Garante privacy, sanzione al Comune per la violazione della disciplina in materia di protezione dei dati personali

Il Garante della protezione dei dati persoli, con ordinanza-ingiunzione del 15 gennaio scorso, ha comminato una sanzione amministrativa pecuniaria, pari ad euro 10.000,00, per violazione della disciplina in materia di protezione dei dati personali. Nel caso di specie, è emerso che sul sito web istituzionale del Comune, nella sezione dedicata all’Albo pretorio, era visibile e liberamente scaricabile la determinazione dirigenziale con la quale veniva disposta la liquidazione delle spese legali per un procedimento giudiziario in cui era stato parte il Comune medesimo; nello stesso atto risultavano riportati anche dati e informazioni personali del reclamante, con dettagliati riferimenti alle relative infermità per cause di servizio, come l’indicazione che lo stesso aveva «diritto all’equo indennizzo per XX». Dalle verifiche compiute sulla base degli elementi acquisiti, anche attraverso la documentazione inviata dal Comune, e dei fatti emersi a seguito dell’attività istruttoria, nonché delle successive valutazioni, l’Ufficio del Garante ha accertato che il Comune con la pubblicazione integrale sito web istituzionale della suddetta determinazione, nella sezione dedicata all’Albo pretorio, abbia effettuato un trattamento non conforme alla disciplina rilevante in materia di protezione dei dati personali.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Rimessa alla Sezione Autonomie l’interpretazione della norma sui vincoli assunzionali dell’Unione

La Corte dei conti, Sez. Lombardia, con Deliberazione n. 4 del 22.01.2021, ha rimesso alla Sezione delle Autonomie la valutazione su una richiesta di parere in merito alle modalità calcolo dello spazio assunzionale dell’Unione, ai sensi dell’art. 33, comma 2, del D.L. 34/2019, nel testo risultante dalla legge di conversione 28 giugno 2019 n 58, e smi, e del relativo decreto attuativo interministeriale del 17 marzo 2020.
I due enti istanti, riferiscono di aver costituito una Unione, avente natura non obbligatoria, alla quale hanno trasferito tutto il personale dei comuni, sicché la relativa spesa è interamente stanziata nel bilancio dell’Unione (con l’unica eccezione della spesa per il segretario comunale, tuttora stanziata nel bilancio dell’ente capofila). Permangono, invece, in capo ai singoli comuni alcune funzioni, non trasferite all’Unione, svolte con personale comandato dall’Unione, a fronte dei necessari trasferimenti economici dai comuni in favore dell’Unione. Inoltre, al bilancio dell’Unione non afferiscono tutte le entrate dei comuni, ma solo quelle generate dalle funzioni e dai servizi svolti in via associata. A fronte di ciò gli enti chiedono di conoscere se la ratio sottesa alla nuova disciplina sulle facoltà assunzionali (rappresentata dalla sostenibilità finanziaria della relativa spesa) e il  principio del c.d. “cumulo” (eccezionalmente applicabile, in alternativa al meccanismo del c.d. “ribaltamento”, alle ipotesi di Unioni di comuni non obbligatorie alle quali sia stato trasferito tutto il personale degli enti che vi partecipino) consentano di considerare, nel calcolo dello spazio assunzionale dell’Unione, le entrate correnti consolidate del gruppo “Unione – Comune di Almé – Comune di Villa d’Almè”, al netto delle partite infra-gruppo e di assumere, quale fascia demografica di riferimento, quella corrispondente alla somma della popolazione dei due comuni costituenti l’Unione. Il legittimo dubbio degli enti è rappresentato dal fatto che la diversa modalità di calcolo, che rapportasse il 100% della spesa di personale con le sole entrate correnti dell’Unione, condurrebbe ad individuare un valore soglia di gran lunga inferiore a quello della spesa sostenibile, in ragione delle entrate derivanti dalle funzioni complessivamente svolte da quel personale (funzioni associate e non associate).
Secondo la Sezione, la soluzione prospettata dagli enti istanti non può rappresentare un utile correttivo, per un duplice ordine di considerazioni: 1) nell’ipotesi di calcolo prospettata dagli enti istanti, si dovrebbero considerare e “consolidare” entrate correnti provenienti da bilanci diversi; 2) la soluzione prospettata nel quesito condurrebbe all’inammissibile superamento del fondamentale principio di invarianza spesa di personale, consentendo all’Unione margini di spesa per il personale più ampi di quelli derivanti dalla somma degli spazi di pertinenza dei singoli comuni che fanno parte dell’Unione. Ad avviso della Corte, i profondi mutamenti intervenuti nel quadro delle regole dei vincoli alle assunzioni impongano il ricorso al generale criterio del c.d. “ribaltamento” pro quota delle spese dall’Unione ai comuni, che dunque deve necessariamente trovare applicazione anche per le Unioni alle quali sia stato trasferito tutto il personale dei comuni. In sostanza, le entrate correnti dell’Unione afferenti alle funzioni svolte in via associata dovranno essere considerate al netto delle somme trasferite dai singoli comuni per il personale comandato dall’Unione e destinato allo svolgimento delle funzioni non trasferite all’Unione e trattenute dai singoli comuni. Diversamente, tali somme sarebbero computate due volte: prima come entrate dei singoli comuni e poi come entrate dell’Unione. La verifica secondo il meccanismo del c.d. “ribaltamento” consentirebbe, inoltre, di riferire la capacità di spesa per assunzioni di personale alla fascia demografica corrispondente a quella di ciascun comune aderente all’Unione, prevenendo il rischio di indebita dilatazione del relativo volume, legato al meccanismo di cumulo (rectius, consolidamento) ipotizzato dagli enti istanti.
Stante la rilevanza delle questioni sottese all’esame dei quesiti posti e la necessità di prevenire possibili contrasti interpretativi sulla materia, La Corte ha ritenuto opportuno sollecitare la funzione di orientamento della Sezione delle Autonomie, nell’esercizio della funzione nomofilattica prevista dall’art. 6, comma 4, del D.L. 174/2012.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Incarico di revisore dei conti a dipendente pubblico

La valutazione dei presupposti ai fini dell’autorizzazione all’incarico di revisore ad un dipendente pubblico è rimessa all’ente locale – datore di lavoro, ove non vi sia conflitto di interessi con l’ente presso il quale si è dipendente ed al di fuori dell’orario di servizio. È questa, in sintesi, la risposta fornita dal Ministero dell’Interno ad una richiesta di parere in merito alla possibilità di un dipendente pubblico di svolgere l’incarico di revisore dei conti presso altra amministrazione pubblica. Il Ministero ricorda che l’art. 53, del D.Lgs. n. 165/2001, tenuto conto dei principi costituzionali di cui agli artt. 97 e 98 della Cost., disciplina la materia delle incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi secondo cui, in generale, i lavoratori dipendenti delle PA con rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato non possono intrattenere altri rapporti di lavoro dipendente o autonomo o esercitare attività imprenditoriali. Accanto al regime dell’incompatibilità assoluta opera il regime dell’autorizzazione, quando si verificano le ipotesi, in presenza delle quali la legge ammette lo svolgimento contestuale di attività lavorative, che si accompagnano a quella alle dipendenze di un’amministrazione pubblica. Non si può, dunque, affermare che esista un diritto del dipendente pubblico ad assumere incarichi esterni conferiti da altri soggetti, pubblici o privati che siano. Al contrario, esiste una volontà generale del legislatore di escludere la sussistenza di un tale diritto. È per questa ragione che è necessaria l’autorizzazione preventiva allo svolgimento di attività a beneficio di terzi. Tali disposizioni normative, inoltre, vanno lette in combinato disposto con l’art. 236 del TUEL, il quale disciplina i casi di incompatibilità e ineleggibilità all’incarico di revisore dei conti. Le ipotesi di incompatibilità sono tipiche e nominate dal legislatore e, pertanto, non possono essere derogate né estese per analogia ad altri casi che non siano quelli espressamente previsti dal legislatore medesimo. Ne consegue che un esame di eventuali ipotesi di cui trattasi deve essere effettuato in chiave di stretta interpretazione. In definitiva, con riferimento al caso di specie, risulta fondamentale l’autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza, per la valutazione delle incompatibilità ex legis e per eventuali conflitti di interesse del caso concreto, ai sensi della legge n.190 del 2012 e con il decreto legislativo n. 39 del 2013. Per ulteriori chiarimenti, il Ministero dell’interno rimanda al Dipartimento della Funzione Pubblica l’eventuale approfondimento sul tema.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Le modalità di affidamento dell’incarico professionale non mutano in ragione dell’importo

Con riferimento alle procedure di conferimento degli incarichi e alle forme di pubblicità non risulta conforme al dettato normativo la previsione del regolamento comunale, volta ad individuare due procedure differenziate a seconda dell’importo dell’incarico. A differenza di quanto avviene per gli appalti pubblici, infatti, le modalità di affidamento dell’incarico professionale non mutano in ragione dell’importo dell’incarico da conferire, ma devono essere sempre conformi alle regole di pubblicità, trasparenza e parità di trattamento nell’assegnazione dell’incarico. Ne deriva che qualunque incarico, a prescindere dal suo importo, può essere conferito solo dopo una procedura pubblica comparativa, caratterizzata da trasparenza e pubblicità e, dunque, instaurata a seguito di un’adeguata pubblicizzazione dell’avviso relativo. Per tali ragioni è da escludere che, con riferimento agli incarichi di importo più contenuto, il comune possa limitarsi, in assenza di alcun riferimento alla doverosa pubblicizzazione della selezione ed alla garanzia della parità di accesso degli interessati, a ricorrere ad “apposita selezione comparativa”. Sono alcuni dei rilievi mossi dalla Corte dei conti, Sez. Lombardia, Deliberazione n. 3 del 21.01.2021, nell’espletamento delle funzioni di controllo sul Regolamento per la disciplina degli incarichi ad esperti esterni di un Comune.
La Sezione rammenta che, ai sensi del comma 6 dell’art. del D.Lgs. 165/2001, i presupposti necessari per poter conferire incarichi individuali con contratto di lavoro autonomo da parte delle PA riguardano:
a) l’oggetto della prestazione, che deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione conferente;
b) l’impossibilità oggettiva, preliminarmente accertata, di utilizzare le risorse umane disponibili all’interno dell’amministrazione;
c) la natura temporanea e altamente qualificata della prestazione (è possibile prescindere dal requisito della comprovata specializzazione universitaria solo nei casi espressamente previsti dalla normativa); l’eventuale proroga dell’incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell’incarico;
d) la preventiva determinazione della durata, dell’oggetto e del compenso della collaborazione;
e) il ricorso a procedure comparative, adeguatamente pubblicizzate;
f) la valutazione dell’organo di revisione per gli enti locali con popolazione superiore ai 5.000 abitanti.
Le deroghe al principio concorsuale hanno carattere eccezionale e sono sostanzialmente riconducibili a circostanze del tutto particolari quali “procedura concorsuale andata deserta, unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale.
Quanto agli adempimenti relativi alla pubblicità degli incarichi esterni, la Sezione, nel richiamare quanto previsto dall’art. 15 del d.lgs. n. 33/2013 in merito alla individuazione delle informazioni che devono essere pubblicate e costantemente aggiornate, evidenzia la necessità del rispetto della tempistica prevista dall’art. 15, comma 4, del d.lgs. 33/2013, secondo cui “Le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui ai commi 1 e 2 entro tre mesi dal conferimento dell’incarico e per i tre anni successivi alla cessazione dell’incarico”.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Obbligatorio l’accontamento in bilancio per gli arretrati contrattuali

La Corte dei conti, Sezione Liguria, con deliberazione n. 10/2021, richiamando, il proprio precedente orientamento espresso con deliberazione n. 11/2020, ha ribadito che sebbene il principio contabile, paragrafo 5.2, lett. a), Allegato 4/2 al D. Lgs. 118/2011 auspichi, e non obblighi, gli accantonamenti annuali nelle more della firma del CCNL, l’accantonamento della somma in parola risponde, comunque sia, ad un criterio di sana gestione che l’ente deve seguire. Infatti, il concetto di accantonamento costituisce una riserva contabile funzionalizzata (perché connotata da specifico vincolo di destinazione) che preserva dall’attingimento le restanti poste del bilancio di previsione, evitando che la relativa spesa possa astrattamente gravare anche sugli esercizi successivi. L’obbligatorietà dell’accantonamento è ritraibile dal D. Lgs. 165/2001, art. 48, comma 2, primo periodo (“…gli oneri derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale sono determinati a carico dei rispettivi bilanci nel rispetto dell’art. 40, comma 3-quinquies”), e comma 4, secondo periodo (“per le amministrazioni diverse dalle amministrazioni dello Stato e per gli altri enti cui si applica il presente decreto, l’autorizzazione di spesa relativa al rinnovo dei contratti collettivi è disposta nelle stesse forme con cui vengono approvati i bilanci, con distinta indicazione dei mezzi di spesa ”).

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION