ottobre 2021, in ordine alla corretta qualificazione di un atto transattivo (rivolto alla definitiva acquisizione dell’area occupata illegittimamente dal Comune) ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, nonché delle imposte ipotecaria e catastale.
Il Comune istante precisa di aver approvato un progetto definitivo per la realizzazione di un’area fieristica, valutando di interesse pubblico la valorizzazione di tutta l’area circostante un’importante Abbazia. Con determina dirigenziale è stata disposta l’occupazione d’urgenza dell’area, successivamente eseguita, senza mai emanare il relativo decreto di esproprio, con conseguente illegittima sottrazione all’uso da parte della proprietà. Il Consiglio comunale Comune ha deliberato, pertanto, di procedere alla definitiva, completa e legittima trasformazione dell’area mediante stipula di un atto transattivo.
Nel merito, l’Agenzia evidenzia che con la risoluzione n. 80/E del 2018 sono stati forniti chiarimenti interpretativi in ordine alla disposizione introdotta dall’articolo 1, comma 88, della legge n. 205 del 2017, precisando che la stessa deve essere comunque coordinata con il contesto normativo alla quale la medesima si riferisce (ovvero con la legge n. 10 del 1977, cd. ” Legge Bucalossi”), per cui il regime agevolativo previsto da tale disposizione non potrebbe di conseguenza essere esteso ad atti che, sebbene genericamente preordinati alla trasformazione del territorio, non abbiano quale oggetto interventi edilizi riconducibili a quelli previsti dalla citata legge n. 10 del 1977; in tale sede, è stato peraltro precisato che rientrano, fra gli altri, nell’ambito di tale legge le cessioni di aree per la realizzazione delle opere di urbanizzazione connesse all’intervento edilizio e gli atti finalizzati alla redistribuzione di aree fra colottizzanti, sulla base anche delle istruzioni fornite con la Risoluzione n. 56/E del 1° giugno 2015.
Il riferimento contenuto nella novella agli «accordi o convenzioni tra privati ed enti pubblici» induce a ritenere che gli atti “agevolati”, presuppongono, quale elemento essenziale della fattispecie agevolativa, l’esistenza di un accordo o convenzione, da stipularsi tra privato ed ente pubblico.
La stipula di un accordo o di una convenzione attiene, tuttavia, alla fase di regolamentazione del rapporto tra il soggetto pubblico ed il soggetto privato delle modalità, contenuti di attività e procedure finalizzate alla ‘trasformazione’ del territorio, che può riguardare, tra l’altro, le modalità di realizzazione delle opere di urbanizzazione (che ad es. possono, sulla base di quanto previsto in convenzione, essere realizzate dal privato a scomputo della quota dovuta per gli oneri di urbanizzazione) ovvero le caratteristiche degli immobili da realizzare, ed i criteri di fissazione dei prezzi di cessione degli stessi, nel rispetto della disciplina recata dal Testo unico edilizia. Nel caso di specie, in base a quanto rappresentato dal Comune istata, l’Agenzia non ritiene che possa rientrare nella categoria sopra definita di accordo o convenzione tra le parti l’atto transattivo che, configurandosi in un accordo per il trasferimento della proprietà del terreno, non realizza direttamente ed immediatamente la funzione di trasformazione del territorio.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Rischio elusione il ricorso alla transazione in sostituzione del riconoscimento del debito fuori bilancio

Il ricorso alla transazione, in sostituzione del riconoscimento del debito fuori bilancio, può assumere carattere elusivo e rappresentare un comodo espediente per evitare la pronuncia sulla fattispecie da parte dell’organo consiliare e la trasmissione degli atti alla Procura contabile, come previsto dall’art. 23, comma 5, della legge n. 289/2002 (in termini, Sezione regionale di controllo per la Puglia,
deliberazione n. 57/2017/PRSP), norma quest’ultima dotata di un sicuro effetto deterrente. È quanto ribadito dalla Corte dei conti, Sez. Puglia, con deliberazione n. 112/2021/PRSP, a seguito dell’esame della relazione dell’Organo di revisione sul rendiconto di gestione 2018 di un Comune.
Dall’esame istruttorio è emerso che l’Ente approvava una convenzione transattiva, avente ad oggetto la liquidazione dei compensi spettanti all’Avvocato, per l’attività difensiva dal medesimo espletata in quattro giudizi. In premessa, si faceva presente che il professionista nulla ha percepito a titolo di compenso per l’attività svolta, per l’insufficienza delle relative previsioni di spesa. La Sezione osserva come la soluzione adottata dall’ente, pur formalmente caratterizzata da un accordo tra le parti, non appaia riconducibile allo schema negoziale proprio della transazione, quanto più correttamente a una parziale remissione di debito. Affinché un accordo possa qualificarsi come “atto di transazione” è necessario, infatti, che dalla relativa scrittura risultino gli elementi essenziali del negozio, quali: i) la comune volontà delle parti di comporre una controversia in atto o prevista; ii) la res dubia, ossia la materia oggetto delle contrastanti pretese giuridiche delle parti; iii) il nuovo regolamento di interessi, che, mediante le reciproche concessioni, sostituisca quello precedente foriero della lite o del pericolo di lite. In particolare, è stato costantemente affermato, che costituisce presupposto indispensabile lo scambio di reciproche concessioni, sicché, ove manchi l’elemento dell'”aliquid datum, aliquid retentum“, essenziale ad integrare lo schema della transazione, questa non può ritenersi configurabile. Nel caso di specie, risulta anche assente il requisito delle reciproche concessioni, venendo in rilievo unicamente la parziale rinuncia del credito da parte del professionista pura e semplice, senza che a tale “sacrificio” si correli una qualche rinuncia da parte del Comune. L’ente nonostante la presenza di passività ben note da tempo ha ritenuto di bypassare la procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio.
Il Collegio evidenzia come il ripetuto e massiccio ricorso a negozi transattivi tesi a ricondurre a bilancio passività sommerse, costituisca una grave patologia della gestione finanziaria, impedendo lo svolgimento dei procedimenti di spesa secondo canoni di buona amministrazione e di sana gestione finanziaria. I principi di sana e corretta gestione finanziaria impongono, viceversa, di effettuare il tempestivo riconoscimento dei debiti fuori bilancio e la mancata tempestiva adozione dei provvedimenti di riconoscimento dovuti, oltre a costituire una violazione di legge, può generare responsabilità a carico di amministratori e/o dipendenti a causa della eventuale formazione di oneri aggiuntivi.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Diritto di accesso agli atti da parte del terzo sottoscrittore di un accordo transattivo con la PA

Sussiste in capo al soggetto – controparte contrattuale della Amministrazione e titolare di specifiche pretese creditorie nascenti dalla stipulazione dell’accordo transattivo – di un “interesse diretto, concreto e attuale” ex art. 22, comma 1, lett. b), legge n. 241/90 alla conoscenza degli atti, di tutti gli atti, esecutivi di quel rapporto e, segnatamente, dei mandati di pagamento all’uopo disposti dal Comune. È quanto evidenziato dal TAR Campania, con sentenza n. 5267 del 16 novembre 2020. Nel caso di specie la società ricorrente – a seguito della stipulazione di un accordo transattivo con il resistente Comune, avente ad oggetto il rapporto inter partes riveniente dall’espletamento del servizio di igiene urbana da parte di essa ricorrente, ed oggetto di contenzioso in sede civile – chiedeva di accedere a copia di tutti i mandati di pagamento emessi dal Comune a favore della ricorrente in ragione di detta transazione. Ciò al fine di conoscere gli importi effettivamente liquidati e la tempistica degli stessi, al dichiarato scopo di eventualmente attivare la clausola di cui all’art. 4 della transazione non essendo stata pagata la transazione nella sua interezza, anche a seguito di presunti pignoramenti da parte di terzi.
I giudici amministrativi hanno ricordato che l’accesso agli atti costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza, afferente a livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali “di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. L’art. 24, comma 7, l. 241/90 prescrive infatti che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici” (in senso analogo: art. 4, comma 1, DM 415/94).
Le prerogative difensive, indefettibilmente garantite in sede giurisdizionale o procedimentale dai principi costituzionali (artt. 24, 97, 111 e 113 Cost.) nonché dalle disposizioni della CEDU (art. 6) e dalla Carta di Nizza (art. 47), devono indefettibilmente essere garantite. Di talché, allorquando la conoscenza di atti sia necessaria all’esercizio di dette prerogative (che altrimenti non potrebbero esplicarsi, in tutto o in parte), l’interesse alla riservatezza ovvero le ragioni di segretezza, o ancora gli altri, diversi, interessi sottesi ai casi di limitazione o esclusione del diritto di accesso, recedono, determinando la riespansione della regola generale costituita dalla ostensibilità degli atti.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION