Ai fini del riconoscimento del danno da ritardo ex art. 2-bis, comma 1, della l. 7 agosto 1990, n. 241 («Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi»), non è sufficiente il mero superamento del termine procedimentale, ma occorre verificare che il ritardo sia imputabile ad una condotta colposa dell’Amministrazione.
Secondo il Consiglio di Stato, sentenza del 21 gennaio 2022, n. 386, l’art. 2-bis, comma 1 prevede la possibilità di risarcimento del danno da ritardo/inerzia dell’Amministrazione nella conclusione del procedimento amministrativo non già come effetto del ritardo in sé e per sé, bensì per il fatto che la condotta inerte o tardiva dell’Amministrazione sia stata causa di un danno prodottosi nella sfera giuridica del privato; tale danno, del quale quest’ultimo deve fornire la prova sia sull’an che sul quantum, deve essere riconducibile, secondo la verifica del nesso di causalità, al comportamento inerte ovvero all’adozione tardiva del provvedimento conclusivo del procedimento, da parte dell’Amministrazione (cfr. C.d.S., Sez. II, 6 dicembre 2021, n. 8123; 12 aprile 2021, n. 2960; Sez. IV, 1° dicembre 2020, n. 7622).
Il riferimento all’ingiustizia del danno induce a ritenere che anche la fattispecie di responsabilità per la violazione del termine fissato per la conclusione del procedimento sia inquadrabile nel modello aquiliano di cui all’art. 2043 c.c. che, secondo l’indirizzo dominante in giurisprudenza, rappresenta il punto di riferimento fondamentale per la responsabilità civile dell’Amministrazione in tema di danni cagionati dall’illegittima attività amministrativa, siano essi derivanti da illegittimità provvedimentale ovvero dall’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento (come di recente ribadito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 23 aprile 2021, n. 7).
Lo schema della responsabilità extracontrattuale comporta ricadute anche sulla distribuzione dell’onere della prova, con la conseguenza che – ai fini dell’accoglimento della domanda di risarcimento del danno extracontrattuale – incombe sul ricorrente l’onere di dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi tipici della fattispecie di responsabilità, tra cui il nesso di causalità tra illegittimità della condotta e danno, l’elemento soggettivo, nel senso che l’attività illegittima deve essere imputabile all’Amministrazione (all’apparato amministrativo, come viene spesso precisato) a titolo di dolo o colpa, come testualmente confermato nella specie dall’art. 2-bis (il quale postula che il danno derivi dalla “inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”). Accanto agli elementi descritti, la giurisprudenza richiede anche la verifica della spettanza del bene della vita che il privato intende acquisire alla propria sfera giuridica attraverso l’esercizio del potere e l’emanazione del provvedimento amministrativo richiesto, in quanto il bene “tempo”, leso dal ritardo, ha dignità di interesse risarcibile se e nella misura in cui si sia prodotto, per effetto della lesione, un danno ingiusto (Ad. plen., 23 aprile 2021, n. 7, che ha chiarito le conclusioni espresse sul punto da Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5).
Anche nell’ipotesi di inerzia dell’Amministrazione, la risarcibilità del danno derivante dalla violazione del termine per provvedere postula la sussistenza dei presupposti di carattere oggettivo e soggettivo; con l’ulteriore precisazione che la valutazione di questi ultimi (dolo o colpa della P.A.) non può essere fondata soltanto sul dato oggettivo del superamento del termine di conclusione del procedimento amministrativo (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV, 2 gennaio 2019, n. 20), ma occorre quantomeno verificare se il comportamento dell’apparato amministrativo abbia travalicato i canoni della correttezza e della buona Amministrazione, ovvero sia trasmodato in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili.
Autore: La redazione PERK SOLUTION