Legittima l’acquisizione di una partecipazione nella società immobiliare, anche mista, con attività di valorizzazione del patrimonio pubblico

La Corte dei conti, Sez. Emilia-Romagna, con Deliberazione n. 1/2021, ha chiarito che il Comune, nel rispetto dei peculiari vincoli previsti dal TUSP, possa acquisire una partecipazione in una società già costituita, pur se minoritaria, in parte maggioritaria di proprietà di privati, al fine esclusivo di ottimizzazione e di valorizzazione del patrimonio coincidente con l’oggetto sociale esclusivo della società della quale l’amministrazione acquisisce la partecipazione. Se la valorizzazione, tramite il conferimento di un immobile a scopo di investimento secondo criteri di un qualsiasi operatore di mercato, rappresenta uno scopo diverso dall’erogazione di un servizio di interesse generale e, come tale, legittima la deroga – espressa dal comma 3 dell’art. 4 al comma 1 del TUSP – alla stretta inerenza dell’oggetto sociale al perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente pubblico, il principio della capacità di incidere, tramite strumenti negoziali all’uopo previsti dall’ordinamento, sulle scelte della società a partecipazione pubblica minoritaria, può consentire all’ente pubblico di perseguire l’oggetto sociale esclusivo della società prevista dal comma 3 dell’art. 4, consistente nella ottimizzazione e valorizzazione dell’utilizzo di beni immobili del patrimonio pubblico.
I giudici contabili ricordano che la valorizzazione del patrimonio pubblico, consistente nell’adozione di tutte quelle iniziative utili a incrementare il valore degli immobili (cambio di destinazione d’uso, riqualificazione, regolarizzazione edilizia e urbanistica, etc.) costituisce parte integrante della strategia economica e di bilancio di un ente pubblico giacché, oltre agli effetti di finanza pubblica derivanti dal recupero della spesa e dalla riduzione del debito, essa produce effetti rilevanti anche in termini di efficienza nella gestione degli stessi asset proprietari e di sviluppo economico, sociale e culturale dei territori. Il comma 3 dell’art. 4 del TUSP prevede che le Amministrazioni possano acquisire la partecipazione in una società attraverso “il conferimento di beni immobili”, al solo fine di “ottimizzare e valorizzare l’utilizzo di beni immobili facenti parte del proprio patrimonio” e con lo scopo di “realizzare un investimento secondo criteri propri di un qualsiasi operatore di mercato”. A mitigazione della deroga al vincolo di scopo stabilito dal comma 1, è precisato che il conferimento patrimoniale può essere realizzato solo a favore di società che hanno come “oggetto sociale esclusivo la valorizzazione del patrimonio delle amministrazioni stesse”. La norma, di vasta portata interpretativa e in controtendenza rispetto alla generale impostazione del TUSP limitativa del ricorso allo strumento societario, si presta a trovare ampia applicazione a fattispecie societarie aventi quale scopo sociale esclusivo la valorizzazione del patrimonio pubblico, innestandosi su un panorama legislativo già ricco di norme dedicate a speciali procedure di valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico (si pensi a titolo esemplificativo alle società appositamente selezionate tramite procedura a evidenza pubblica per la gestione di fondi immobiliari, cui, sulla base di progetti di utilizzo o di valorizzazione approvati con delibera dell’organo di governo dell’ente pubblico, sono conferiti immobili pubblici a fronte dell’emissione di quote del medesimo fondo che dovrebbero essere collocate sul mercato). Data la formulazione ad ampio raggio, la norma si presta pertanto a trovare applicazione anche a società già costituite e aventi quale scopo esclusivo la medesima valorizzazione del patrimonio pubblico (patrimonio al quale appartiene una pineta in parte di proprietà pubblica). L’acquisizione della suddetta partecipazione – come dispone espressamente la norma – può avvenire anche in deroga al comma 1 e quindi in deroga alla stretta inerenza alla missione istituzionale e ciononostante, o proprio in ragione di detta deroga, deve essere pienamente aderente alle restanti previsioni di cui agli artt. 4 e 5 del TUSP, dovendo essere specificamente e analiticamente motivata l’indispensabilità dell’acquisizione della partecipazione ai fini dell’ottimizzazione e valorizzazione dell’utilizzo di beni immobili facenti parte del patrimonio dell’amministrazione. La Pubblica Amministrazione dovrà dare conto, infatti, ai sensi dell’art. 5 del TUSP dello scopo perseguito dalla società cui intende partecipare e motivare l’effettiva connessione fra lo scopo societario e le finalità di valorizzazione del proprio patrimonio, evidenziando altresì le ragioni e le finalità che giustificano la scelta, anche sul piano della convenienza e della sostenibilità finanziaria.
Quanto alla configurabilità della società di cui all’art. 4 comma 3 del TUSP come società mista pubblico-privata, a parere del Collegio la stessa risulta possibile dalla lettura di tale articolo in combinato disposto con l’art. 17 del TUSP. Tuttavia, occorre distinguere l’ipotesi in cui l’ente pubblico intenda costituire ex novo una società mista da quella in cui il medesimo ente decida di acquisire una partecipazione in una società privata già costituita. Nel primo caso (costituzione di una società mista cui partecipano soggetto pubblico e privato), è richiesta l’indizione di una procedura di gara volta, oltre che alla scelta del socio, all’affidamento diretto del servizio alla istituenda società mista e che si connota quale gara a doppio oggetto. La procedura a evidenza pubblica è funzionale in tal caso alla scelta del socio più qualificato, nel rispetto dei principi di imparzialità, buona amministrazione e libera concorrenza. Nel caso in cui l’ente pubblico decida invece di acquisire una partecipazione in una società privata già operativa, sussiste in capo all’amministrazione l’obbligo di motivazione analitica ed evidenza delle ragioni di pubblico interesse sottese alla propria determinazione, dovendosi in ogni caso negare la possibilità di eventuali affidamenti diretti a favore della società già costituita di cui l’ente pubblico abbia acquisito la partecipazione, poiché tali affidamenti integrerebbero un’elusione delle procedure di evidenza pubblica per l’individuazione del contraente.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

 

Superbonus per gli interventi su immobili di proprietà di un consorzio di Comuni adibiti a ERP

Con la risposta n. 162, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che il Superbonus spetti anche con riferimento agli interventi agevolabili realizzati su immobili, adibiti ad edilizia residenziale pubblica, di proprietà di un Consorzio di Comuni. Ciò in quanto, trattandosi di una particolare forma associativa per la gestione di uno o più servizi nonché per l’esercizio associato di funzioni tra i Comuni costituenti il Consorzio, non assume rilievo, ai fini dell’applicazione della norma agevolativa, la circostanza che sia stato costituito un Consorzio di Comuni. Nel caso di specie, l’istante rappresenta di essere un ente pubblico di servizio, non economico, ausiliario della Regione, dotato di autonomia organizzativa, patrimoniale, amministrativa e contabile, che attua e gestisce il patrimonio di edilizia sociale ed esercita le funzioni attribuite dalla legge regionale. L’Ente regionale fa presente che svolge le attività tipiche degli ex Istituti Autonomi Case Popolari (IACP) in quanto, come risulta da statuto, esercita le funzioni e svolge le competenze attribuite alle ATC (o agli ex Istituti Autonomi delle Case Popolari) dalla legislazione nazionale e regionale di settore nell’ambito territoriale definito dalla legge regionale o al di fuori di tale ambito ove previsto dalla normativa regionale. Inoltre, lo stesso gestisce, tra l’altro, immobili adibiti ad edilizia residenziale pubblica di proprietà di un consorzio di Comuni, sui quali intenderebbe eseguire interventi di efficientamento energetico e di miglioramento sismico.
L’Agenzia evidenzia che in questo caso l’Ente, svolgendo le attività tipiche degli ex Iacp, rientra tra i soggetti destinatari del Superbonus (articolo 119, comma 9, lett. c) del decreto “Rilancio”). Pertanto, atteso che il Consorzio è costituito dai Comuni soci, proprietari degli immobili, che detengono in via esclusiva le quote di partecipazione all’interno del Consorzio stesso, è possibile usufruire del Superbonus. In tal caso, l’Istante potrà, altresì esercitare, in alternativa alla fruizione diretta del Superbonus, l’opzione per lo sconto in fattura o per la cessione del credito corrispondente alla detrazione spettante, ai sensi dell’articolo 121 del decreto Rilancio.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Illuminazione pubblica, IVA al 10% per gli interventi di riqualificazione energetica extra canone

L’Agenzia delle entrate, con la risposta n. 144 del 3 marzo 2021, ha fornito chiarimenti in merito al corretto trattamento contabile sugli interventi di riqualificazione energetica, manutenzione straordinaria, adeguamento normativo e tecnologico, nell’ambito di una convenzione con la PA. Nel caso di specie, la Società istante, avente ad oggetto sociale il concorso ad appalti (sia pubblici che privati) relativi alla gestione integrata del servizio di pubblica illuminazione e connessi interventi di efficientamento energetico, ha ricevuto in conferimento da altra Società (Beta) un complesso aziendale operativo nell’erogazione del servizio di pubblica illuminazione. Il ramo aziendale di conferimento comprende, tra l’altro, diversi contratti che la medesima Società Beta aveva concluso con le Pubbliche Amministrazioni. Il servizio luce obbliga la società a fornire, oltre alle attività di acquisto di energia elettrica, l’esercizio e la manutenzione degli impianti e gli interventi di adeguamento normativo, tecnologico e di riqualificazione energetica, il tutto nella misura richiesta dalle P.A. L’esecuzione degli interventi (diversi dalla manutenzione ordinaria), non prevista dal canone è remunerata da parte delle PA con un compenso extra canone. L’istante intende conoscere il parere dell’Agenzia in merito all’applicazione dell’aliquota IVA del 10 per cento, prevista dall’art. 16, comma 2, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, ai predetti interventi, previsti negli accordi vigenti con PA.
L’Agenzia evidenzia che per le operazioni di riqualificazione energetica non è prevista una particolare disposizione in merito alla aliquota IVA applicabile. Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi poste in essere per la loro realizzazione, pertanto, sono assoggettate all’imposta sul valore aggiunto in base alle aliquote previste per gli interventi di recupero del patrimonio immobiliare in cui gli stessi si sostanziano, ovvero (per quanto qui interessa) per gli interventi di recupero realizzati sulle opere di urbanizzazione primaria ai sensi dell’art. 3, comma 11, del D.L. n. 90 del 1990. Ne consegue che, per individuare l’aliquota IVA in concreto applicabile, si rende necessario tener conto di come l’intervento di riqualificazione energetica sia qualificabile sotto il profilo edilizio (cfr. circ. n. 36/E del 31 maggio 2007, par. 9), facendo riferimento alla classificazione di cui al sopra citato art. 3 del Testo Unico dell’Edilizia. L’Agenzia ritiene che gli interventi di riqualificazione energetica descritti nell’istanza di interpello e nella documentazione prodotta non siano ammessi a fruire dell’aliquota agevolata del 10% prevista dal combinato disposto dei n. 127-quinquies e n. 127-quaterdecies della Tabella A, parte III, allegata al decreto IVA e dell’art. 3, comma 11, del D.L. n. 90 del 1990, laddove non si sostanzino in un “insieme sistematico di opere”.
Con riferimento agli interventi di manutenzione straordinaria (consistente, a detta dell’istante, nell’installazione di un nuovo impianto di illuminazione precedentemente non esistente in quanto realizzato in zone sprovviste di luce pubblica, nell’installazione per motivi di sicurezza di un nuovo impianto ad integrale sostituzione di quello preesistente, totalmente logorato e non idoneo a illuminare nel rispetto delle normative, o negli interventi di ampliamento o di potenziamento di impianti esistenti), l’Agenzia rileva che è da ritenersi agevolabile anche un intervento di completamento di una preesistente opera di urbanizzazione primaria, purché tale intervento non si traduca in un semplice miglioramento o modifica dell’opera stessa. Pertanto, tali interventi sono ammessi a fruire dell’aliquota Iva ridotta, nel caso in cui si concretizzino effettivamente nella realizzazione ex novo di un nuovo tratto di rete elettrica comunale, anche se parziale, nell’ampliamento dell’impianto preesistente o nel completamento del medesimo mediante l’installazione di nuovi punti luce.
Il trattamento IVA agevolato è applicabile a condizione che i medesimi interventi siano distintamente individuati nell’ambito del contratto di appalto stipulato con le Pa interessate, sia in relazione alla tipologia di intervento da realizzare sia in relazione al corrispettivo specificamente pattuito. Restano invece esclusi da tale trattamento agevolato gli interventi di semplice sistemazione, miglioria o riparazione della rete, nonché gli interventi di mera sostituzione di apparecchi di illuminazione per il risparmio energetico.
Per quanto riguarda gli interventi di adeguamento normativo e tecnologico, in mancanza di disposizioni che prevedano espressamente l’applicazione dell’aliquota IVA agevolata, l’Agenzia ritiene che gli interventi possano fruire dell’aliquota Iva al 10% soltanto se presentino, in concreto, le caratteristiche degli interventi di “manutenzione straordinaria” agevolabili (i.e., realizzazione ex novo, ancorché parziale, di un nuovo tratto di rete elettrica, completa sostituzione dell’impianto preesistente o anche ampliamento della rete elettrica). Sconteranno l’aliquota Iva ordinaria, invece, gli interventi che si sostanzino in un semplice adeguamento della rete elettrica o si esauriscano in un intervento di “riqualificazione energetica” che, come già chiarito, non sia realizzato tramite l’effettuazione di un “insieme sistematico di opere”.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Divieto di rinnovo tacito delle concessioni pubbliche

Il Tar Napoli, sez. IV, con sentenza 2 marzo 2021, n. 1398, ha chiarito che la possibilità di attribuire a terzi la disponibilità di beni di proprietà pubblica, assoggettati allo svolgimento di un servizio pubblico, e, quindi, facenti parte del patrimonio indisponibile dell’ente pubblico, è tradizionalmente rimessa allo strumento concessorio, tipico provvedimento ampliativo di diritto pubblico (v. in tal senso, Cass. civ., SS.UU., n. 5487 del 2014).
La concessione di beni pubblici è istituto in cui è immanente l’interesse dell’amministrazione a un corretto utilizzo del bene affidato in uso speciale al privato concessionario di talché il contratto che regola il rapporto si rivela essere dipendente logicamente e giuridicamente dal provvedimento con cui si estrinseca il potere di affidamento dell’uso del bene. A tale schema, peraltro, corrisponde la persistenza, anche nella fase esecutiva del rapporto, di poteri di supremazia dell’amministrazione (Cons. Stato, sez. V, 17 dicembre 2020, n. 8100).
Il Tar ha ancora ricordato che nell’ambito delle concessioni di beni pubblici, non è ipotizzabile il rinnovo tacito in quanto non è possibile desumere la volontà della P.A. per implicito e, quindi, al di fuori del procedimento prescritto dalla legge per la sua formazione e senza le forme prescritte a tal fine.
​​​​​​​Il principio del divieto di rinnovo dei contratti pubblici scaduti, pur previsto espressamente con riferimento al settore degli appalti, si estende anche al settore delle concessioni dei beni pubblici in quanto esso deriva dall’applicazione della regola, di matrice comunitaria, per cui i beni pubblici contendibili non devono poter essere sottratti per un tempo eccessivo e senza gara al mercato e, quindi, alla possibilità degli operatori economici di ottenerne l’affidamento.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Funzione Pubblica, nuovi pareri in materia di pubblico impiego

Il Dipartimento della Funzione Pubblica ha pubblicato sul proprio sito istituzionale i pareri resi in materia di pubblico impiego, come di seguito riportati:

Monetizzazione ferie non godute solo in casi limitati
La ratio dall’articolo 5, comma 8, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 è tesa ad escludere dalla portata applicativa del divieto di pagamento di trattamenti economici sostitutivi solo quelle cause estintive del rapporto di lavoro indipendenti sia dalla volontà del dipendente che dalla capacità organizzativa del datore di lavoro.

Limiti alla fruizione del congedo parentale ad ore
La fruizione del congedo parentale ad ore è incompatibile con quella di altri permessi o riposi disciplinati dal T.U. sulla maternità e paternità. Il congedo è, invece, compatibile con permessi o riposi disciplinati da altre fonti, quando vengono fruiti in modalità oraria.

Limiti all’ammissibilità dei rimborsi spese nell’ambito di incarichi conferiti a soggetti in quiescenza
I rimborsi spese a soggetti in quiescenza per l’adempimento di un incarico gratuito devono essere corrisposti nei limiti fissati dall’organo competente dell’amministrazione interessata ed essere adeguatamente rendicontati. Per le spese relative allo spostamento del soggetto incaricato dal domicilio alla sede dell’ente, l’amministrazione deve valutarne l’ammissibilità ed i limiti, anche in relazione alla frequenza degli spostamenti, alla distanza percorsa e alla possibilità di usufruire di mezzi di trasporto pubblico.
Sono ammesse spese per l’espletamento di missioni autorizzate dall’ente purché strettamente connesse allo svolgimento dell’incarico.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION