Monetizzazione ferie non godute

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 29113 del 6/10/2022, ha accolto il ricorso presentato da un dirigente di primo livello addetta all’Unità Operativa di
Medicina Interna del Presidio Ospedaliero, che aveva domandato, nei riguardi della Azienda Sanitaria Locale, la corresponsione dell’indennità sostitutiva per i 38 giorni di ferie maturati negli ultimi quindici mesi del rapporto, non fruiti nonostante le istanze da essa presentate fossero state respinte dal Direttore della sua Unità Operativa con la motivazione “per necessità di servizio”. La Corte d’Appello, confermando la pronuncia del Tribunale, ha rigettato la domanda del dirigente, ritenendo che la lavoratrice non avesse provato che il mancato godimento delle ferie fosse dovuto ad esigenze di servizio, né quali fossero state le specifiche motivazioni che avevano determinato l’accumulo delle giornate, dovendosi anche considerare l’esiguità del tempo a disposizione dell’Azienda tra la richiesta e la fine del rapporto.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso del dirigente e cassa la sentenza di merito sul presupposto che i giudici avevano valorizzato soltanto comportamenti asseritamente inerti del lavoratore, senza esaminare i comportamenti datoriali e chiudendo la causa in applicazione erronea della regola sull’onere della prova. La perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, in base al consolidato orientamento della Suprema Corte anche in esito agli indirizzi della Corte di Giustizia UE, può verificarsi «soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie – se necessario formalmente – e di averlo nel contempo avvisato – in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire – che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato».

Pertanto, motiva la Corte di cassazione, è manifesta l’erroneità dell’argomentare giuridico della Corte territoriale, la quale ha valorizzato soltanto comportamenti asseritamente inerti del lavoratore, senza esaminare i comportamenti datoriali e chiudendo la causa in applicazione erronea della regola sull’onere della prova.

 

La redazione PERK SOLUTION

La corretta destinazione delle entrate derivanti dalla gestione dei parcheggi

Nessuna eccezione viene posta dal legislatore nel richiedere il vincolo delle entrate spettanti all’ente in quanto proprietario della strada sulla quale i parcheggi insistono. Nell’ambito della propria autonomia l’ente può scegliere le modalità gestionali che meglio rispondono alle proprie esigenze di amministrazione delle risorse, del suolo pubblico e dei servizi da rendere al cittadino. Tali modalità, tuttavia, non cambiano la natura dell’entrata, che resta quella di un compenso pagato dall’utente-cittadino all’amministrazione pubblica per la resa di un servizio e che la legge impone di destinare alle finalità specifiche indicate dal citato art. 7, comma 7, del codice della strada. È quanto evidenziato dalla Corte dei conti, Sez. Toscana, con deliberazione n. 195/2022/PRSP, pronunciandosi sugli esiti dell’esame dei rendiconti 2017-2018 e 2019 di un Comune.

Un aspetto dell’analisi istruttoria ha riguardato anche la corretta destinazione delle entrate derivanti dalla gestione dei parcheggi, per le quali è stato richiesto all’amministrazione di indicare l’ammontare delle risorse accertate nell’esercizio e di quelle vincolate per le finalità di cui all’art. 7, comma 7, del codice della strada distinguendo, qualora ricorresse il caso, fra quelle destinate al finanziamento di spese di parte corrente e quelle destinate agli investimenti. La norma, infatti, dispone che “i proventi dei parcheggi a pagamento, in quanto spettanti agli enti proprietari della strada, sono destinati alla installazione, costruzione e gestione di parcheggi in superficie, sopraelevati o sotterranei, e al loro miglioramento e le somme eventualmente eccedenti ad interventi per migliorare la mobilità urbana”.

Nel caso di specie è emerso che il Comune abbia affidato la gestione dei parcheggi alla società in house. L’esame dei rapporti contrattuali fra comune e società evidenzia come il canone di concessione sia dovuto in favore del comune in base ad un forfait che non ha alcun riferimento con l’ammontare dei flussi di cassa derivanti dai parcheggi e dalle aree di sosta, con la conseguenza che gli incassi vengono introitati direttamente dalla Società e qualificati come
ricavi della stessa nell’ambito del conto economico ed imponibili ai fini reddituali. Del resto, la società non è mai stata qualificata come agente contabile, poiché in base alle regole contrattuali non maneggia somme di pertinenza comunali. Per il Comune, l’entrata non risulta ascrivibile alla gestione dei parcheggi rientrante nella casistica di cui all’art. 7, comma 7, del codice della strada”.

Per la Corte, nella scelta adottata dall’ente per la gestione dei parcheggi rientra l’obbligo di garantire, sul piano sostanziale, che l’entrata, pur acquisita attraverso società di gestione del servizio, sia ricondotta alle finalità di legge o dalla società stessa o dall’amministrazione comunale. La gestione esternalizzata del servizio, e la concessione dell’attività ad un soggetto privato, non possono costituire un meccanismo elusivo del vincolo normativo. Nel caso di specie, l’ente non provvede alla destinazione delle entrate né con riferimento ai proventi pagati dalla società a titolo di contributo o canone di
concessione, né con riferimento alle entrate percepite dalla società quale pagamento del servizio reso all’utenza, poiché queste, qualificate come ricavi, vanno a coprire costi che afferiscono alla pluralità dei servizi resi dalla società, né con riferimento agli eventuali utili distribuiti dalla società, per quanto, in tale ultima fattispecie, la riconduzione dei fondi alle loro finalità di legge avverrebbe solo in minima parte, proprio in virtù del fatto che la società è affidataria di servizi comunali differenziati, e non solo della gestione dei parcheggi. In ultimo, la Corte evidenzia che la società affidataria del servizio pubblico è senz’altro da considerarsi un agente contabile, riscuotendo nell’interesse del Comune i relativi proventi.

 

La redazione PERK SOLUTION

Fondo contenzioso: possibile svincolare le somme solo se la spesa potenziale non può più verificarsi

La Corte dei conti, Sez. Veneto, con deliberazione n. 148/2022, in riscontro ad una richiesta di un Comune in merito alla “possibilità di operare uno svincolo
dell’importo accantonato nel fondo rischi contenzioso per le relative spese potenziali, modificando la composizione del risultato di amministrazione 2021 e ricomprendere tale quota nell’avanzo libero per le finalità che l’amministrazione dovesse individuare e, comunque, nel rispetto delle priorità previste dall’art. 287 del TUEL”, a seguito di pronuncia definitiva favorevole sulla questione legittimante l’accantonamento stesso” ha ribadito che solo fino a quando non si sia determinato l’esito definitivo del procedimento da cui scaturisce il concreto rischio di spesa potenziale – qualsivoglia sia la natura del giudizio da cui origina il pericolo della passività relativa – non sarà possibile svincolare le somme dal fondo all’uopo costituito. Ciò sarà, invece, consentito a decorrere dal venir meno del rischio in quanto presupposto logico fondativo e, quindi, con decorrenza ex tunc ed operatività pro futuro. Analogamente, in caso di giudizio concluso a favore dell’ente in maniera definitiva, tale da determinare con certezza la mancanza di necessità del relativo accantonamento, sarà ben possibile liberare la somma dal vincolo e ricomprendere tale quota nell’avanzo libero di amministrazione.

La Corte, esaminata la disciplina della costituzione e successiva gestione del fondo rischi contenzioso, ricorda che una questione non dissimile a quella rappresentata nel quesito oggetto di esame sia stata affrontata dalla Sezione regionale di controllo della Campania della Corte dei conti, con la deliberazione n. 238/2017, la quale ha, prima di tutto, puntualmente inquadrato in termini giuridici il rischio derivante da contenzioso come “un’obbligazione passiva possibile la cui consistenza deriva da eventi passati e la cui esistenza sarà confermata dal verificarsi o meno di uno o più eventi futuri e incerti, non totalmente sotto il controllo del Comune medesimo”, ispirandosi a quanto stabilito nell’allegato 4.2 al D.Lgs. n. 118/2011, punto 5.2, con particolare riferimento alla lettera h, la quale riporta che con il fondo contenzioso “si è in presenza di una obbligazione passiva condizionata al verificarsi di un evento (l’esito del giudizio o del ricorso)”. Conseguentemente, nel corso del citato parere, la stessa Sezione ha affermato che “le quote accantonate dell’avanzo di amministrazione sono utilizzabili solo a seguito del verificarsi dei rischi per i quali sono state accantonate le relative risorse; quando invece si accerta che la spesa potenziale non può più verificarsi, la corrispondente quota del risultato di amministrazione è liberata dal vincolo”.

 

La redazione PERK SOLUTION