Niente esenzione IVA per la gestione parziale della casa di riposo

L’Agenzia delle Entrate, con risposta n. 240 ha ribadito che sono esenti le prestazioni rese da terzi presso una casa di riposo, anche se distintamente specificate, sempre che le stesse, nella loro interezza e sostanzialmente, caratterizzino la gestione globale della RSA, la cui titolarità del servizio rimane in capo al soggetto appaltante, il quale si limita ad una mera attività di controllo ed indirizzo a garanzia della qualità e dell’interesse collettivo. Nel caso di specie, l’istanza di interpello è stata presentata da un Società che gestisce l’assistenza socio sanitaria agli ospiti di una Residenza Sanitaria Residenziale, amministrato da un Ente no profit religioso, autorizzato allo svolgimento dell’attività di casa di riposo per anziani secondo le specifiche normative nazionali e regionali. La Società precisa, inoltre, che è in trattativa per la sottoscrizione di un altro contratto per la fornitura degli ulteriori servizi di ristorazione e lavanderia, così che siano forniti in modo globale servizi sanitari, socioassistenziali ed alberghieri (c.d. global service). Per l’Agenzia è possibile riconoscere l’esenzione da IVA di cui all’articolo 10, primo comma, n.21) del Decreto IVA solo a seguito della stipula del nuovo contratto, che prevede i servizi di ristorazione e lavanderia in aggiunta alle prestazioni già rese in base al contratto in corso di esecuzione. Ciò non toglie che le “singole prestazioni” previste dall’attuale contratto possano essere fatturate in regime di esenzione IVA ove abbiano le caratteristiche per rientrare in una delle fattispecie previste dal citato articolo 10.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Piano urbanistico: imposte agevolate per il fabbricato recuperato

Con la risposta n. 234 del 31 luglio 2020 l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti ad un quesito posto da una società di costruzioni che ha presentato al Comune proposta di recupero per la formazione di un “comparto discontinuo”, per la ricostruzione di 16 appartamenti conformi alla normativa antisismica e di classe energetica A o B. Il piano attuativo per “comparto discontinuo” mantiene le stesse identiche caratteristiche e prerogative di un classico piano di recupero urbano (con demolizione e ricostruzione del manufatto sulla sua stessa area di sedime), con la differenza che la potenzialità edificatoria del bene demolito non viene ricostruita sull’area di sedime liberata, ma viene trasferita su un’altra area libera indicata dal Comune. In particolare, il quesito è volto ad appurare la possibilità, per la società (che intende acquistare successivamente alla stipula della convenzione per l’attuazione del piano di recupero, tutte le porzioni che compongono il piano di recupero), di beneficiare delle imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro ciascuna. Preliminarmente, l’Agenzia ricorda che le norme che dispongono agevolazioni od esenzioni sono di stretta interpretazione, nel senso che “i benefici in esse contemplate non possono essere estesi oltre l’ambito di applicazione come rigorosamente identificato in base alla definizione normativa. A tal riguardo, le agevolazioni previste dall’art. 7 del DL 34/2019 sono individuate espressamente nei “trasferimenti di interi fabbricati” e, pertanto, gli atti di cessione aventi ad oggetto terreni non possono beneficiare di tale regime agevolato. Per contro, l’acquisto di immobili da demolire nella c.d. “area di decollo” può beneficiare dell’applicazione dell’imposta di registro e le imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di euro 200 ciascuna, laddove risultino verificate tutte le condizioni poste dalla disposizione, su richiamata, di seguito riportate:

  • l’acquisto deve essere effettuato entro il 31 dicembre 2021 da imprese che svolgono attività di costruzione o ristrutturazione di edifici;
  • l’acquisto deve avere come oggetto un “intero fabbricato” indipendentemente dalla natura dello stesso.

Il soggetto che acquista l’intero fabbricato, inoltre, entro 10 anni dalla data di acquisto deve provvedere:

  • alla demolizione e ricostruzione di un nuovo fabbricato anche con variazione volumetrica, ove consentito dalle normative urbanistiche ovvero,
  • ad eseguire interventi di manutenzione straordinaria, interventi di restauro e risanamento conservativo o interventi di ristrutturazione edilizia individuati dall’art. 3, comma 1, lettere b), c) e d) del d.P.R. n. 380 del 2001. In entrambi i casi (ricostruzione o ristrutturazione edilizia) il nuovo fabbricato deve risultare conforme alla normativa antisismica e deve conseguire una delle classi energetiche “NZEB” (“Near Zero Energy Building”), “A” o “B”;
  • all’alienazione delle unità immobiliari il cui volume complessivo superi il 75 per cento del volume dell’intero fabbricato.

 

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Canoni relativi ad immobili sequestrati, gli adempimenti IVA spettano all’amministratore giudiziario

L’Agenzia delle Entrate, con il principio di diritto n. 11 ha chiarito che con riferimento agli adempimenti IVA concernenti la riscossione di canoni relativi ad immobili sequestrati, il soggetto tenuto ad adempiere agli obblighi di fatturazione, registrazione, liquidazione e presentazione della comunicazione delle liquidazioni periodiche e della dichiarazione annuale, in luogo e per conto del locatore, è da individuarsi nell’amministratore giudiziario, per l’intero periodo di affidamento dell’incarico risultante dal provvedimento del giudice. E ciò perché:

  • in attesa della confisca definitiva o della restituzione al proprietario, il titolare dei beni non è individuato a titolo definitivo e per questo motivo non ha la disponibilità dei medesimi;
  • la veste di soggetto passivo d’imposta spetta a colui che assume, con effetto retroattivo, la titolarità dei beni sequestrati e, quindi, il soggetto passivo d’imposta è individuato a posteriori, seppure con effetto ex tunc, nello Stato o nell’indiziato, a seconda che il procedimento si concluda con la confisca oppure con la restituzione dei beni;
  • l’amministratore giudiziario, in pendenza di sequestro, non assume un’autonoma soggettività d’imposta ma opera nella veste di rappresentante in incertam personam, curando la gestione del patrimonio per conto di un soggetto non ancora individuato.

 

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Per l’assoggettamento a imposta ipocatastale rileva la classificazione dell’immobile

Nei trasferimenti immobiliari l’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale dipende dalla categoria catastale dell’unità immobiliare oggetto di trasferimento, mentre non rileva la destinazione principale dell’edificio di cui la singola unità immobiliare alienata fa parte. È il principio sancito dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 12000 del 19 giugno 2020. Secondo i giudici, ’accatastamento depone per il carattere strumentale del bene. La distinzione tra immobili ad uso abitativo e immobili strumentali deve essere operata con riferimento alla classificazione catastale dei fabbricati, a prescindere dal loro effettivo utilizzo. Secondo la disciplina introdotta dall’art. 35, comma 10 bis, d.l. 223 del 2006, convertito in legge 248 del 2006: ” Al testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche: a) all’articolo 10, comma 1, dopo le parole: “a norma dell’articolo 2” sono aggiunte le seguenti: “, anche se relative a immobili strumentali, ancorché assoggettati all’imposta sul valore aggiunto, di cui all’articolo 10, primo comma, numero 8 ter), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633; ” b) dopo l’articolo 1 della Tariffa è inserito il seguente: “1-bis. Trascrizioni di atti e sentenza che importano il trasferimento di proprietà di beni immobili strumentali, di cui all’articolo 10, primo comma, numero 8 ter), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, anche se assoggettati all’imposta sul valore aggiunto, o costituzione o trasferimenti di diritti immobiliari sugli stessi: 3 per cento”. Dalla lettura della norma emerge che le imposte ipotecarie e catastali debbono essere applicate in misura proporzionale anche se relative ad atti di trasferimento di immobili strumentali, ed un immobile è strumentale quando è accatastato in categoria A/10. Inoltre, in tema d’imposte ipotecarie e catastali, a seguito delle innovazioni apportate al d.lgs. n. 347 del 1990 dalla disciplina introdotta dall’art. 35, comma 10 bis, lett.a), del d.l. n. 223 del 2006, conv. con modif. dalla I. n. 248 del 2006, tali imposte devono essere applicate in misura proporzionale anche se relative al trasferimento di beni immobili strumentali ed indipendentemente dall’assoggettamento di questi ultimi ad IVA” (Cass. n. 17284 del 2017; cfr. Cass. n. 22768 del 2016). Da ciò deriva, al contempo, la non pertinenza al decisum della tesi difensiva sostenuta dalla controricorrente, secondo cui il passaggio da una categoria funzionale ad un’altra assumerebbe rilievo ai fini del regime tributario applicabile solo se il mutamento di destinazione d’uso, nel caso concreto da abitazione ad ufficio, richieda la realizzazione di opere edilizie che ne comportino la radicale trasformazione.

 

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Detassazione del trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici, le istruzioni dell’INPS

L’INPS, con la circolare n. 90 del 30/07/2020, fornisce indicazioni in merito ai criteri della detassazione del TFS e alla determinazione dell’imponibile e dell’aliquota d’imposta. L’Istituto ricorda che l’articolo 24 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, ha introdotto una parziale detassazione del trattamento di fine servizio, da applicarsi all’imponibile dei trattamenti di fine servizio (TFS) con importo fino a 50.000 euro.
La misura della detassazione varia da 1,5 punti percentuali (per le indennità corrisposte decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro o, se la cessazione sia anteriore al 1° gennaio 2019, a decorrere da tale data) a 7,5 punti percentuali (per le indennità corrisposte decorsi sessanta mesi o più dalla cessazione del rapporto di lavoro o, se la cessazione sia anteriore al 1° gennaio 2019, a decorrere da tale data).
Tale beneficio si applica ai trattamenti di fine servizio, ossia all’indennità di buonuscita, all’indennità premio di servizio e all’indennità di anzianità per la parte di imponibile fino 50.000 euro, indipendentemente dall’importo complessivo delle suddette prestazioni. Il beneficio si applica, sia nel caso di pagamento della prestazione di TFS in un’unica soluzione che in forma rateale, ossia su ogni singola rata.
L’importo di 50.000 euro costituisce il limite massimo entro il quale applicare le agevolazioni percentuali previste dal citato articolo 24 e si riferisce all’imponibile fiscale complessivo del TFS.
In caso di pagamento rateale, la detassazione riguarderà le singole rate, ma sempre entro il limite massimo complessivo di 50.000 euro.
Pertanto, a fronte di un imponibile fiscale complessivo superiore a 50.000 euro la riduzione dell’aliquota di tassazione competerà solo sui primi 50.000 euro.
Per la base imponibile eccedente tale limite si applica l’aliquota prevista a normativa vigente.
Ai fini dell’individuazione dell’imponibile fiscale non vanno considerate le somme eventualmente corrisposte all’interessato a titolo di “altre indennità” (ad esempio, interessi, rivalutazione monetaria).
Tale imponibile costituisce il limite non superabile ai fini dell’attribuzione del beneficio previsto dall’articolo 24, sia nel caso di pagamento della prestazione di TFS in un’unica soluzione che in forma rateale.

 

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Sconta l’IVA il canone relativo ad un’attività effettuata in project financing relativa alla valorizzazione del polo museale

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 211/E del 13 luglio 2020 ha chiarito che il canone corrisposto dal comune al concessionario, per remunerare (indistintamente e nella loro globalità) le generiche prestazioni di servizi svolte nell’ambito della concessione, in project financing, per gestione dei servizi integrati al pubblico per la riqualificazione e valorizzazione dell’offerta museale deve essere assoggettato ad IVA nella misura ordinaria. Nel caso in esame, il Comune e la cooperativa hanno sottoscritto una convenzione per l’affidamento in concessione, tramite project financing, di un nuovo modello di gestione e valorizzazione dei beni culturali e delle politiche per il turismo della città, per l’esternalizzazione di servizi legati alla valorizzazione e alla promozione del patrimonio culturale e artistico della medesima Città. La convenzione prevede che la società concessionaria svolga una serie di prestazioni, quali: interventi di rifunzionalizzazione ed allestimento tecnologico del Polo Museale ed Espositivo; interventi di rifunzionalizzazione ed allestimento tecnologico dell’Ufficio di Informazioni Turistiche; gestione dei servizi museali e turistici per le strutture individuate; progettazione e gestione di interventi di produzione culturale; riallestimento degli spazi destinati ai servizi al pubblico; mantenere in perfette condizioni d’uso, mediante periodici interventi di manutenzione ordinaria, i locali, gli impianti e i beni in concessione; provvedere al pagamento dei costi relativi ai consumi di gas, acqua ed energia elettrica mediante attivazione di utenze autonome e previo distacco dalle utenze da parte dell’Amministrazione; porre in essere tutti i servizi, lavori e investimenti previsti nell’offerta tecnica, etc. Tali attività vengono svolte a fronte di uno specifico corrispettivo riconoscimento al Concessionario; al concessionario è riconosciuto anche il diritto alla percezione dei proventi derivanti dallo sfruttamento economico dei servizi oggetto della presente Convenzione” ed in concreto derivanti dalla vendita di biglietti di ingresso al circuito museale; bookshop e audioguide; visite guidate; servizi didattici per scuole; noleggio sale a privati.
In merito alla natura tributaria, agli effetti dell’IVA, dei contributi erogati in attuazione di fattispecie rientranti in tale tipologia di contratto anche con riferimento alle diverse disposizioni che si sono succedute nel tempo in materia di contratti pubblici, l’Agenzia ricorda che sono stati forniti importanti chiarimenti in precedenti documenti di prassi. In particolare, con la risoluzione 11 giugno 2002, n. 183/E, è stato chiarito che un contributo assume rilevanza ai fini IVA se erogato a fronte di un’obbligazione di dare, fare, non fare o permettere, ossia quando si è in presenza di un rapporto obbligatorio a prestazioni corrispettive. In altri termini, il contributo assume natura onerosa e configura un’operazione rilevante agli effetti dell’IVA quando tra le parti intercorre un rapporto giuridico sinallagmatico nel quale il contributo ricevuto dal beneficiario costituisce il compenso per il servizio effettuato o per il bene ceduto. Di contro, l’esclusione dal campo d’applicazione dell’IVA si configura ogni qual volta il soggetto che riceve il contributo non diventa obbligato a dare, fare, non fare o permettere alcunché in controprestazione. Così, in generale, i contributi a fondo perduto, ossia quelli versati non in contropartita di una prestazione di servizi o di una cessione di beni, non sono soggetti ad imposta. Nel caso in esame il rapporto instaurato tra il Comune e la società concessionaria è inquadrabile in un rapporto contrattuale, caratterizzato dal sinallagma tra l’obbligo assunto dal Concessionario di svolgere una serie di attività correlate alla riqualificazione e alla valorizzazione dell’offerta museale e l’obbligo assunto dall’ente locale sia di pagare un canone che di consentire al concessionario il diritto allo sfruttamento del servizio mediante l’acquisizione dei relativi proventi.

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Decreto Rilancio, votata la fiducia

Nella seduta di mercoledì 8 luglio, con 318 si e 231 no, la Camera ha votato la questione di fiducia posta dal Governo sull’approvazione, senza emendamenti, subemendamenti ed articoli aggiuntivi, dell’articolo unico del disegno di legge di conversione in legge del decreto 19 maggio 2020, n. 34, recante misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19 (C. 2500-A/R), nel testo predisposto dalla Commissione a seguito del rinvio deliberato dall’Assemblea. Domani, giovedì 9 luglio, dalle 12 ed entro le 14, si svolgeranno le dichiarazioni di voto e il voto finale sul provvedimento, che passerà all’esame del Senato.

 

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L’Italia è autorizzata a continuare ad applicare lo split payment fino al 30 giugno 2023

L’Italia è autorizzata a continuare ad applicare lo split payment fino al 30 giugno 2023. A renderlo noto un comunicato stampa del ministero dell’Economia e delle Finanze, che informa che lo scorso 22 giugno, con un documento Com (2020)242 final, la Commissione europea ha adottato la proposta del Consiglio che estende fino al 30 giugno 2023 l’autorizzazione concessa all’Italia per l’applicazione dello split payment come misura speciale di deroga a quanto previsto dalla direttiva 2006/112/Ce in materia di Iva. Pertanto, il meccanismo della scissione dei pagamenti, introdotto dall’articolo 1, comma 629, lett. b) della legge di stabilità 2015 (Legge n. 190/2014), continuerà ad applicarsi alle operazioni effettuate nei confronti di pubbliche amministrazioni e altri enti e società, secondo quanto previsto dall’articolo 17-ter del Dpr n. 633/1972, in materia di disciplina dell’imposta sul valore aggiunto.
Si ricorda che la decisione di richiedere alla Commissione Europea un’ulteriore proroga triennale del meccanismo della scissione dei pagamenti era stata fortemente criticata dall’ANCE, considerandola una misura gravissima a carattere temporaneo che, sin dal 2015, ha compromesso l’equilibrio finanziario delle imprese operanti nei confronti della pubblica Amministrazione, specie di quelle di più ridotte dimensioni, mettendo a rischio la loro stessa sopravvivenza. Sono 2,5 miliardi di liquidità quelli sottratti alle imprese dallo split payment, secondo i numeri dell’ANCE. A supporto delle criticità evidenziate dalle imprese anche il Ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, aveva parlato di una misura “doppiamente ingiusta” per le partite IVA.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

 

Proposta di proroga fino al 2023 dello Split payment

Arriva dalla Commissione europea il via libera alla proposta dell’Italia di prorogare il meccanismo di scissione dei pagamenti. Si ricorda che con lettera protocollata dalla Commissione il 4 dicembre 2019, l’Italia ha chiesto l’autorizzazione a continuare a derogare agli articoli 206 e 226 della direttiva IVA per quanto riguarda i requisiti in materia di fatturazione e di pagamento in relazione all’IVA per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a favore delle pubbliche amministrazioni. Tale richiesta implicava una riduzione dell’ambito di applicazione della misura di deroga in vigore, concessa dalla decisione di esecuzione (UE) 2017/784 del Consiglio, che si applicava anche alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi alle società controllate dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali e a un elenco di società quotate in borsa. Tuttavia con lettera protocollata dalla Commissione il 27 marzo 2020, l’Italia ha modificato la sua richiesta, chiedendo che l’ambito di applicazione dell’autorizzazione resti identico a quello concesso dalla decisione di esecuzione (UE) 2017/784 del Consiglio, e chiedendo di applicare la deroga agli articoli 206 e 226 della direttiva IVA per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate alle pubbliche amministrazioni, alle società controllate dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali e a un elenco di società quotate in borsa. In conformità all’articolo 395, paragrafo 2, della direttiva IVA, la Commissione, con lettera del 5 maggio 2020, ha informato gli altri Stati membri della richiesta presentata dalla Repubblica italiana. Con lettera del 6 maggio 2020 la Commissione ha comunicato alla Repubblica italiana che disponeva di tutte le informazioni necessarie all’esame della richiesta. Da ultimo, con la decisione di esecuzione del Consiglio del 22 giugno 2020 si acconsente alla proroga dello split payment IVA. Rispetto alla richiesta avanzata dall’Italia, il rinnovo è ridotto di sei mesi, e durerà fino al 30 giugno 2023.
La decisione di richiedere alla Commissione Europea un’ulteriore proroga triennale del meccanismo della scissione dei pagamenti è stata fortemente criticata dall’ANCE, considerandola una misura gravissima a carattere temporaneo che, sin dal 2015, ha compromesso l’equilibrio finanziario delle imprese operanti nei confronti della pubblica Amministrazione, specie di quelle di più ridotte dimensioni, mettendo a rischio la loro stessa sopravvivenza. Sono 2,5 miliardi di liquidità quelli sottratti alle imprese dallo split payment, secondo i numeri dell’ANCE. A supporto delle criticità evidenziate dalle imprese anche il Ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, parla di una misura “doppiamente ingiusta” per le partite IVA.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION