Le preoccupazioni della Commissione Arconet per l’attuazione della riforma Accrual

Nella seduta del 8 maggio scorso, la Commissione Arconet – nell’esaminare la proposta di ITAS 7 “Locazioni”, elaborata dallo Standard Setter Board, in consultazione pubblica fino al 29 maggio 2024 –  ha ribadito le proprie preoccupazioni sul processo di attuazione della Riforma Accrual che ad oggi:
– non consente di avviare la sperimentazione/progetto pilota, in quanto la definizione degli ITAS non è ancora completa;
– non prevede formazione organizzata con modalità condivise con i rappresentanti degli enti territoriali;
– non permette l’adeguamento dei sistemi informativi degli enti nei tempi necessari per l’avvio della fase pilota il 1° gennaio 2025.

In occasione del primo parere reso ai sensi dell’art. 9, comma 16, del decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152, riguardante il quadro concettuale, la Commissione aveva segnalato di non essere pregiudizialmente contraria alla Riforma Accrual, la cui attuazione richiede un impegno rilevante del legislatore
nazionale ai fini dell’adeguamento dell’ordinamento contabile pubblico nel rispetto della Costituzione e del dispiegamento di risorse finanziarie nei confronti di tutte le Pubbliche Amministrazioni, compresi gli enti territoriali, con l’obiettivo di garantire:
– la sperimentazione della riforma;
– la formazione degli operatori;
– una semplificazione del sistema contabile complessivo.

In assenza di indicazioni sui tempi e le modalità di attuazione della Riforma Accrual la Commissione Arconet proseguirà l’esame degli ITAS e continuerà a
dare il proprio contributo alla definizione degli standard nello spirito di leale collaborazione, ritenendo necessario rappresentare le competenze e le
sensibilità degli enti territoriali.

 

La redazione PERK SOLUTION

Sostituire i guard rail e asfaltare una strada non sono interventi di somma urgenza

Sostituire i guard rail e asfaltare una strada non è un intervento di somma urgenza ma rientra nella manutenzione ordinaria. E come tale è regolamentata dal Codice degli appalti. E’ quanto ha ribadito Anac con Atto del Presidente del 23 aprile 2024.
Nel caso di specie, il Comune aveva disposto lavori urgenti per la messa in sicurezza di una strada evidenziando che “le copiose nevicate invernali hanno provocato dissesti stradali e vengono pertanto disposte alcune lavorazioni definite urgenti consistenti in demolizione e ricostruzione muri di contenimento esistenti, sostituzione guardrail, sistemazione asfaltatura e ripristino barriere in ferro”. I lavori, per un importo finale di oltre mezzo milione di euro, sono stati così affidati a un operatore prescelto.

L’ANAC ricorda che l’istituto della somma urgenza è disciplinato dal Codice degli Appalti e, come istituto derogatorio alla normativa vigente, richiede “il verificarsi di circostanze impreviste e pregiudizievoli che non consentano alcun indugio nel dare avvio ed esecuzione ai lavori resisi necessari al fine di evitare pericoli per la pubblica incolumità”. Le disposizioni normative al riguardo prevedono la redazione di un verbale di “somma urgenza”, in cui devono essere indicati i motivi dello stato di urgenza, le cause che lo hanno provocato e i lavori necessari per rimuoverlo; l’esecuzione dei relativi lavori può quindi essere affidata in forma diretta ad uno o più operatori economici individuati dal responsabile del procedimento, mentre il corrispettivo delle prestazioni ordinate è definito consensualmente con l’affidatario. Il responsabile del procedimento inoltre è tenuto a compilare entro dieci giorni dall’ordine di esecuzione dei lavori una perizia giustificativa degli stessi, trasmettendola, unitamente al verbale di somma urgenza, alla stazione appaltante che provvede alla copertura della spesa e alla approvazione della stessa.

 

La redazione PERK SOLUTION

ANAC: Contestazioni dell’Agenzia Entrate sotto i 35.000 euro non escludono dall’affidamento di servizi

Con il Parere di Precontenzioso delibera n.234 del 15 maggio 2024 l’Anac nel fornire riscontro ad una richiesta di parere in ordine alla legittimità dell’esclusione dalla gara disposta dalla Stazione appaltante in quanto «ai sensi dell’art. 94, comma 6 e art. 95, comma 2 del D. Lgs. 31/03/2023, n. 36, inadempiente agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, tanto da costituire grave violazione definitivamente accertata come indicato all’art 1, 2 e 4 dell’Allegato II.10 del citato D. Lgs. 36/2023», ha evidenziato che non basta aver ricevuto una contestazione dall’Agenzia delle Entrateper essere esclusi da una gara d’appalto. Per le gravi violazioni non definitivamente accertate agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse, il valore di euro 35.000,00 costituisce la soglia (economica) minima di punibilità, al di sotto della quale la violazione non può essere in alcun modo considerata ‘grave’ ai fini di una possibile esclusione dalla gara rimessa alla valutazione discrezionale della Stazione appaltante.

Nel caso di specie, l’unica violazione imputata e imputabile alla società istante riguarda una contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, effettuata in esito ad un controllo automatizzato eseguito sulla dichiarazione dei redditi. Il riferimento è al mancato (o comunque inesatto) versamento dell’Ires per il periodo di imposta dal 1.1.2020 al 31.12.2020, per il quale già in data 2.11.2023, ovvero entro la prevista scadenza del termine di 30 giorni indicato nella contestazione stessa, la società aveva ottenuto la rateizzazione del debito.

Ai sensi e per gli effetti dell’art. 95, comma 2 del Codice la “gravità” della violazione (non definitivamente accertata) agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o contributi previdenziali deve essere valutata sulla base delle condizioni dettate dall’art. 3 dell’Allegato II.10 del Codice, ossia quando la violazione è pari o superiore al 10 per cento del valore dell’appalto e purché tale l’importo non sia inferiore a 35.000 euro. La disposizione di cui all’art. 95, comma 2, 3° periodo secondo cui «La gravità va in ogni caso valutata anche tenendo conto del valore dell’appalto» deve essere intesa quale clausola interpretativa che la Stazione appaltante deve utilizzare, all’interno dei due sopracitati parametri di riferimento predeterminati dal legislatore, ai fini della valutazione discrezionale circa l’esclusione o meno del concorrente che sia incorso nella violazione non immediatamente escludente.

 

 

La redazione PERK SOLUTION

Il Dipendente pubblico, con figli fino a tre anni, può chiedere di essere temporanemente assegnato ad una sede di servizio della provincia o regione in cui è fissata la residenza familiare

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 99/2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 42˗bis, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui prevede che il trasferimento temporaneo del dipendente pubblico, con figli minori fino a tre anni di età, possa essere disposto «ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa», anziché «ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale è fissata la residenza della famiglia o nella quale l’altro genitore eserciti la propria attività lavorativa».

La sentenza ha innanzitutto chiarito che il trasferimento temporaneo dei dipendenti pubblici che siano genitori di figli minori di tre anni, proponendosi di favorire la ricomposizione dei nuclei familiari nei primissimi anni di vita dei figli nel caso in cui i genitori si trovino a vivere separati per esigenze lavorative, è chiaramente preordinato alla realizzazione dell’obiettivo costituzionale di sostegno e promozione della famiglia, dell’infanzia e della parità dei genitori nell’accudire i figli. Proprio alla luce di una simile ratio dell’istituto, non risulta ragionevole – e quindi in contrasto con l’art. 3 Cost. – consentire il trasferimento temporaneo solo nella provincia o regione in cui lavora l’altro genitore: una simile limitazione non assicura, infatti, una tutela adeguata in favore di quei nuclei familiari in cui entrambi i genitori lavorano in regioni diverse da quelle in cui è stata fissata la residenza familiare.

D’altronde, si tratta di un’ipotesi che nella realtà è divenuta sempre meno rara, anche alla luce delle trasformazioni che hanno investito sia le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative (attraverso le nuove tecnologie), sia i sistemi di trasporto. In relazione a tali casi, appare pienamente rispondente alla finalità dell’istituto consentire almeno a uno dei genitori di lavorare, nel primo triennio di vita del figlio, in una sede che si trova nella regione o nella provincia in cui è stata fissata la residenza della famiglia e in cui è domiciliato il minore (ai sensi dell’art. 45, comma secondo, del codice civile).

Secondo la Corte costituzionale, un simile ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto dell’assegnazione temporanea, oltre a risultare coerente con la finalità di protezione della famiglia e di sostegno all’infanzia, risponde all’esigenza di preservare la più ampia autonomia dei genitori nelle scelte concernenti la definizione dell’indirizzo familiare.

 

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Incostituzionale il divieto di conferire nuovi incarichi di amministratore di società di enti privati, sottoposti a controllo pubblico da parte degli enti locali

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 98/2024, si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal TAR Lazio, delle norme che stabiliscono il divieto di conferire incarichi di amministratore di enti privati, sottoposti a controllo pubblico da parte degli enti locali (province o comuni), a coloro i quali nell’anno precedente abbiano svolto analoghi incarichi presso altri enti della stessa natura.
La fattispecie esaminata dalla Corte coinvolgeva un manager pubblico che, per aver ricoperto, nell’anno precedente, il ruolo di amministratore delegato presso una società controllata da un comune, non ha potuto ottenere lo stesso incarico presso altra società partecipata.

La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme del decreto legislativo n. 39 del 2013 nella parte in cui, con riguardo a ipotesi simili, non consentono la conferibilità del nuovo incarico. Tale divieto, infatti, si pone in contrasto con le previsioni della legge di delega (la n. 190 del 2012) e, quindi, con l’art. 76 Cost., che non consente al Governo, nell’esercizio della delega conferitagli dal Parlamento, di introdurre ipotesi limitative che non siano state previste dal legislatore delegante. Nella motivazione, la Corte precisa che la legge di delega ha circoscritto la non conferibilità degli incarichi amministrativi di vertice – per quanto assume rilievo nella fattispecie oggetto di giudizio – solo alle ipotesi di provenienza politica del nominato, cioè solo ai casi in cui costui abbia svolto, nell’anno precedente, incarichi di natura politica.

Tali non sono gli incarichi di amministratore di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico, che la legge di delega non ha incluso tra le posizioni di provenienza ostative. Le richiamate previsioni della legge di delega costituiscono il frutto di un bilanciamento tra l’accesso al lavoro dei professionisti, che è stato parzialmente sacrificato mediante la previsione della non conferibilità degli incarichi per provenienza politica, e l’imparzialità dell’azione amministrativa, che va assicurata anche nelle forme della mera “apparenza” di imparzialità. Tuttavia, l’estensione di questa garanzia preventiva anche ad ipotesi prive di qualsiasi percepibile collegamento con lo svolgimento di incarichi “politici” è estranea all’obiettivo perseguito dal legislatore delegante e, pertanto, non poteva essere introdotta dalla legge delegata.

 

La redazione PERK SOLUTION