Non sono fondate le questioni sollevate dal Consiglio di Stato sulle norme che prevedono la “mera sospensione” del pagamento degli interessi durante la procedura di dissesto di un ente locale e non escludono il diritto dei creditori di chiedere il pagamento di quelli maturati successivamente alla dichiarazione di dissesto. È quanto sostenuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 219/2022, che ha ritenuto le norme sul dissesto contenute nel Testo unico enti locali (articolo 248, quarto comma) espressive di un ragionevole bilanciamento tra l’esigenza di tutela dei creditori, alla base della sicurezza dei traffici commerciali, e l’esigenza di ripristinare i servizi indispensabili per la comunità locale.
La Corte, nell’esaminare la disposizione relativa agli interessi sul debito degli enti locali, ha affermato che, in coerenza con le caratteristiche di una procedura concorsuale, la disposizione relativa agli accessori del credito ha la finalità di determinare esattamente la consistenza della massa passiva da ammettere al pagamento nell’ambito del dissesto dell’ente locale, ma essa «non implica la “estinzione” dei crediti non ammessi o residui, i quali, conclusa la procedura di liquidazione, potranno essere fatti valere nei confronti dell’ente risanato» (sentenza n. 269 del 1998). Tale meccanismo risulta finalizzato alla realizzazione della par condicio, oltre che a impedire un ulteriore deterioramento della condizione patrimoniale del debitore.
La Corte ha ricordato che un comune, nell’assumere un impegno di spesa pluridecennale, dovrebbe prestare adeguata considerazione alla relativa sostenibilità finanziaria, con l’indicazione delle risorse effettivamente disponibili, a garanzia di una sana gestione finanziaria. Inoltre, in pendenza della procedura di dissesto, dovrebbe apprestare misure, anche contabili, idonee a garantire il più rapido ripristino dell’equilibrio finanziario. Il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione rappresenta un obiettivo prioritario non solo per la critica situazione economica che il ritardo ingenera nei soggetti creditori, ma anche per la stretta connessione con l’equilibrio finanziario dei bilanci pubblici, che viene intrinsecamente minato dalle situazioni debitorie non onorate tempestivamente.
L’assunto del Consiglio di Stato, secondo cui la vigente disciplina sugli accessori del credito attribuirebbe ai creditori degli enti locali in dissesto una tutela eccessiva a scapito della collettività di cui l’ente locale è esponenziale, non tiene conto del fatto che la disciplina sul dissesto (artt. 244 e seguenti del TUEL) contiene una serie di misure volte a consentire, da un lato, che l’OSL gestisca il passivo pregresso (a tutela della massa dei creditori) e, dall’altro lato, che il comune continui a esistere e operare (in quanto ente necessario), con un bilancio autonomo e distinto da quello dell’OSL, finalizzato non solo a gestire gli affari correnti, connessi soprattutto ai servizi essenziali, ma pure ad accantonare risorse per il pagamento di eventuali debiti o accessori che dovessero generarsi in pendenza della gestione liquidatoria.
Le attuali norme sul dissesto sono dunque espressive di un bilanciamento non irragionevole tra l’esigenza, che è alla base della sicurezza dei traffici commerciali, che si correla all’art. 41 Cost., di tutelare i creditori e l’esigenza di ripristinare sia la continuità di esercizio dell’ente locale incapace di assolvere alle funzioni, sia i servizi indispensabili per la comunità locale. La Corte ribadisce che il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione rappresenta un «“obiettivo prioritario […] non solo per la critica situazione economica che il ritardo ingenera nei soggetti creditori, ma anche per la stretta connessione con l’equilibrio finanziario dei bilanci pubblici, il quale viene intrinsecamente minato dalla presenza di situazioni debitorie non onorate tempestivamente”.
Nel caso oggetto del giudizio, la possibile nuova dichiarazione di dissesto a cui – si assume – sarebbe esposto il Comune non è dunque imputabile alla norma censurata, ma rappresenta piuttosto un inconveniente di fatto, inidoneo, da solo, a fondare un profilo di legittimità costituzionale (ex multis, sentenze n. 220 del 2021, n. 115 del 2019, n. 225 del 2018). Peraltro, la Corte ha già chiarito, il quadro normativo e quello costituzionale vigenti consentono di affrontare le situazioni patologiche della finanza locale, sia quando queste siano imputabili a caratteristiche socio-economiche della collettività e del territorio, mediante l’attivazione dei meccanismi di solidarietà previsti dall’art. 119, terzo e quinto comma, Cost. (quindi, in ipotesi di deficit strutturali); sia quando le disfunzioni sono dovute a patologie organizzative, per il rilievo e contrasto delle quali il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, ha previsto strumenti puntuali e coordinati per prevenire situazioni di degrado progressivo nella finanza locale (sentenza n. 115 del 2020).
La redazione PERK SOLUTION