Corte dei conti, Sulla possibilità di utilizzo dell’avanzo per fronteggiare l’aumento delle spese energetiche

L’avanzo di amministrazione può fronteggiare l’aumento delle spese energetiche (gas ed energia elettrica) solo nella misura in cui risponda alle specifiche finalità contenute nel comma 2 dell’art.187 del TUEL, nell’ordine di priorità ivi indicato. È questa la risposta della Corte dei conti, Sez. Lombardia, deliberazione n. 63/2022, in riscontro ad una richiesta di parere di un Comune.
La Sezione ricorda che l’art.187, c.1, Tuel prevede una “ripartizione” del risultato di amministrazione in fondi vincolati, fondi destinati agli investimenti, fondi accantonati e fondi liberi, riservando un differenziato regime vincolistico ai diversi fondi di composizione del risultato di amministrazione. Con riferimento ai fondi liberi, il comma 2 dell’art.187 (analogamente all’art.42, c.6, d.lgs. 118/2011, per le regioni) dispone, infatti, che detti fondi possono essere utilizzati dall’ente con provvedimento di variazione di bilancio, solo per alcune finalità, che la norma prevede espressamente ed indica secondo un preciso ordine di priorità: la copertura dei debiti fuori bilancio; i provvedimenti necessari per la salvaguardia degli equilibri di bilancio, se non possa provvedersi con mezzi ordinari (vale a dire, con tutte le possibili politiche di contenimento delle spese e di massimizzazione delle entrate proprie, senza necessariamente arrivare all’esaurimento delle politiche tributarie regionali e locali), il finanziamento di spese di investimento; il finanziamento delle spese correnti a carattere non permanente, vale a dire caratterizzate dall’assenza di continuità temporale; l’estinzione anticipata dei prestiti. La “ratio sottesa a detta regola va ravvisata nell’esigenza di garantire la salvaguardia degli equilibri di bilancio. In altri termini la “destinazione” dell’avanzo libero di amministrazione deve essere conforme sia alle finalità sia all’ordine di priorità indicate dal legislatore.
Pertanto, seppure l’avanzo di amministrazione determini la sussistenza di veri e proprio cespiti in capo all’ente (C. cost. 101/2018), il relativo impiego è subordinato al rispetto delle specifiche finalità indicate in ordine di priorità nel comma 2 dell’art.187 Tuel, ovvero in altra disposizione normativa statale, che ne disponga un’espressa deroga.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Nessun vincolo automatico di permanenza per i dipendenti assunti da meno di cinque anni

Il Dipartimento della Funzione Pubblica, nel fornire riscontro ad una richiesta di Parere di un Comune in ordine alla interpretazione delle disposizioni dettate in materia di mobilità volontaria dei dipendenti pubblici dagli articoli 30 del D.Lgs. n. 30 marzo 2001, n. 165 e 3 del decreto legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, ha chiarito che dalla norma si evince che l’obbligo di permanenza nelle sedi di prima destinazione non ha ragione di operare qualora l’amministrazione rilevi, in un’ottica di ottimizzazione delle risorse, che una diversa allocazione e distribuzione del personale sia maggiormente rispondente alle proprie esigenze organizzative e funzionali. In ragione di ciò, è evidente che l’ambito di applicazione della norma in esame non può in alcun modo riflettersi nell’imposizione di vincoli paralizzanti per l’amministrazione che ne impediscano o limitino scelte, assunte assicurando trasparenza e uniformità di trattamento, che siano finalizzate al perseguimento della maggiore efficienza.
Per il Dipartimento, depone in questo senso anche il disposto dell’ articolo 3, comma 7- ter, del decreto-legge 80/2021, nella parte in cui, dopo aver riaffermato che “Per gli enti locali, in caso di prima assegnazione, la permanenza minima del personale è di cinque anni”, aggiunge che “in ogni caso, la cessione del personale può essere differita, a discrezione dell’amministrazione cedente, fino all’effettiva assunzione del personale assunto a copertura dei posti vacanti e comunque per un periodo non superiore a trenta giorni successivi a tale assunzione, ove sia ritenuto necessario il previo svolgimento di un periodo di affiancamento”.  Ciò sta a significare che la corretta interpretazione della norma esclude che da essa possa inferirsi l’esistenza di vincoli automatici e paralizzanti per l’amministrazione, sia durante sia dopo il periodo di permanenza del personale nella sede di prima destinazione.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Incompatibilità del Consigliere comunale quando vi è un giudizio pendente con il Comune

Il Ministero dell’interno, chiamato ad esprimere il proprio orientamento in merito alla contestabilità della causa di incompatibilità, di cui all’articolo 63 comma 1 n. 4 del TUEL, a causa di un contenzioso tra un consigliere e un Comune in relazione a sanzioni amministrative comminate ai sensi del regolamento comunale sulla pubblicità, ha ribadito che sussiste la causa di incompatibilità prevista dall’art. 63, quando vi è un giudizio pendente tra il comune e un consigliere comunale. Le cause di incompatibilità di cui alla norma citata, ascrivibili al novero delle c.d. incompatibilità d’interessi, hanno la finalità di impedire che possano concorrere all’esercizio delle funzioni dei consigli comunali soggetti portatori di interessi confliggenti con quelli dell’ente locale o i quali si trovino comunque in condizioni che ne possano compromettere l’imparzialità. Deve trattarsi, dunque, di una effettiva controversia giudiziaria e non di una lite potenziale o di un contrasto potenziale, o reale, di interessi. La “lite” deve riflettere uno scontro di interessi tra le parti che devono risultare contrapposte.
Pertanto, in pendenza di giudizio tra Consigliere e Comune, in relazione a sanzioni amministrative comminate ai sensi del regolamento comunale sulla pubblicità, sussiste, nei confronti dell’amministratore, la causa di incompatibilità di cui all’art. 63 comma 1 n. 4 TUEL. Spetta al consiglio comunale la verifica della sussistenza di cause ostative all’espletamento del mandato elettivo, secondo la procedura di cui all’art. 69 TUEL, che garantisca il contraddittorio tra organo ed amministratore interessato, assicurando a quest’ultimo l’esercizio del diritto di difesa e la possibilità di rimuovere entro un congruo termine la causa ostativa contestata.
Non è possibile, inoltre, sospendere il procedimento di verifica eventualmente già avviato in attesa dell’esito del contenzioso, né decidere con una convalida con riserva perché ciò vanificherebbe la ratio dell’art. 41 TUEL che richiederebbe invece la verifica della legittima costituzione dell’organo consiliare come primo adempimento.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Nomina revisore dell’Unione e dei comuni associati e determinazione relativo compenso

È facoltà dell’Unione avvalersi di un solo organo di revisione anche per i comuni membri, in tal caso il compenso è unico e omnicompensivo. È quanto evidenziato dal Ministero dell’Interno, in risposta ad una richiesta di parere in merito alla nomina di un revisore unico in un’Unione di comuni, avente popolazione inferiore a 10.000 abitanti. L’Unione ha chiesto la disponibilità a ricoprire anche le funzioni di organo di revisione per i tre Comuni associati a fronte di un compenso calcolato sulla sommatoria della popolazione dell’Unione. Sul punto sono sorti contrastanti opinioni in merito alla funzione specifica cui il revisore dell’Unione è chiamato alla determinazione del relativo compenso. Il ministero rammenta che ai sensi dell’articolo 1, comma 110, lettera c) della legge n.56 del 2014, la funzione dell’organo di revisione possa essere svolta nelle Unioni di comuni in forma associata e anche nei comuni che le costituiscono. L’art. 3, comma 4-bis, del decreto legge n.174 del 2012 prevede, invece, che all’atto della costituzione del collegio o del revisore unico delle predette Unioni, decadono i revisori in carica nei comuni che fanno parte dell’Unione.
Per quanto riguarda il compenso occorre, invece, fare riferimento all’articolo 241, comma 5 del TUEL e al disposto del decreto interministeriale del 21 dicembre 2018. In particolare, l’Ufficio ministeriale si è pronunciato più volte circa la determinazione del compenso omnicomprensivo del revisore unico unionale che, in assenza di specifica norma, non può che essere determinato secondo i parametri, le maggiorazioni e i limiti indicati nelle suddette norme. Relativamente alla volontà dell’Unione di avvalersi di un solo revisore in applicazione della norma di cui alla legge n.56 del 2014, si evidenzia che, anche laddove non fosse precisato nello statuto è palese che l’Unione abbia deciso di applicare, da tempo, il comma 110 della predetta legge. Il ministero ritiene, quindi, condivisibile il pensiero del revisore in totale contrasto con quanto stabilito dal legislatore con il comma 110 dell’articolo 1 della legge 56 del 2014 che ha introdotto la facoltà per l’Unione di avvalersi di un solo organo di revisione anche per i comuni membri, pur comprendendo che è necessario un intervento legislativo per determinare in maniera più equa il compenso che nel caso specifico dovrebbe contemperare la ragione dell’ente locale al risparmio e ad un controllo più diffuso e generalizzato a quella del revisore che in effetti è chiamato a svolgere un incarico più gravoso relativo a quattro enti locali distinti.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION