Corte dei conti, l’ausiliario del traffico non fa parte del Corpo di Polizia Locale

La Corte dei conti, Sez. Emilia-Romagna, con deliberazione n. 24/2022, fornisce chiarimenti in merito a due quesiti formulati da un Sindaco volti a conoscere se il personale assunto dal Comune con un profilo riconducibile alla figura di “ausiliario del traffico”, ed al quale con provvedimento sindacale vengono attribuite le funzioni di prevenzione ed accertamento delle violazioni in materia di sosta, possa essere considerato facente parte del Corpo di Polizia locale e sulla possibilità di riconoscere a detto personale, ove facente parte del Corpo di polizia locale, le misure di previdenza integrative previste dall’art. 208 del Nuovo Codice della Strada.
La Sezione ritiene che l’operatore comunale di mobilità, riconducibile alla figura dell’ausiliario del traffico, assunto con contratto a tempo indeterminato ed incaricato, con provvedimento del Sindaco, di svolgere funzioni di prevenzione ed accertamento delle violazioni in materia di sosta non può essere considerato personale appartenente al Corpo di polizia municipale di cui non riveste alcuna qualifica ordinamentale, né è titolare di tutte le funzioni previste per il personale della polizia municipale essendo incaricato solo dell’espletamento di uno specifico servizio di polizia stradale. Di conseguenza, l’ausiliario del traffico, non appartenendo al Corpo di polizia municipale, non può essere destinatario di disposizioni di previdenza integrativa prevista solo per beneficiari ben individuati dalla legge e nella fattispecie per il personale della polizia municipale. La natura di fondo speciale a carattere vincolato, a tutela degli equilibri di bilancio, che viene a costituirsi con i proventi delle sanzioni per violazione al codice della strada e l’indicazione dettagliata contenuta nella legge delle finalità perseguibili con i proventi stessi non consentono interpretazioni estensive al di là dello stretto dettato normativo.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

 

Corte dei conti, presupposti normativi per la ripartizione dei compensi per l’avvocatura interna

La Corte dei conti, Sez. Emilia-Romagna, con deliberazione n. 85/2022, in risposta ad una richiesta di parere sulla corretta interpretazione dell’art. 9 del D.L. n. 90 del 2014 convertito nella legge n. 114 del 2014 che disciplina i compensi professionali dovuti agli avvocati dalle amministrazioni pubbliche da cui gli stessi dipendono, ha chiarito che gli unici presupposti richiesti dalla norma in esame per la ripartizione dei compensi professionali fra gli avvocati sono l’esito favorevole del giudizio o di altro procedimento nel quale l’avvocato abbia esercitato il patrocinio per l’ente (dovendosi interpretare il termine “sentenza” in modo atecnico come riferito appunto al presupposto sostanziale richiesto dalla norma e consistente nella pronuncia favorevole per l’ente nel quale esita il giudizio o procedimento), la condanna della controparte alle spese, che rappresenta titolo autonomo rispetto alla pronuncia principale e, in ultimo, l’effettivo recupero a carico della controparte dell’importo liquidato dal giudice a titolo di spese legali.
Mentre la misura e le modalità di ripartizione dei compensi sono rimesse ai regolamenti dei singoli enti di riferimento e alla disciplina della contrattazione collettiva, i presupposti di esistenza del diritto sono quelli individuati a monte dalla norma primaria, ovvero:
a) l’esistenza di una pronuncia contenente un capo accessorio relativo alla condanna della controparte alle spese;
b) l’esito della lite favorevole per la P.A. causalmente riconducibile all’attività dell’avvocato dipendente;
c) il recupero effettivo delle spese dalla controparte che vi è tenuta.
Sulla portata sostanziale del termine “sentenza” riportato nel comma 3 dell’art. 9, la Sezione chiarisce che l’effettivo discrimine fra il medesimo comma e il successivo comma 6 primo periodo non risiede nella forma della pronuncia principale quanto, piuttosto, nel provvedimento che statuisce sulle spese e che consiste, nel primo caso, in una condanna che legittima una ripartizione del “riscosso” fra gli avvocati dell’ente e, nel secondo caso, in una compensazione che consente la corresponsione dei compensi ai medesimi avvocati ma nei limiti dello stanziamento previsto (dato che manca un riscosso da recuperare), il quale non può superare il corrispondente stanziamento relativo all’anno 2013.
Con riferimento alla spettanza del compenso agli avvocati dipendenti da enti pubblici nel caso di condanna alle spese con effettivo recupero a carico della controparte, a seguito sia di sentenza sia di altra pronuncia di contenuto favorevole per l’ente, la Sezione ribadisce, in coerenza con l’orientamento della giurisprudenza contabile e l’interpretazione dell’art. 91 del codice di procedura civile fornita dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nella sentenza n. 20957/04, che “la statuizione relativa alla condanna alle spese, inerendo a posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo rispetto a quello in esito al cui esame è stata adottata, ha i connotati della decisione giurisdizionale e l’attitudine al passaggio in giudicato indipendentemente dalle caratteristiche del provvedimento cui accede”. Proprio l’autonomia del rapporto obbligatorio nascente dalla condanna alle spese rispetto al provvedimento principale prova che il compenso è da riconoscersi al dipendente-professionista che ha esercitato lo ius postulandi nel procedimento all’esito del quale è stata disposta la suddetta condanna, indipendentemente dalla natura della pronuncia stessa.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION