L’accordo transattivo dovrebbe mirare a recuperare il massimo importo possibile, in quanto deve essere improntato a criteri di stretta economicità (art. 1, l. n. 241/1990 e s.i.m.), con l’effetto che si dovrebbe garantire, (…) il massimo valore ottenibile dall’impiego delle risorse a disposizione, anche attraverso la predisposizione di piani di rateizzazione, così come previsto per altre fattispecie. È quanto ribadito dalla Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, con deliberazione n. 343/2021, in risposta ad un quesito da parte di un comune in merito alla possibilità alla possibilità di accettare un pagamento a titolo transattivo, mediante assolvimento parziale di soggetti terzi rispetto alle posizioni debitorie di una società in stato di liquidazione nei confronti della quale sia stata infruttuosamente esperita la procedura esecutiva con le conseguenze di cui all’art. 164-bis delle disposizioni attuative del c.p.c.
La Sezione, fornisce un quadro generale sull’istituto della transazione, riassumendone i caratteri fondamentali, dal punto di vista dei principi generali di contabilità pubblica secondo i quali un comune gestisce con accordo transattivo partite creditorie a residuo, ne affronta le ricadute finanziarie rispetto ad un possibile realizzo, anche in forma parziale, e ne cura i conseguenti riflessi nelle scritture contabili.
Da un punto di vista civilistico, la transazione (art. 1965 c.c.) è il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro. Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti. Secondo consolidata giurisprudenza, oggetto dell’accordo non è il rapporto o la situazione giuridica cui si riferisce la discorde valutazione delle parti, ma la lite cui questa ha dato luogo o possa dar luogo e che le parti stesse intendono definitivamente risolvere mediante reciproche concessioni (Cfr., ex multis, Cass. 6 maggio 2003 n. 6861; Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 24 febbraio 2015, n. 3598).
Appurato che gli enti pubblici possono transigere le controversie delle quali siano parte, ai sensi dell’art. 1965 del c.c. e seguenti, la Corte ha rilevato come la scelta se proseguire un giudizio o addivenire ad una transazione e la concreta delimitazione dell’oggetto della stessa spetta all’Amministrazione nell’ambito dello svolgimento della ordinaria attività amministrativa e come tutte le scelte discrezionali non è soggetta a sindacato giurisdizionale, se non nei limiti della rispondenza delle stesse a criteri di razionalità, congruità e prudente apprezzamento, ai quali deve ispirarsi l’azione amministrativa. La verifica della legittimità dell’attività amministrativa non può più ormai prescindere da una valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti e spese sostenute, con l’ulteriore effetto che la violazione dei criteri di economicità e di efficacia assume specifico rilievo nel giudizio di responsabilità, considerato che l’antigiuridicità dell’atto amministrativo ed in generale dei comportamenti dei soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti, costituisce presupposto necessario (ancorchè non sufficiente) della “colpevolezza” di colui che lo ha posto in essere. Occorre, pertanto, la massima prudenza da parte dell’ente, nonché una dettagliata motivazione che dia conto del percorso logico seguito per giungere alla definizione transattiva della controversia, anche sulla base di un giudizio prognostico circa l’esito del contenzioso. Da ciò ne deriva che l’intera procedura negoziale transattiva deve essere accompagnata da atti ad evidenza pubblica che rispettino il principio di trasparenza, nel disegno del dettato costituzionale che, all’art. 97, richiede che gli uffici pubblici conformino il loro agire ai principi di “imparzialità e buon andamento”.
Un’adeguata ponderazione dei contenuti degli accordi transattivi, con puntuale valutazione degli interessi in gioco, appartiene, pertanto, all’organo amministrativo al vertice della struttura, in coerenza con le responsabilità di cui al d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Tale responsabilità, salvo che si tratti di importi irrisori, è bene sia condivisa nel procedimento decisorio con l’organo rappresentativo della volontà dell’intero corpo elettorale.
Autore: La redazione PERK SOLUTION