È incostituzionale – per violazione degli artt. 1, 3, 81, 97, commi primo e secondo, e 119, primo comma, Cost. – l’art. 243-bis, comma 5, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, nella parte in cui non prevede che, in caso di inizio mandato in pendenza del termine perentorio di cui all’art. 243-bis, comma 5, primo periodo, ove non vi abbia provveduto la precedente amministrazione, quella in carica possa deliberare il piano di riequilibrio finanziario pluriennale, presentando la relativa delibera nei sessanta giorni successivi alla sottoscrizione della relazione di cui all’art. 4-bis, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42). È quanto dichiarato dalla Corte costituzionale con la sentenza 11 marzo 2021, n. 34.
L’art. 243-bis, comma 5, del medesimo decreto dispone che il consiglio dell’ente locale, entro il termine perentorio di novanta giorni dalla data di esecutività della delibera di cui al comma 1, delibera un piano di riequilibrio finanziario pluriennale di durata compresa tra quattro e venti anni, compreso quello in corso, corredato del parere dell’organo di revisione economico-finanziario. Qualora, in caso di inizio mandato, la delibera di cui al presente comma risulti già presentata dalla precedente amministrazione, ordinaria o commissariale, e non risulti ancora intervenuta la delibera della Corte dei conti di approvazione o di diniego di cui all’articolo 243-quater, comma 3, l’amministrazione in carica ha facoltà di rimodulare il piano di riequilibrio, presentando la relativa delibera nei sessanta giorni successivi alla sottoscrizione della relazione di inizio mandato, di cui all’articolo 4-bis, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149». L’art. 243-quater, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000 prevede, invece, che la mancata presentazione del piano entro il termine di cui all’articolo 243-bis, comma 5, il diniego dell’approvazione del piano, l’accertamento da parte della competente Sezione regionale della Corte dei conti di grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano, ovvero il mancato raggiungimento del riequilibrio finanziario dell’ente al termine del periodo di durata del piano stesso, comportano l’applicazione dell’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 149 del 2011, con l’assegnazione al Consiglio dell’ente, da parte del Prefetto, del termine non superiore a venti giorni per la deliberazione del dissesto.
Nel merito, i giudici costituzionali hanno evidenziato come il termine di novanta giorni, intercorrente tra la data di ricorso alla procedura di riequilibrio e quella di deliberazione del PRFP, si innesta in un procedimento in cui coincidono soggetto richiedente e soggetto che predispone il piano. Rispetto all’amministrazione che opera in continuità – la quale elabora il piano a seguito del ricorso alla procedura di riequilibrio da essa stessa deliberato – quella successiva, pur ereditando un grave squilibrio e l’assenza totale di un progetto di risanamento, si trova invece costretta a intervenire in un lasso temporale gravemente ridotto e potenzialmente insufficiente, poiché il termine di novanta giorni per deliberare il PRFP decorre da un momento anteriore a quello del suo insediamento, ossia dalla data della delibera di ricorrere alla procedura di riequilibrio assunta dalla precedente compagine. Mentre il legislatore ha tenuto presente la complessa interrelazione delle vicende temporali inerenti al procedimento di riequilibrio e alla successione nell’esercizio del mandato elettorale per le amministrazioni che intendono rimodulare il piano precedentemente approvato, una coerente fattispecie legale non è stata presa in considerazione per il caso della procedura ereditata in assenza di un piano.
Viola, quindi, i principi dell’equilibrio di bilancio e della sana gestione finanziaria dell’ente, nonché il mandato conferito agli amministratori dal corpo elettorale, l’automatico avvio al dissesto quando una nuova amministrazione sia subentrata alla guida dell’ente e, chiamata a farsi carico della pesante eredità ricevuta dalle precedenti gestioni, non sia stata messa nella condizione di predisporre il PRFP per l’assegnazione di un termine che decorre da epoca anteriore al suo insediamento ed è sganciato dal momento in cui acquisisce, con la sottoscrizione della relazione di inizio mandato, piena contezza della situazione finanziaria e patrimoniale dell’ente e della misura dell’indebitamento. Ciò finisce inevitabilmente per pregiudicare il potere programmatorio di risanamento della situazione finanziaria ereditata dalle gestioni pregresse con violazione dell’art. 81, Cost., e impedisce di esercitare pienamente il mandato elettorale, confinando la posizione dei subentranti in una condizione di responsabilità politica oggettiva, con pregiudizio dell’art. 1 Cost.
Inoltre, il meccanismo delineato dalla normativa collide, altresì, con il principio di ragionevolezza (sotto un ulteriore profilo) e con l’interdipendente principio di buon andamento (art. 97, secondo comma, Cost.), in quanto costituisce conseguenza sproporzionata e non coerente con la ratio sottesa alla procedura di riequilibrio, che è proprio quella di porre rimedio alla situazione deficitaria dell’ente locale ove sia concretamente possibile, mettendo i nuovi depositari del mandato elettorale nella condizione di farsene pienamente carico.