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No alla compensazione di un debito tributario con la cessione di aree

Con deliberazione n. 35_2020, la Corte dei conti, Sez. Piemonte, in risposta a specifico quesito volto a verificare la possibilità da parte di un ente locale di accettare, in luogo dell’adempimento di un’obbligazione tributaria, consistente nel pagamento dell’imposta dovuta, una prestazione diversa costituita dalla cessione di un terreno, ha ricordato che in assenza di una normativa specifica al riguardo relativa ai tributi locali, non si ritiene possibile il ricorso generalizzato all’istituto della datio in solutum ex art. 1197 c.c., ai sensi del quale “il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o maggiore, salvo che il creditore consenta”. Ne deriva che l’attività che può porre in essere la Pubblica Amministrazione in materia tributaria è attività vincolata, in quanto sulla base del principio della riserva di legge, relativa, è la fonte normativa che disciplina i principi fondamentali del tributo tra cui l’an debeatur, il quantum e il soggetto passivo d’imposta. Detto in altri termini, deve essere il legislatore a disciplinare le fattispecie di tributo alle quali è possibile adempiere mediante prestazioni diverse dall’esatto adempimento. L’unica ipotesi di applicazione dell’istituto a prestazioni imposte dall’ente locale è quella contenuta nell’articolo 16, comma 2, D.P.R. 380/2001, che prevede la possibilità di realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, a scomputo totale o parziale della quota del contributo di costruzione relativa alle stesse. Il contributo di costruzione, essendo codificato dall’ordinamento in termini di compartecipazione del privato alla spesa pubblica, tenuto conto del bisogno di opere di urbanizzazione aggiuntive conseguenti al nuovo insediamento edificatorio, integra una prestazione patrimoniale di carattere non tributario. La Corte ricorda che eventuali deroghe al principio di indisponibilità della pretesa tributaria debbono essere previste dal legislatore consentendo all’ente di disporre del credito tributario. Si tratta di eccezioni, da interpretarsi in modo rigoroso e restrittivo come nell’ipotesi dell’istituto del baratto amministrativo disciplinato dall’art. 190 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50. Inoltre, l’accettazione di una prestazione in luogo dell’adempimento di un debito tributario, determinerebbe come conseguenza la cancellazione di residui attivi. Ciò, inciderebbe in modo negativo sul risultato di amministrazione in particolar modo qualora dette prestazioni venissero considerate generalmente ammesse e la facoltà venisse riconosciuta a tutti i contribuenti in assenza di una disciplina specifica e tassativa.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION