Limiti all’acquisto di beni immobili da parte delle società partecipate pubbliche inserite nell’elenco ISTAT

La Corte dei Conti, Sezione di controllo per la Regione siciliana, con deliberazione n. 107/2022 – in riscontro ad una richiesta di parere in merito all’applicabilità o meno delle procedure di cui commi 1 e 1-bis dell’art. 12 del D.L. n. 98/2011 (limitazioni alle operazioni di acquisto e vendita di immobili) a una società di capitali a totale partecipazione pubblica, che opera quale società strumentale, ai sensi del Dlgs. 175/2016, e che rientra nell’“Elenco delle Amministrazioni Pubbliche inserite nel conto economico consolidato” individuate ai sensi dell’art. 1 c. 3 della Legge di contabilità e finanza n. 196/2009 e prodotto annualmente dall’ISTAT, alla luce dell’art. 57 del D.L. n. 124/2011 (conv. dalla legge n. 157/2019) – ha chiarito che le disposizioni dei commi 1 e 1-bis dell’art. 12 sono pienamente applicabili ai soggetti giuridici indicati nel citato comma 1, con conseguente obbligo per l’ente locale socio di verificare il rispetto da parte dei propri organismi partecipati, rientranti nella definizione di cui al comma 1, dei limiti di finanza pubblica posti dalle disposizioni richiamate.
La Sezione evidenzia che il comma 1 dell’art. 12 citato contiene un primo chiaro riferimento ai destinatari della disposizione, individuati nelle “amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, con l’esclusione degli enti territoriali. Sulla definizione di “amministrazioni” a cui la norma in esame fa riferimento le Sezioni Riunite in speciale composizione della Corte dei conti hanno chiarito che: “Ai sensi dell’art. 1, co. 2, della L. n. 196/2009, così come modificato dall’art. 5, co. 7, della L. n. 16/2012, “ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono (…) gli enti e i soggetti indicati a fini statistici” dall’ISTAT nell’elenco delle amministrazioni pubbliche (…).In altri termini, la ricognizione annuale dell’ISTAT è volta a individuare, nel coacervo degli organismi di vario genere, e a prescindere dalla loro natura pubblica o privata, le unità istituzionali che debbono essere qualificate come pubbliche ai sensi degli “specifici regolamenti dell’Unione europea” e che concorrono, insieme con le amministrazioni pubbliche in senso stretto, alla formazione del conto economico consolidato (cfr. SS.RR. n. 7/RIS/2013 e n. 12/2015/RIS)” (SS.RR. sent. n. 15/2015). Appare chiaro, pertanto, che la disposizione in esame (il comma 1 dell’art. 12) si applica a tutti i soggetti giuridici inseriti nei c.d. elenchi Istat, indipendentemente dalla natura pubblica o privata degli stessi. Il Collegio ritiene che anche il comma 1 bis dell’art. 12 si applichi agli stessi soggetti giuridici a cui si riferisce il comma 1, come può trarsi dal seguente inciso contenuto nel medesimo comma 1 bis: “ferma restando la verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica, l’emanazione del decreto previsto dal comma 1 è effettuata anche sulla base della documentata indispensabilità e indilazionabilità attestata dal responsabile del procedimento”.
Tale limitazione dell’autonomia negoziale è venuta meno, a decorrere dall’anno 2020, per effetto dell’art. 57, comma 2, lettera f) del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124, convertito con modificazioni dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157, solo per quanto riguarda il comma 1 ter e solo per gli “enti locali e ai loro organismi ed enti strumentali, come definiti dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, nonché ai loro enti strumentali in forma societaria”, mentre le disposizioni dei commi 1 e 1-bis dell’art. 12 del d.l. n. 98/2011 sono pienamente applicabili ai soggetti giuridici indicati nel citato comma 1, con conseguente obbligo per l’ente locale socio di verificare il rispetto da parte dei propri organismi partecipati, rientranti nella definizione di cui al comma 1.

 

La redazione PERK SOLUTION

TARI: Per l’esenzione degli edifici di culto non rileva l’accatastamento dei locali in cat. E/7

Ai fini della esenzione Tari, occorre accertare non solo che i locali appartengano ad una comunità religiosa, quale che sia il culto da essa esercitato purché non contrario ai principi fondamentali dell’ordinamento, ma anche che nei locali per i quali è richiesta l’esenzione la comunità si riunisca per esercitare il culto e non ad altri fini. Detta verifica deve eseguirsi in concreto e non in astratto e pertanto non è sufficiente la classificazione catastale dei locali come edifici destinati al culto, né si può presumere che tutti i locali così classificati siano effettivamente destinati al culto. È quanto ribadito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18137 del 6-6-2022.
È necessario che si accerti se effettivamente la parte contribuente abbia dichiarato che i locali siano destinati al culto nella denuncia originaria o in quella di variazione, e che tale effettiva destinazione sia stata debitamente riscontrata in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione; con la precisazione che la mancanza del primo di questi requisiti e cioè la denuncia o la variazione non è emendabile in giudizio, mentre in caso di contestazione lo è il secondo requisito e cioè la prova della effettiva destinazione dei locali (Cass. 2125/2017; Cass. 21011/2021; Cass. 14037/2019; Cass. 31460/2019).
Nel caso di specie, è risultato che in difetto di regolare denuncia da parte della Associazione religioso – dal momento che la denuncia D.Lgs. n. 503 del 1997, ex art. 70, era stata compilata da un soggetto non avente titolo e senza indicare la destinazione d’uso dei locali – il Comune abbia proceduto ad accertare sulla base di rilievi planimetrici quali fossero i locali effettivamente adibiti al culto. Si tratta di un accertamento in fatto che non può essere posto in discussione e che non possa neppure essere contrastato in virtù del rilievo che l’intero edificio sia stato accatastato in E/7, perché una interpretazione coerente con le Direttive Europee impone di accertare se in concreto i locali sono adibiti ad un uso incompatibile con la produzione di rifiuti.
Ciò non interferisce in alcun modo con il diritto fondamentale al libero esercizio del culto, posto che non si vuole mettere in discussione la libertà religiosa, tutelata dalla nostra Costituzione nonché dalle norme sovranazionali e convenzionali, quanto ribadire il diverso principio che chi intende beneficiare di una esenzione fiscale deve offrire la prova della sussistenza dei suoi presupposti (Cass. 04/10/2017, n. 23228); e in particolare per quanto attiene alla Tarsu, ribadire che chi richiede l’esenzione deve anche assolvere all’onere della preventiva specifica indicazione, in una regolare denuncia ai sensi del D.Lgs. n. 503 del 1997, artt. 62 e 70, di quali sono le superfici non tassabili.
Per i giudici, la denuncia (o variazione) assolve infatti alla finalità di portare a conoscenza dell’ente impositore quali sono i locali occupati o detenuti e quelli per i quali sussistono – secondo il contribuente – i requisiti della esenzione, così da consentire all’ente di avere un quadro completo della produzione di rifiuti sul territorio, del soggetto responsabile, e di avviare gli opportuni controlli, nonché di organizzare la gestione del servizio; al tempo stesso essa integra la dichiarazione della volontà di avvalersi del beneficio per i locali indicati come superficie non tassabile.

 

La redazione PERK SOLUTION