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Rimborso spese legali: i chiarimenti del Ministero dell’interno

In mancanza di una specifica previsione regolamentare al riguardo, ogni valutazione sulla questione relativa al rimborso delle spese legali in assenza di un mancato accordo preventivo con l’ente sulla scelta del legale di fiducia, spetta esclusivamente all’autonomia decisionale ed alla responsabilità di ciascun ente locale. È questa, in sintesi, la risposta del Ministero dell’interno, ad una richiesta di parere in merito alla possibilità di procedere al rimborso di spese legali avanzate da ex amministratori per la difesa in procedimenti penali avvenuta senza il preventivo accordo con il comune nella scelta del proprio legale di fiducia.

Il Ministero rappresenta che in passato, in assenza di una specifica normativa in materia, la giurisprudenza aveva chiarito che l’art. 67 del D.P.R. n. 268/1987, secondo un modello procedimentale analogo a quello regolato dall’art. 44 del R.D. n. 1611/1933, relativo all’assunzione a carico dello Stato della difesa dei pubblici dipendenti per fatti e cause di servizio, rimetteva alla valutazione discrezionale “ex ante” dell’ente locale la scelta di far assistere il dipendente da un legale di comune gradimento, per cui non era in alcun modo riconducibile al contenuto precettivo della citata norma la pretesa di ottenere il rimborso delle spese del patrocinio legale a seguito di una scelta del tutto autonoma e personale della nomina del proprio difensore. Del resto l’onere della scelta di un “legale di comune gradimento” appariva del tutto coerente con le finalità della norma perché, se il dipendente voleva che l’amministrazione lo tenesse indenne dalle spese legali sostenute per ragioni di servizio, appariva logico che il legale chiamato a tutelare tali interessi, che non sono esclusivi del dipendente ma coinvolgono anche quelli dell’ente di appartenenza, doveva essere scelto preventivamente e concordemente tra le parti (cfr. Consiglio di Stato, sez, V, 27 gennaio 2007, n.552).

Con la modifica normativa introdotta dall’art.7-bis comma 1 del DL 78/2015, il legislatore ammette il rimborso delle spese legali “nel caso di conclusione del procedimento con sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione”, in presenza dei seguenti requisiti:
a) assenza di conflitto di interessi con l’ente amministrato;
b) presenza di nesso causale tra funzioni esercitate e fatti giuridicamente rilevanti;
c) assenza di dolo o colpa grave.
La novella normativa richiede, quindi, l’assenza di conflitto di interessi tra l’attività dell’amministrazione e la condotta dell’amministratore. Tale conflitto si supera imponendo il rigoroso rispetto degli equilibri al momento della costruzione del bilancio di previsione e limitando la spesa nei limiti quantitativi della previsione approvata.

Sul punto, la Corte dei conti, Sez. Puglia, con deliberazione n. 117 del 22 luglio 2021, pronunziandosi sul limite fissato dalla legge di bilancio 2021, ha evidenziato che l’imputato assolto con sentenza irrevocabile (“perché il fatto non sussiste, perché non ha commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato”) ha diritto al rimborso delle spese legali sostenute a partire dall’anno successivo a quello in cui la sentenza è divenuta irrevocabile. I presupposti per ottenere il rimborso sono: la fattura del difensore, con indicazione dell’avvenuto pagamento; il parere di congruità della fattura espresso dal competente consiglio dell’ordine degli avvocati, l’attestazione della cancelleria circa l’irrevocabilità della sentenza di assoluzione. Inoltre, il rimborso non spetta nei casi di assoluzione da uno o più capi d’imputazione e condanna per altri reati, estinzione del reato per amnistia o prescrizione e depenalizzazione dei fatti oggetto di imputazione.

 

La redazione PERK SOLUTION

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