La Corte dei conti, Sez. Emilia-Romagna, deliberazione n. 32/2021/QMIG, ha sospeso la pronuncia e sottoposto al Presidente della Corte dei conti la valutazione dell’opportunità di deferire alla Sezione delle Autonomie, ai sensi dell’art. 6, comma 4, del DL 10 ottobre 2012, n. 174, o alle Sezioni riunite, ai sensi dell’art. 17, comma 31, del DL n. 78 del 2009, la questione di massima in ordine alla problematica concernente la possibilità, per il Comune, di operare la rinegoziazione dei contratti (attivi) di locazione, in base ai principi del codice civile, valevoli in generale anche per le Pubbliche Amministrazioni, stipulati con imprese private. In particolare, l’Ente istante ha chiesto di conoscere se sia possibile rinegoziare su richiesta i contratti di locazione di diritto privato stipulati con le imprese esercenti le attività di somministrazione alimenti e bevande, commerciali e artigianali, ai sensi dell’art. 1467, comma 3, del c.c., nei confronti dei quali le misure di restrizione delle attività economiche, poste in essere dalle Pubbliche Autorità, nazionale e regionale, per ridurre la diffusione della pandemia in corso, hanno indubbiamente cagionato un serio pregiudizio alle attività medesime.
La Sezione evidenzia che l’attività negoziale della P.A., intesa come l’insieme di atti e comportamenti preordinati, direttamente o indirettamente, al perseguimento di un fine pubblico, è espressione dell’autonomia privata della stessa che trova il proprio fondamento nella libertà di iniziativa garantita, costituzionalmente e legislativamente, a tutte le persone giuridiche, e, dunque, anche agli enti pubblici titolari sia di poteri autoritativi che della capacità di agire in base alle regole del diritto comune. Ovviamente, la Pubblica Amministrazione, nell’esercitare la sua riconosciuta capacità di diritto privato, deve rispettare il cd. “vincolo di funzionalizzazione” al perseguimento di pubblici interessi. La P.A., anche quando agisce iure privatorum, non è libera nella scelta dei fini da perseguire, ma è sempre vincolata al perseguimento del pubblico interesse. La rinuncia anche in parte, derivante dall’espressione della facoltà di rinegoziazione del contratto, da parte dell’amministrazione locatrice ai crediti (certi, liquidi ed esigibili) derivanti dai contratti di locazione stipulati, lungi dal potersi inquadrare nell’alveo degli “aiuti/contributi/sovvenzioni”, si pone in contrasto anche con l’indirizzo consolidato della giurisprudenza contabile secondo cui in generale non sono percorribili modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento, salvo che per le transazioni (ex multis, Corte dei conti, Sez. contr. Piemonte, delib. n. 20/2012/SRCPIE/PAR), le quali consentono all’ente pubblico creditore di ottenere, in cambio, un vantaggio economico immediato. Configurando nella sostanza una remissione del debito, essa confliggerebbe quindi con l’orientamento secondo cui non soltanto è illecito rinunciare ai canoni di locazione ma finanche ridurli, fuori dai casi specificamente consentiti dalla legge, benché in favore di altre pubbliche amministrazioni. Ovviamente quanto detto non esclude che le parti possano liberamente concordare, in ragione degli effetti della sospensione dell’attività sul fatturato dell’impresa, sospensioni, riduzioni o posticipazioni del pagamento del canone, rinegoziando modalità e termini dell’adempimento, attraverso un nuovo contratto. A fronte della coesistenza di un obbligo civilistico e di un divieto di natura pubblicistica, la risoluzione del quesito lascia aperte due opzioni: se esista un obbligo di tenere fermi i contratti stipulati, ovvero se invece esso receda di fronte a un generale obbligo di rinegoziazione dei contratti, affermato di recente dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 56 dell’8 luglio 2020), come espressione del principio di buona fede. La Cassazione ha evidenziato che è possibile, nei contratti a lunga durata, ipotizzare una clausola di rinegoziazione “in virtù della quale il dato obsoleto o non più funzionale possa essere sostituito dal dato aggiornato e opportuno. Il presupposto fondamentale da considerare è la sussistenza di “fatti sopravvenuti”, idonei a modificare l’originario equilibrio ogni qualvolta una sopravvenienza rovesci il terreno fattuale e l’assetto giuridico-economico, su cui si è eretta la pattuizione negoziale. Quindi, la “parte danneggiata”, cioè la parte vulnerata dalle “sopravvenienze” può chiedere la rinegoziazione e può farlo invocando il principio di equità, quale cardine primario del sistema dei contratti, che obbligherebbe i contraenti a riscrivere il contratto, previa rinegoziazione.
Di qui, la remissione alla Sezione Autonomie per la soluzione del parere.
Autore: La redazione PERK SOLUTION