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Codice degli appalti, legittima la norma sugli affidamenti in house

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 100/2020 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 192, comma 2, del codice dei contratti pubblici, sollevata dal TAR Liguria in riferimento all’art. 76 Cost. Il T.A.R. Liguria aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 192, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), nella parte in cui prevede che le stazioni appaltanti danno conto, nella motivazione del provvedimento di affidamento in house, delle ragioni del mancato ricorso al mercato. Tale disposizione, secondo i giudici amministrativi, sarebbe contraria al divieto di gold plating, il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie, previsto in linea generale dalla legge di stabilità 2012 e richiamato dalla delega appalti.
Nello specifico il Tar, aveva ripercorso l’evoluzione normativa dell’istituto dell’in house providing (di matrice europea), dando atto che, oggi, detto istituto non configura affatto un’ipotesi eccezionale e derogatoria di gestione dei servizi pubblici rispetto all’ordinario espletamento di una procedura di evidenza pubblica, ma costituisce una delle ordinarie forme organizzative di conferimento della titolarità del servizio, la cui individuazione in concreto è rimessa alle amministrazioni, sulla base di un mero giudizio di opportunità e convenienza economica. Giudizio che l’Ente esprime in un momento ex ante l’affidamento nella relazione ex art 34 del DL 179/2012 che– diversamente dall’art. 192 comma 2 del D. Lgs. n. 50/2016 – non contiene alcun riferimento alle ragioni del mancato ricorso prioritario al mercato, che sono ultronee rispetto all’istituto dell’in house.