I fabbricati collabenti non possono essere qualificati come aree edificabili

I fabbricati collabenti sono a tutti gli effetti “Fabbricati” e la circostanza che siano “privi di rendita” li porta ad essere esclusi dal novero dei fabbricati imponibili ai fini IMU, che sono esclusivamente quelli “con attribuzione di rendita”, indice, quest’ultimo, sintomatico di capacità contributiva del bene soggetto a tassazione, in ossequio all’art. 53 della Costituzione. I fabbricati collabenti sono e restano “Fabbricati”, motivo per il quale non possono essere qualificati diversamente, come vorrebbero invece i comuni che li definirebbero “terreni edificabili”. È questa la precisazione arrivata dal Dipartimento delle Finanze contenuta nella Risoluzione n. 4/2023.

Anche la giurisprudenza di legittimità è dello stesso avviso, che ha avuto modo di precisare che il “fabbricato accatastato come unità collabente (categoria F/2), oltre a non essere tassabile ai fini ICI (vale anche ai fini IMU) come fabbricato, in quanto privo di rendita, non lo è neppure come area edificabile, salvo che l’eventuale demolizione restituisca autonomia all’area fabbricabile che, solo da quel momento, è soggetta a imposizione come tale, fino al subentro della imposta sul fabbricato ricostruito”.

Altra fattispecie esaminata dalla risoluzione riguarda i fabbricati rurali strumentali, laddove si ritiene priva di fondamento la pretesa dei comuni circa la sussistenza della qualifica di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo professionale, di cui all’art. 1 del D. Lgs. n. 99 del 2004, in capo al soggetto passivo IMU o all’utilizzatore dell’immobile ai fini dell’applicazione dell’applicazione dell’aliquota nella misura ridotta dello 0,1%. Secondo l’orientamento della Cassazione, sentenza 24 agosto 2021, n. 23386, l’identificazione della ruralità dei fabbricati
oggetto del beneficio fiscale si correla esclusivamente al dato catastale, anche dopo la nuova procedura di
annotazione negli atti catastali, prevista dall’art. 13, comma 14-bis, del D. L. n. 201 del 2011 per il riconoscimento del requisito di ruralità per gli immobili strumentali. Per il Dipartimento è destituito di ogni fondamento, ai fini della sussistenza del carattere di ruralità, la richiesta da parte dei comuni di specifica documentazione attestante lo svolgimento dell’attività agricola, così come la pretesa  di non ritenere il comodato titolo idoneo a dimostrare la sussistenza del requisito di ruralità, atteso che, per il riconoscimento della ruralità del fabbricato, è dirimente la sola risultanza catastale.

Infine, viene affrontata la problematica della conduzione associata di terreni, in riferimento alla quale viene evidenziata la circostanza che negli ultimi anni si stanno diffondendo sempre di più forme di conduzione del genere da parte degli imprenditori agricoli per rispondere alla crescente richiesta qualitativa e quantitativa di prodotti agricoli. Le forme contrattuali più utilizzate di conduzione associata sono il contratto di rete agricolo (art. 3, comma 4-ter, del D.L. n. 5 del 2009 e art. 1-bis, comma 3, del D.L. n. 91 del 2014) e il contratto di compartecipazione agraria per le coltivazioni stagionali (art. 56, della legge n. 203 del 1982); in entrambe le suddette fattispecie l’imprenditore agricolo coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale, possessore dei terreni, conduce per un determinato numero di anni (contratto di rete) o per alcuni mesi all’anno (contratto di compartecipazione agraria) i propri terreni, solitamente, con un altro imprenditore agricolo. Per il Dipartimento, qualora vengano rispettati tutti i requisiti che caratterizzano tali contratti di tipo associativo, non possa ritenersi che venga meno il requisito oggettivo della conduzione che legittima l’applicazione del regime di favore di cui al comma 758 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019.

 

La redazione PERK SOLUTION