Il diritto a percepire l’incentivo per la progettazione, di natura retributiva sorge alle condizioni previste normativa vigente ratione temporis, in conseguenza della prestazione dell’attività incentivata e nei limiti fissati dalla contrattazione decentrata e dal regolamento adottato dall’amministrazione. L’omesso avvio della procedura di liquidazione o il mancato completamento della stessa non impedisce l’azione di adempimento, che può essere proposta dal dipendente una volta spirati i termini previsti dalla fonte regolamentare. Pertanto, stabilite le regole per la remunerazione delle attività espletate dai dipendenti per la ripartizione degli incentivi tecnici, in modo conforme ai criteri stabiliti dalla contrattazione decentrata poi confluiti nel regolamento formalmente approvato dall’ente, eventuali ritardi per il completamento delle opere pubbliche non possono influire sui compensi maturati, potendo in questo caso i dipendenti rivolgersi al giudice ordinario per chiedere soddisfazione del salario accessorio non ricevuto, trattandosi di far valere un loro diritto soggettivo, stante la natura retributiva dei citati incentivi. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. Lav., con sentenza 28 maggio 2020, n. 10222.
In merito alla natura dell’emolumento ed ai presupposti condizionanti l’insorgenza del diritto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si è consolidata nell’affermare che l’incentivo ha carattere retributivo ma, poiché il legislatore ha rimesso, dapprima alla contrattazione collettiva decentrata e successivamente alla potestà regolamentare attribuita alle amministrazioni, la determinazione delle modalità di ripartizione del fondo, la nascita del diritto è condizionata, non dalla sola prestazione dell’attività incentivata, bensì anche dall’adozione del regolamento, in assenza del quale il dipendente può fare valere solo un’azione risarcitoria per inottemperanza agli obblighi che il legislatore ha posto a carico delle amministrazioni appaltanti ( Cass. n. 13937/2017, Cass. n. 3779/2012, Cass. n. 13384/2004).
Sulla base della disciplina dettata dagli artt. 1183 e seguenti cod. civ., il credito diviene esigibile nel momento in cui sia spirato il termine concesso al debitore per il pagamento, sicché il datore di lavoro pubblico non può certo opporre al prestatore la mancata conclusione del procedimento interno necessario per la liquidazione della spesa, al fine di sottrarsi all’adempimento di un’obbligazione di carattere retributivo, allorquando gli atti da adottare non siano costitutivi del diritto ma svolgano una funzione meramente ricognitiva, in quanto finalizzati ad accertare che la prestazione sia stata resa nei termini indicati dalla fonte attributiva del diritto stesso.
Il principio secondo cui nei confronti delle amministrazioni pubbliche l’esigibilità del credito si realizza solo con l’emissione del mandato di pagamento, è stato affermato dalla Corte di Cassazione solo per escludere che il creditore possa pretendere prima di detta data interessi corrispettivi, ma da detto principio, comunque inapplicabile ai crediti derivanti dal rapporto di lavoro per i quali vale la disciplina dettata dall’art. 22 della legge n. 724/1994 (cfr. Cass. n. 9134/1995 e già prima Cass. S.U. n. 9202/1990), non si può certo trarre la conseguenza che in assenza della conclusione del procedimento di liquidazione sarebbe impedito al creditore di agire in giudizio per far valere l’inadempimento dell’amministrazione rispetto ad un’obbligazione già scaduta. Le disposizioni normative e regolamentari vanno, infatti, interpretate alla luce dei principi affermati dalla Corte Costituzionale in tema di accesso alla tutela giurisdizionale e, quindi, considerando che da tempo il giudice delle leggi ha evidenziato che «gli artt. 24 e 113 Cost. non impongono una correlazione assoluta tra il sorgere del diritto e la sua azionabilità, la quale, ove ricorrano esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia, può essere differita ad un momento successivo, sempre che sia osservato il limite imposto dall’esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa, ovvero di non differirla irrazionalmente, lasciandone privo l’interessato per un periodo di tempo incongruo» (Corte Cost. n. 154/1992).