Richiesta di parere su accesso agli atti da parte dei consiglieri di minoranza

I dati riferiti al pagamento IMU di una società concessionaria del Comune possono essere forniti ai consiglieri in quanto gli stessi vantano uno specifico interesse a valutare il corretto operato dell’amministrazione nella gestione delle imposte. È questa, in sintesi, la risposta del Ministero dell’interno ad una richiesta di parere in materia di accesso agli atti dell’ente, da parte dei consiglieri comunali, ai sensi dell’art. 43, comma 2, del TUEL. In particolare, il sindaco di un Comune, a seguito di istanza d’accesso a firma dei consiglieri di minoranza, ha chiesto se fossero consultabili gli atti relativi al rapporto concessorio tra l’ente e la ditta concessionaria dei terreni per l’estrazione di materiali nel territorio comunale, nonché i pagamenti IMU effettuati dalla stessa negli ultimi tre anni.

Il Ministero ricorda che il diritto di accesso” ed il “diritto di informazione” dei consiglieri comunali nei confronti della P.A., secondo la disciplina dell’art. 43, consenti ai consiglieri di ottenere dagli uffici tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Tale diritto ha confini più ampi sia del diritto di accesso ai documenti amministrativi attribuito al cittadino nei confronti del comune di residenza (art.10, TUEL.) sia, più in generale, nei confronti della P.A. quale disciplinato dalla legge n. 241/90.

Il consigliere comunale non ha l’obbligo di motivare le proprie richieste di accesso, poiché tale diritto è essenziale per svolgere le proprie funzioni e rappresenta un principio democratico fondamentale per l’autonomia locale e la rappresentanza della comunità. Il Consiglio di Stato ha sottolineato l’importanza di trovare un equilibrio tra il diritto del consigliere di esercitare il proprio mandato e la riservatezza delle persone coinvolte, suggerendo di mascherare i nominativi e altri dati sensibili per garantire la privacy.

Il consigliere comunale è tenuto al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge, per cui il medesimo deve mantenere inaccessibili eventuali dati sensibili, rispondendone personalmente della diffusione illecita. Inoltre, viene precisato che, qualora nei documenti riguardanti la società in questione, da rilasciare ai consiglieri, vi siano situazioni che godano di una certa copertura costituzionale come la riservatezza di terzi, l’ente dovrà procedere con il sistema della “mascheratura” dei dati.

 

La redazione PERK SOLUTION

Accesso agli atti del consigliere comunale Presidente dalla Commissione di controllo e Garanzia

In materia d’accesso agli atti, la riservatezza non è opponibile ai consiglieri comunali, perché tenuti al segreto d’ufficio. L’equilibrato bilanciamento si raggiunge attraverso l’ostensione degli atti, previa “mascheratura” dei nominativi e dei dati idonei a consentirne l’individuazione. È questa, in sintesi, la risposta fornita dal Ministero dell’interno ad una richiesta di parere in merito alla possibilità di un consigliere comunale, che è anche presidente della commissione di controllo e garanzia, di accedere ad informazioni riguardanti il pagamento della TARI da parte di enti, associazioni, cooperative che gestiscono immobili di proprietà comunale, nonché informazioni relative al pagamento della tassa di occupazione del suolo pubblico da parte di titolari di esercizi pubblici che espongono merci all’esterno dei propri negozi, anche su aree delimitate da stalli per il parcheggio dei veicoli a pagamento.

In base alla sentenza del Consiglio di Stato del 1° marzo 2023 n. 2189, la riservatezza non è opponibile ai consiglieri comunali, in quanto gli stessi sono tenuti al segreto d’ufficio ai sensi dell’art. 43, comma 2, TUEL (cfr. anche sentenza TAR Lazio-Latina, 3 marzo 2023, n.49) e il rispetto di un equilibrato bilanciamento si può utilmente raggiungere attraverso l’ostensione di tutti gli atti richiesti, previa “mascheratura” dei nominativi e di ogni altro dato idoneo a consentire l’individuazione degli stessi. Il diritto di accesso del consigliere, seppur più ampio rispetto all’accesso agli atti amministrativi previsto dall’art.7 della legge n. 241/1990, non può esercitarsi, quindi, con pregiudizio di altri interessi riconosciuti dall’ordinamento meritevoli di tutela.

Sul punto il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4792 del 22.6.2021, ha evidenziato che l’esercizio del diritto di accesso di cui all’articolo 43, comma 2, TUEL deve essere letto ed interpretato in stretto rapporto con l’art. 42 del medesimo TUEL; pertanto, il suddetto limite implica che il diritto di conoscenza del consigliere debba porsi in rapporto di strumentalità con la funzione “di indirizzo e di controllo politico-amministrativo”, propria del consiglio comunale. I dati e le informazioni di cui viene a conoscenza il consigliere comunale devono essere utilizzati solo per le finalità realmente pertinenti al mandato, rispettando il dovere del segreto secondo quanto previsto dalla legge e nel rispetto dei principi in materia di privacy.

Con riferimento al caso in esame, il Ministero osserva che, nel caso in esame, essendo stato rilevato che le richieste del consigliere in argomento vengono effettuate nella qualità di presidente della commissione di controllo e garanzia, le cui funzioni sono declinate dall’articolo 14, comma 5, del regolamento delle commissioni consiliari, occorre tenere in considerazione anche il comma 8 del citato articolo 14, il quale prevede che “La Commissione ha diritto di accesso agli atti degli uffici e servizi comunali per effettuare le verifiche, i controlli e gli accertamenti previsti dal precedente quinto comma. I responsabili dei servizi e l’altro personale addetto agli uffici e servizi sono tenuti a prestare alla Commissione tutta la collaborazione dalla stessa richiesta”. Sul consigliere non può gravare alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso, atteso che rientra nelle prerogative del consigliere comunale il controllo dell’attività svolta dall’ente, fermi restando gli obblighi di riservatezza cui lo stesso è tenuto a norma di legge.

 

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Diritto d’accesso dei consiglieri comunali alla documentazione posta a base di gara d’appalto

I consiglieri possono accedere agli atti del comune, se necessari all’esercizio della funzione e se non riguardino i provvedimenti formati dalla commissione di gara e fino alla chiusura del procedimento, tenendo presente il principio del ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali. Il Ministero dell’interno in riscontro ad una richiesta di parere da parte di un Prefettura ha evidenziato che è principio pacifico quello per cui l’accesso agli atti, ex art. 43 del TUEL, da parte dei consiglieri comunali costituisce strumento di controllo e verifica del comportamento dell’amministrazione, in funzione di tutela di interessi non individuali ma generali, ed è pertanto espressione del principio democratico dell’autonomia locale”.

Il Consiglio di Stato (sentenza n. 8667/2022 – sentenza n. 4792/2021) ha precisato che l’esercizio del potere di accesso di cui all’articolo 43, comma 2, TUEL è finalizzato “all’espletamento del mandato” e pertanto deve essere letto ed interpretato in stretto rapporto all’art. 42. Il bisogno di conoscenza del titolare della carica elettiva deve, quindi, porsi in rapporto di strumentalità con la funzione ‘di indirizzo e di controllo politico-amministrativo’, di cui nell’ordinamento dell’ente locale è collegialmente rivestito il consiglio comunale (art. 42, c.1, t.u.e.l.), e alle prerogative attribuite singolarmente al componente dell’organo elettivo.

Il diritto del consigliere comunale all’accesso agli atti dell’ente locale non è, dunque, incondizionato. Il diritto di accesso è sottoposto, infatti, alla regola del ragionevole bilanciamento propria dei rapporti tra diritti fondamentali. Nell’ambito del codice dei contratti, il diritto di accesso prevede che i consiglieri comunali mantengano una posizione differenziata in ossequio proprio al riconosciuto ruolo di controllo e di garanzia. L’accesso informativo dei consiglieri comunali non può essere astrattamente negato per nessuna particolare categoria di informazioni e di atti che le contengono, e dunque neppure quelli relativi alle procedure di gara.

I consiglieri comunali, proprio in virtù dell’articolo 43 del TUEL, possano accedere ad atti per i quali è generalmente precluso ai terzi l’esercizio del diritto di accesso per ragioni di riservatezza e che il diritto dei consiglieri comunali di ottenere dagli uffici comunali “tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del loro mandato” è ben diverso dal diritto di accesso disciplinato dagli artt. 23 e segg. della legge n. 241/1990 e dall’articolo 10 del TUEL. La garanzia della riservatezza dei terzi è assicurata dall’articolo 43  il quale stabilisce che i consiglieri comunali sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge.

 

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Il consigliere comunale ha diritto di accedere al protocollo informatico del Comune

Ai sensi dell’art. 43, comma 2, del TUEL, il consigliere comunale ha diritto di accedere ai dati del protocollo informatico del Comune, purché ciò avvenga in modo da arrecare il minor aggravio possibile agli uffici dell’ente. È quanto ribadito dal TAR Lombardia, sezione I, sentenza 24 ottobre 2022, n. 2317, pronunciandosi sul ricorso presentato da un consigliere comunale che ha impugnato il provvedimento del Comune di sospensione della trasmissione dei dati contenuti nel protocollo informatico. L’Ente ha motivato la sospensione con la necessità di predisporre specifiche cautele nella condivisione degli atti che contengono dati sensibili e giudiziari, in applicazione delle linee guida ANAC n. 1309/2016 sull’accesso generalizzato e del regolamento generale sulla protezione dei dati (UE) 2016/679 (GDPR) del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 sui dati riferiti ai procedimenti giudiziari.

Ai sensi dell’art. 43, comma 2, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, «I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge». La ratio della norma che riconosce ai consiglieri comunali la più ampia ed esaustiva conoscenza di tutte le notizie relative all’organizzazione amministrativa è infatti quella di favorire lo svolgimento del loro mandato rappresentativo della collettività con metodo democratico, mediante la verifica ed il controllo dell’attività degli organi dell’ente locale; per tale ragione è sufficiente che la conoscenza dei dati, delle informazioni e dei documenti sia utile all’espletamento del mandato rappresentativo, senza che sia richiesta anche la sussistenza di uno specifico nesso funzionale tra tale conoscenza e l’esercizio del mandato.

Come affermato da consolidata giurisprudenza, «il fondamento del diritto di accesso del consigliere comunale trova ragione e limite nell’utile esercizio della funzione di componente dell’organo di cui è parte», per cui non può essere esercitato «in contrasto con il principio costituzionale di razionalità e buon funzionamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.)» né con modalità eccedenti il «livello di digitalizzazione della amministrazione (cfr. art. 2, comma primo, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82)» (C.d.S., Sez. V, 3 febbraio 2022, n. 769; 2 gennaio 2019, n. 12). Il Collegio ritiene che le informazioni e i dati richiesti dal ricorrente rientrino tra quelli accessibili ai consiglieri comunali, in quanto utili all’espletamento del mandato consiliare. È infatti evidente che la conoscenza della cronologia degli atti registrati in entrata e in uscita e del loro oggetto è idonea ad agevolare la valutazione dell’efficacia dell’azione amministrativa del Comune ed a stimolare la promozione di ulteriori attività in favore della collettività rappresentata.

Il Collegio ritiene che le motivazioni del diniego di accesso siano inconferenti, atteso che le esclusioni ed i limiti all’accesso civico, di cui all’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013, in particolare quella prevista per gli atti, i dati e le informazioni riconducibili ad attività amministrative che siano confluite in un procedimento penale, non si applicano alla diversa fattispecie dell’accesso di cui all’art. 43, comma 2, del d.lgs. 18 agosto 2000. Il consigliere comunale è infatti tenuto al rispetto del segreto istruttorio di cui all’art. 329 c.p.p. e di qualunque altro vincolo di riservatezza, incluso quello che grava sui dati sensibili e giudiziari. L’accesso ai dati contenuti nel protocollo informatico deve avvenire in modo da arrecare il minor aggravio possibile agli uffici dell’ente territoriale per cui, ove l’ente non sia in grado di garantire un elevato livello di sicurezza nella trasmissione dei dati di sintesi del protocollo informatico, è tenuto ad individuare modalità alternative di trasmissione, quali, ad esempio, l’utilizzo di postazioni informatiche sicure presso i locali dell’ente o la consegna dei dati di sintesi su supporto analogico.

La  necessità di adeguare il proprio protocollo informatico ai principi ed alle regole eurounitarie per il trattamento dei dati personali non è da sola sufficiente a giustificare la privazione del diritto di informazione del consigliere, il quale deve essere comunque assicurato in forma integrale con l’individuazione, da parte del Comune, delle modalità che assicurino la trasmissione dei dati in tutta sicurezza (accesso al protocollo informatico mediante predisposizione di postazioni informatiche protette all’interno degli uffici comunali o mediante consegna dei documenti su supporto analogico).

 

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ANCI: l´accesso agli atti della PA è legittimo se sussista un interesse diretto e non leda la privacy

“La legge 241/90 e segnatamente l’art. 22, lett. b) riconosce il diritto di accesso agli atti e documenti della pubblica amministrazione, purchè l’istante sia portatore di un interesse “diretto, concreto ed attuale” corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”. Lo ricordano gli esperti del servizio Anci rispondendo ad un quesito posto da un Comune in materia di edilizia. “Dato che l’interesse deve assumere tali caratteristiche – spiegano – la legittimazione all’accesso ai documenti amministrativi deve ritenersi consentita a chiunque possa dimostrare che il provvedimento o gli atti endo-procedimentali abbiano dispiegato o siano idonei a dispiegare effetti diretti o indiretti anche nei propri confronti. Non a caso la richiesta di accesso, come previsto dall’articolo 25, comma 2 della legge citata, deve poi essere motivata, nel senso che devono essere indicate le ragioni che spingono l’interessato a prendere visione degli atti amministrativi. In buona sostanza – proseguono nel ragionamento gli esperti – per ottenere l’ostensione degli atti e/o documenti richiesti l’interessato deve dimostrare di essere titolare di una posizione qualificata e differenziata e non meramente emulativa o preordinata a un controllo generalizzato sull’operato dell’amministrazione. Del resto la fattispecie del “controllo generalizzato” è espressamente prevista come ipotesi di esclusione del diritto d’accesso ex art. 24, comma 3, Legge 241/90”. Esclusione ribadita anche dalla giurisprudenza successiva (TAR Campania Napoli, sez. VIII, Ordinanza 18 settembre 2020 n. 3888) la quale ha affermato che “l’istanza di accesso a documenti amministrativi deve riferirsi a ben specifici documenti e non può comportare la necessità di un’attività di elaborazione di dati da parte del soggetto destinatario della richiesta; inoltre, l’ostensione degli atti non può costituire uno strumento di controllo generalizzato sull’operato della Pubblica Amministrazione”. Trattandosi poi, nel caso di specie, d’interventi edili realizzati nel territorio comunale da parte di un’impresa, gli esperti avvertono che la pubblica amministrazione – deputata a vagliare i profili di legittimazione – è tenuta, prima ancora di pronunciarsi in merito alla richiesta, a dare comunicazione dell’istanza a tutti coloro che “individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza” (cosiddetti “controinteressati” ex articolo 22, comma 1, lettera c, legge 241/90), i quali potrebbero eventualmente proporre opposizione motivata alla richiesta di accesso (articolo 3 Dpr 184/2006).

La pendenza del procedimento amministrativo non giustifica il differimento dell’accesso agli atti

La circostanza che l’iter procedimentale non sia ancora concluso è di per sé inidonea a giustificare il differimento dell’accesso ai documenti amministrativi; l’eventuale sussistenza di un interesse pubblico ritenuto ostativo all’accoglimento integrale della domanda di accesso avrebbe imposto un’adeguata motivazione, espressione del necessario bilanciamento tra gli interessi coinvolti. È quanto stabilito dal TAR Lombardia, Sezione II, Sentenza 5 agosto 2021, n. 1890, pronunziandosi sul ricorso presentato da un Consigliere comunale avverso il provvedimento con cui l’Amministrazione ha disposto il differimento dell’accesso alla documentazione richiesta, rinviandone l’ostensione alla conclusione dei relativi procedimenti. I giudici hanno rilevato che, in termini generali, l’art. 22 della l. n. 241 del 1990 offre una definizione di documento amministrativo dalla portata estremamente ampia, comprensiva anche degli atti “interni” e indipendente dalla natura pubblicistica o privatistica della relativa disciplina sostanziale, e che, inoltre, la normativa generale ivi contenuta non subordina l’accesso alla circostanza che si tratti di procedimento concluso, sicché l’avvenuta formazione del documento e la sua possibilità di impiego in sede amministrativa è in sé sufficiente a consentirne l’accesso a chi ha titolo a visionarlo ed estrarne copia, a prescindere dall’essere ancora in corso, o meno, il procedimento amministrativo in cui quel documento confluisce, purché già di per sé utilizzato o utilizzabile dall’Amministrazione (v. sez. II, 19 novembre 2019, n. 2443); il che porta ad escludere che l’accesso possa essere differito, per gli atti endo-procedimentali, sino alla conclusione del procedimento (v. sez. III, 21 dicembre 2020, n. 2561). Nel caso di specie, l’Amministrazione si è limitata a differire il rilascio dei documenti richiesti alla conclusione dei diversi procedimenti, senza tuttavia indicarne le concrete ragioni; in particolare, rispetto alle domande di permesso di costruire, l’Amministrazione non poteva che esserne in possesso – come confermato dalla riferita circostanza che “le pratiche erano in fase di istruttoria -, né vi erano ragioni per attendere l’adozione delle determinazioni finali, neppure nell’eventualità che, in vista della preannunciata “… verifica da parte di un soggetto esterno incaricato che dovrà restituire l’analisi di adeguatezza…”, detta documentazione fosse anche in possesso di altre Amministrazioni o soggetti pubblici, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’art. 24 della l. n. 241/1990 non contempla tra i casi di esclusione del diritto di accesso la contemporanea detenzione del documento da parte di altra Amministrazione o autorità dello Stato (T.A.R. Lazio, sez. III, 7 giugno 2021, n. 6756).

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Bando di mobilità, il candidato escluso ha diritto di accesso agli atti

Nell’ambito del bando di mobilità, il candidato escluso per la mancata allegazione del nullaosta al trasferimento rilasciato dall’amministrazione di appartenenza è titolare di un interesse qualificato diretto, concreto ed attuale all’accesso agli atti, ai sensi della legge n. 241/1990, per acquisire i curricula, il punteggio attribuito ai titoli nella procedura di mobilità, in quanto si tratta di documentazione funzionale ad azionare in giudizio il danno da perdita di chance cagionatole dal mancato rilascio da parte dell’amministrazione di appartenenza del nullaosta al trasferimento, necessario a pena di inammissibilità della domanda di partecipazione. È chiara, nel caso di specie, la finalità perseguita dell’accesso agli atti, che non è quella di controllare la legittimità della procedura di mobilità alla quale non ha preso parte, ma di dimostrare che sulla base dei titoli posseduti avrebbe avuto delle chance di collocarsi utilmente nella graduatoria finale se la sua domanda di partecipazione non fosse stata dichiarata inammissibile per mancata allegazione del nullaosta al trasferimento da parte dell’amministrazione di appartenenza. Secondo la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, V, 18.10.2017, n. 4813; Cons. Stato, V, 23.3.2015 n. 1545; Cons. Stato, IV, 29.1.2014, n. 461), l’amministrazione deve consentire l’accesso se il documento contiene notizie e dati che attengono alla situazione giuridica tutelata (ad esempio, la fondano, la integrano, la rafforzano o semplicemente la citano) o con essa interferiscono in quanto la ledono, ne diminuiscono gli effetti, una volta accertata l’utilità in chiave difensiva del documento, a prescindere da ogni indagine sulla natura degli strumenti di tutela disponibili. È quanto ribadito dal TAR Roma, con sentenza 11235/2020 del 2/11/2020.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Piano urbanistico: imposte agevolate per il fabbricato recuperato

Con la risposta n. 234 del 31 luglio 2020 l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti ad un quesito posto da una società di costruzioni che ha presentato al Comune proposta di recupero per la formazione di un “comparto discontinuo”, per la ricostruzione di 16 appartamenti conformi alla normativa antisismica e di classe energetica A o B. Il piano attuativo per “comparto discontinuo” mantiene le stesse identiche caratteristiche e prerogative di un classico piano di recupero urbano (con demolizione e ricostruzione del manufatto sulla sua stessa area di sedime), con la differenza che la potenzialità edificatoria del bene demolito non viene ricostruita sull’area di sedime liberata, ma viene trasferita su un’altra area libera indicata dal Comune. In particolare, il quesito è volto ad appurare la possibilità, per la società (che intende acquistare successivamente alla stipula della convenzione per l’attuazione del piano di recupero, tutte le porzioni che compongono il piano di recupero), di beneficiare delle imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro ciascuna. Preliminarmente, l’Agenzia ricorda che le norme che dispongono agevolazioni od esenzioni sono di stretta interpretazione, nel senso che “i benefici in esse contemplate non possono essere estesi oltre l’ambito di applicazione come rigorosamente identificato in base alla definizione normativa. A tal riguardo, le agevolazioni previste dall’art. 7 del DL 34/2019 sono individuate espressamente nei “trasferimenti di interi fabbricati” e, pertanto, gli atti di cessione aventi ad oggetto terreni non possono beneficiare di tale regime agevolato. Per contro, l’acquisto di immobili da demolire nella c.d. “area di decollo” può beneficiare dell’applicazione dell’imposta di registro e le imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di euro 200 ciascuna, laddove risultino verificate tutte le condizioni poste dalla disposizione, su richiamata, di seguito riportate:

  • l’acquisto deve essere effettuato entro il 31 dicembre 2021 da imprese che svolgono attività di costruzione o ristrutturazione di edifici;
  • l’acquisto deve avere come oggetto un “intero fabbricato” indipendentemente dalla natura dello stesso.

Il soggetto che acquista l’intero fabbricato, inoltre, entro 10 anni dalla data di acquisto deve provvedere:

  • alla demolizione e ricostruzione di un nuovo fabbricato anche con variazione volumetrica, ove consentito dalle normative urbanistiche ovvero,
  • ad eseguire interventi di manutenzione straordinaria, interventi di restauro e risanamento conservativo o interventi di ristrutturazione edilizia individuati dall’art. 3, comma 1, lettere b), c) e d) del d.P.R. n. 380 del 2001. In entrambi i casi (ricostruzione o ristrutturazione edilizia) il nuovo fabbricato deve risultare conforme alla normativa antisismica e deve conseguire una delle classi energetiche “NZEB” (“Near Zero Energy Building”), “A” o “B”;
  • all’alienazione delle unità immobiliari il cui volume complessivo superi il 75 per cento del volume dell’intero fabbricato.

 

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Enti locali: il diritto di accesso dei consiglieri comunali non è assoluto e illimitato

È legittimo il diniego opposto dall’Amministrazione alla richiesta avanzata da un consigliere comunale di accedere da remoto, mediante apposite credenziali e password, al sistema informatico (in particolare, al protocollo informatico e al sistema informatico contabile) del Comune, trattandosi di modalità che esorbita dai limiti funzionali di esercizio del diritto di accesso previsto dall’art. 43, comma 2, del TUEL. Tale modalità di esercizio del diritto di accesso, oltre a consentire un accesso potenzialmente illimitato a tutti gli atti che, a vario titolo, transitano (sono transitati o transiteranno) per il sistema informatico comunale, pare, in ogni caso, travalicare il limite intrinseco della utilità per l’espletamento del mandato, che perimetra tale particolare forma di accesso che, pur estendendosi alle “notizie” e alle “informazioni” in possesso dell’ente, va, in concreto, esercitato in maniera necessariamente ragionevole e congrua al vincolo di funzionalità che lo connota, essendo mero strumento per svolgere in maniera consapevole, informata, adeguatamente preparata e, occorrendo, costruttivamente critica il ruolo di componente dell’organo consiliare. Molti atti che vengono “veicolati” attraverso il protocollo comunale, anche se resi disponibili in forma di mera sintesi, possono rendere immediatamente consultabili “dati”, anche personalissimi, che non possono considerarsi in alcun modo attratti nella sfera di necessaria conoscenza e/o conoscibilità che deve essere assicurata ai consiglieri comunali, sì da rendere, conseguentemente, ingiustificato il “trattamento” che in tal modo verrebbe effettuato, peraltro in assenza delle necessarie garanzie, essendo palese che il “segreto” cui sono tenuti i consiglieri comunali ai sensi dell’art. 43, comma 2, ult. periodo, TUEL nulla ha a che vedere con le garanzie che devono, per l’appunto, presidiare il trattamento dei dati personali. È quanto stabilito dal TAR Friuli-Venezia Giulia, con sentenza 9 luglio 2020, n. 253.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION