L’Osservatorio sulla finanza e la contabilità degli enti locali ha condotto uno studio sul fenomeno delle fusioni tra Comuni, in espansione nel corso degli ultimi anni, e sui relativi risparmi di spesa. Le fusioni di comuni in essere all’anno 2020, risultano essere, rispettivamente, per le regioni a statuto ordinario e speciale, 107 e 34, per complessive 141 fusioni. L’analisi per regione e zona geografica evidenzia una marcata concentrazione del fenomeno (circa l’82%) in corrispondenza dell’Italia settentrionale (115/141 fusioni), in contrapposizione con la scarsa rilevanza dello stesso nell’Italia meridionale (4/141 fusioni). Relativamente alla dimensione demografica degli enti che hanno dato luogo a fusione il fenomeno ha interessato, con maggior frequenza, gli enti con popolazione inferiore a 5.000 abitanti. Gli enti nati da fusione si collocano, principalmente, tra i 1.000 ed i 9.999 abitanti. Gli enti sorti da fusione di maggiore dimensione demografica si collocano nella fascia 60.000 – 99.999 abitanti. I processi di fusione ordinaria (fatta esclusione delle fusioni per incorporazione) sono prevalentemente costituiti (per il 67% circa) da 2 enti (83/124) e 3 enti (27/124) (complessivamente per l’89% circa). A seguito dei processi di fusione si è assistito ad una progressiva diminuzione del numero degli enti passati dagli 8.092 comuni del 2011ai 7.903 enti del 2020. In relazione agli incentivi volti a favorire le fusioni di comuni si osserva come la messa a disposizioni di mezzi finanziari abbia costituito in materia di associazionismo comunale, nella fattispecie le fusioni, una fondamentale leva volta a favorire i predetti processi. In ordine alle modalità di attribuzione del contributo, si è assistito ad un progressivo incremento della quota dei trasferimenti erariali pregressi cui rapportare il contributo straordinario per le fusioni dei comuni. Si è passati, gradualmente, dal 20% dei trasferimenti erariali attribuiti per l’anno 2010, nel limite degli stanziamenti finanziari previsti e in misura comunque non superiore a 1,5 milioni di euro, al 60% dei trasferimenti stessi, a decorrere dall’anno 2018, nel limite degli stanziamenti previsti e comunque in misura non superiore a 2 milioni di euro per ciascun beneficiario. Emerge, per gli enti sorti da fusione, una maggiore capacità di spesa da destinare ai servizi per la cittadinanza. Dal lato dell’entrata si riscontra, relativamente alla voce Imposte, tasse e proventi assimilati una flessione, successivamente ai processi di fusione, del 1,40%, a fronte di una sostanziale staticità in ambito nazionale. I trasferimenti correnti da amministrazioni pubbliche mostrano un sostanziale incremento (+79,54%) a fronte di un modesto +4,15% fatto registrare, nel periodo di analisi, in ambito nazionale, assicurando ampia copertura alla maggiore spesa post fusione per i servizi alla cittadinanza. Il percorso di fusione sembra quindi poter costituire una delle possibili soluzioni alle diseconomie di scala ed alla rigidità di bilancio che caratterizzano gli enti di minore dimensione demografica, consentendo di liberare risorse a vantaggio delle collettività locali attraverso le quali realizzare, unitamente alle maggiori risorse messe a disposizione dal sistema in virtù dei contributi finalizzati, un efficientamento dei servizi.