Decreti di riparto dei fondi assegnati agli enti locali – Conferenza Stato-città del 25 marzo 2021

Il ministero dell’Interno, Direzione della Finanza Locale, ha pubblicato sul proprio sito istituzionale il riparto dei fondi attribuiti agli enti locali con i decreti interministeriali sui quali è stata sancita l’intesa nella seduta straordinaria della Conferenza Stato-città ed autonomie locali del 25 marzo scorso. Trattasi del:

1) decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, concernente il riparto del Fondo – con una dotazione di 5 milioni di euro per l’anno 2021, finalizzato all’erogazione di contributi in favore dei Comuni di confine con altri Paesi europei e dei Comuni costieri interessati dalla gestione dei flussi migratori – di cui all’articolo 1, comma 795, della legge 30 dicembre 2020, n.178;

2) decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, recante i criteri e le modalità di riparto, a titolo di acconto, dell’incremento di 220 milioni di euro del fondo per l’esercizio delle funzioni degli Enti locali – di cui all’articolo 106, comma 1, del decreto-legge 19 maggio 2020, n.34 – disposto dall’articolo 1, comma 822, della legge 30 dicembre 2020, n.178;

3) decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, concernente il riparto del trasferimento di 3 milioni di euro per l’anno 2021 ai Comuni delle isole minori, a parziale copertura delle spese per l’acquisto dell’acqua e per l’abbattimento della relativa tariffa, di cui all’articolo 32-quinquies del decreto-legge 28 ottobre 2020, n.137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n.176;

4) decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, concernente il riparto del Fondo, con una dotazione di 4,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023, per l’approvvigionamento idrico dei Comuni delle isole minori con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, di cui all’articolo 1, comma 753, della legge 30 dicembre 2020, n.178;

5) decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, concernente il ristoro ai Comuni delle minori entrate derivanti dalla cancellazione, per l’anno 2020, della seconda rata dell’imposta municipale propria relativa ad immobili e relative pertinenze in cui si esercitano le attività riferite ai codici ATECO di cui agli Allegati 1 e 2 del decreto-legge n.137 del 2020, previsto dagli articoli 9 e 9-bis del decreto-legge 28 ottobre 2020, n.137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n.176;

6) decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, relativo al ristoro ai Comuni delle minori entrate derivanti dall’esonero, dal 1° gennaio 2021 al 31 marzo 2021, dal pagamento dei canoni di cui all’articolo 1, commi 816 e seguenti, e commi 837 e seguenti, della legge 27 dicembre 2019, n.160, previsto dall’articolo 9-ter, comma 6, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n.137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n.176;

7) decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, concernente il riparto dell’incremento per gli anni 2021 e 2022 del fondo per il sostegno agli enti in deficit strutturale di cui all’articolo 53 del decreto-legge n.104 del 2020, disposto dall’articolo 1, comma 775, della legge 30 dicembre 2020, n.178.

Allegati:

1) Riparto fondo 5 mln flussi migratori art. 1 c. 795 L 178/2020
2A) Riparto Comuni acconto esercizio funzioni art. 1 c. 822 L 178/2020
2B) Riparto Province Città Metropolitane acconto esercizio funzioni art. 1 c. 822 L 178/2020
3) Riparto fondo 3 mln isole minori art. 32-quinquies DL 137/2020
4) Riparto fondo 4,5 mln isole minori art. 1 c. 753 L 178/2020
5) Riparto artt. 9 e 9-bis DL 137/2020
6A) Riparto art. 9-ter DL 137/2020 canone unico/pubblici esercizi
6B) Riparto art. 9-ter DL 137/2020 canone unico/titolari concessioni
7) Riparto fondo art. 1 c. 775, L 178/2020

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Verifica di congruità del costo della manodopera di cui all´art. 97, comma 10, del Codice dei contratti pubblici

La verifica del costo della manodopera di cui all’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50 del 2016 mira ad accertare la congruità del valore dichiarato non sulla base dell’affermato rispetto delle garanzie retributive dei lavoratori, ma delle caratteristiche specifiche dell’impresa e dell’offerta, considerando in concreto il numero di lavoratori impiegati per l’esecuzione delle opere previste in contratto, distinti per inquadramento e ore di utilizzo, al fine di determinare il costo orario delle maestranze destinate all’esecuzione dell’appalto e verificare così il rispetto dei parametri salariali di riferimento indicati nelle tabelle ministeriali di cui all’art. 23, comma 16, del d.lgs. n. 50/2016, richiamato dall’art. 97, comma 5, lett. d, del medesimo decreto (disposizione questa a cui fa rinvio l’art. 95, comma 10, ai fini della verifica del costo della manodopera condotta contestualmente o separatamente da una verifica di congruità complessiva dell’offerta).
Come nella verifica di anomalia, devono essere forniti alla Stazione appaltante tutti gli elementi necessari alla ricostruzione del costo della manodopera sopportato dall’impresa per l’esecuzione di quanto proposto con l’offerta prodotta in gara, eventualmente anche non strettamente relativi a tale costo ma utili alla ricostruzione dello stesso.
Tale analisi non può limitarsi semplicemente alla verifica dell’incidenza percentuale del costo complessivo della manodopera sulle singole lavorazioni, confrontandola con quella riscontrabile nell’ambito del mercato di riferimento, ma deve andare a considerare anche le particolarità della singola impresa e della singola offerta al fine di accertare che il costo complessivamente indicato inglobi effettivamente trattamenti salariali non inferiori ai minimi previsti per i singoli lavoratori impiegati.
​​​​​​​Non può pertanto assumere rilevanza il parametro ANCE che, se può costituire un utile riferimento per corroborare le valutazioni di congruità del costo del lavoro, quale canone riferito a dati generali e aggregati (percentuale generale del costo del lavoro per singola tipologia di lavorazione), non può costituire unico fondamento dell’analisi condotta dalla Stazione appaltante. Il documento ANCE è infatti legato alla finalità di contrastare il lavoro sommerso e irregolare e reca indici meramente convenzionali per una verifica ex post della incidenza del costo del lavoro sul valore dell’opera, indici che non possono essere “utilizzati ad altri fini o comunque quali indicatori per i prezzi degli appalti”. È quanto stabilito dal Tar Salerno, sez. I, sentenza 8 aprile 2021, n. 867.

Anticipazione del prezzo dell’appalto anche per i contratti sottosoglia

La portata generale dell’obbligo per le stazioni appaltanti di prevedere l’anticipazione del prezzo risponde alla ratio che sorregge il principio di anticipazione delle somme erogate dall’amministrazione al fine di dare impulso all’iniziativa imprenditoriale, assicurando la disponibilità delle stesse nella delicata fase di avvio dei lavori e di perseguire il pubblico interesse alla corretta e tempestiva esecuzione del contratto. Non avrebbe quindi senso precludere tale facoltà di accesso all’anticipazione per affidamenti di importo inferiore alle soglie comunitarie che spesso vedono protagoniste imprese di dimensione medio piccole e maggiormente tutelate dal Legislatore. Ne consegue che l’art. 35 del D.lgs. 50/2016 debba essere considerato norma di carattere generale che detta disposizioni in ordine alle modalità di calcolo del valore dell’appalto e non una norma specifica relativa ai contratti sopra soglia. È questa la massima della delibera n. 247/2021, con la quale l’ANAC, su segnalazione dell’ANCE, ha sancito l’illegittimità della prassi, perpetrata da una stazione appaltante, operante nei settori speciali, di non corrispondere l’anticipazione del prezzo ex art.35 comma 18 del Codice nei contratti sotto-soglia.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

I chiarimenti ministeriali sull’applicazione del D.lgs. n. 116/2020 in materia di TARI

Con la Circolare prot. n. 37259 del 12 aprile 2021, il Ministero della Transizione ecologica, in condivisione con gli uffici del Ministero delle finanze, fornisce chiarimenti alle problematiche circa l’applicazione della TARI, di cui all’art. 1 commi 639 e 668 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, dopo l’emanazione del D.Lgs. 3 settembre 2020, n. 116. Il documento chiarisce gli aspetti relativi alla riduzione della quota variabile della TARI per le utenze non domestiche, proporzionalmente alle quantità dei rifiuti autonomamente avviati a recupero, rilevando che per le stesse utenze rimane impregiudicato il versamento della TARI relativa alla parte fissa, calcolato sui servizi forniti indivisibili.
Al fine di garantire una ordinata rappresentazione circa l’affidamento al servizio pubblico della raccolta di rifiuti urbani da parte di attività produttive, la Circolare rammenta che l’utente produttore è tenuto a comunicare formalmente all’ente gestore di ambito ottimale, ove costituito ed operante, ovvero al comune di appartenenza la scelta di non avvalersi del servizio pubblico di raccolta. A tal fine viene richiamato il disposto dell’art. 30 comma 5 del D. L. n. 41 del 2020, in base al quale la comunicazione deve essere effettuata entro il 31 maggio di ciascun anno. Limitatamente al 2021, la medesima disposizione prevede che gli atti afferenti alla TARI (la tariffa, il regolamento TARI e la tariffa corrispettiva) debbano essere approvati entro il termine del 30 giugno, sulla base del piano economico finanziario (PEF) del servizio di gestione dei rifiuti. Per gli anni successivi, in assenza di una conferma del termine di approvazione degli atti deliberativi al 30 giugno ovvero di un’apposita modifica normativa relativa al termine di presentazione della comunicazione da parte della utenza non domestica, per consentire ai comuni di gestire in tempo utile le variazioni conseguenti alla scelta del ricorso al mercato da parte delle utenze non domestiche, la relativa comunicazione dovrebbe essere effettuata l’anno precedente a quello in cui la stessa deve produrre i suoi effetti. Tale comunicazione incide, infatti, sulla predisposizione del PEF del servizio pubblico di gestione dei rifiuti urbani, ai fini della determinazione della tariffa TARI e della tariffa corrispettiva.
Per quanto riguarda il periodo temporale di cinque anni, viene evidenziato che lo stesso rappresenta un lasso di tempo congruo per assicurare la stabilità e la continuità del servizio di raccolta da parte dei Comuni. Tale periodo vale non solo nel caso di affidamento ad un soggetto terzo ma anche quando l’utenza non domestica sceglie il servizio pubblico, come espressamente previsto dal comma 10 dell’art. 238 del TUA. È bene precisare che detta indicazione temporale non rileva ai fini dell’affidamento del servizio da parte dell’utenza non domestica che, infatti, potrà, nel corso dei suddetti cinque anni cambiare operatore privato, in relazione all’andamento del mercato. Se invece l’utenza non domestica intende passare dall’operatore privato a quello pubblico prima della scadenza del termine quinquennale, tale scelta è subordinata, come esplicitato nell’ultimo periodo della disposizione appena citata, alla “possibilità per il gestore del servizio pubblico di riprendere l’erogazione del servizio”, poiché deve essere sempre garantito il servizio di raccolta e l’avvio al recupero dei rifiuti urbani prodotti.
Con riferimento alla tassazione delle attività industriali, il D. Lgs. 116/2020 all’articolo 1 comma 10 lett. b), ha modificato l’articolo 184 comma 3 del D. lgs. 152/2006, che definisce “speciali” i rifiuti delle lavorazioni industriali, se diversi dai rifiuti urbani, per cui appare evidente che le attività industriali sono produttive sia di rifiuti urbani che di quelli speciali. Ciò comporta che:
-le superfici dove avviene la lavorazione industriale sono escluse dall’applicazione dei prelievi sui rifiuti, compresi i magazzini di materie prime, di merci e di prodotti finiti, sia con riferimento alla quota fissa che alla quota variabile;
– continuano, invece, ad applicarsi i prelievi sui rifiuti, sia per la quota fissa che variabile, relativamente alle superfici produttive di rifiuti urbani, come ad esempio, mense, uffici o locali funzionalmente connessi alle stesse. Per la tassazione di dette superfici si tiene conto delle disposizioni del D. P. R. n. 158 del 1999, limitatamente alle attività simili per loro natura e per tipologia di rifiuti prodotti a quelle indicate nell’allegato L-quinquies alla Parte IV del D. Lgs. n. 152 del 2006;
– resta dovuta solo la quota fissa laddove l’utenza non domestica scelga di conferire i rifiuti urbani al di fuori del servizio pubblico, poiché il comma 649, ma anche il comma 10 dell’art. 238, come innanzi interpretati, prevedono l’esclusione della sola componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti e cioè della parte variabile.
In ordine alla possibilità di fissazione di una quantità massima di rifiuti urbani conferibili al sistema pubblico, a seguito dell’eliminazione della potestà comunale di assimilazione, si ribadisce che il D. Lgs. n. 116 del 2020 ha eliminato la competenza dei comuni in materia di regolamentazione sull’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, facendo venir meno, a decorrere dal 1° gennaio 2021, anche i limiti quantitativi già stabiliti dai regolamenti comunali. È stato evidenziato che potrebbe verificarsi un aumento incontrollato delle quantità di rifiuti urbani rispetto a quelle attuali, rendendo difficile lo svolgimento del servizio; per cui è stata manifestata l’esigenza di fissare dei limiti di conferimento dei rifiuti urbani da parte delle utenze non domestiche che tengano conto della capacità di assorbimento del sistema. In proposito, bisogna osservare che tale possibilità è esclusa dalle disposizioni unionali, recepite puntualmente nell’ordinamento interno. In ogni caso, i comuni sono tenuti ad assicurare la gestione dei rifiuti urbani, compreso lo smaltimento in regime di privativa, ove l’utenza non domestica scelga di avvalersi del servizio pubblico. È quindi con i contratti di servizio che verranno fissati i parametri tecnici ed economici per l’efficiente gestione dei rifiuti urbani da parte dei soggetti affidatari. In questa direzione devono concepirsi accordi o convenzioni con sistemi di responsabilità estesa del produttore (EPR), su cui grava l’onere di gestione del fine vita dei propri prodotti immessi sul mercato nazionale, al fine di potenziare la capacità di gestione di tutte le quantità prodotte. L’Ente di governo d’ambito territoriale ottimale, laddove costituito ed operante, ovvero i comuni, dunque, nell’ambito delle proprie competenze, sono tenuti a disciplinare le modalità organizzative delle operazioni di raccolta, cernita ed avvio al trattamento, cui i produttori devono adeguarsi.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION