ARERA, Avvio di procedimento per la determinazione d’ufficio delle tariffe del servizio idrico integrato

Con la deliberazione n. 555/202/R/IDR del 15 dicembre 2020, l’ARERA avvia il procedimento per la determinazione d’ufficio del moltiplicatore tariffario per le gestioni che ricadono nelle distinte casistiche indicate nella deliberazione 580/2019/R/IDR (Approvazione del metodo tariffario idrico per il terzo periodo regolatorio MTI-3, per gli anni 2020-2023). Nello specifico le tariffe d’ufficio saranno predisposte se:
a) il gestore non fornisca, in tutto o in parte, i dati richiesti, nel formato indicato dall’Autorità;
b) il gestore non fornisca, in tutto o in parte, le fonti contabili obbligatorie che certificano gli elementi di costo e investimento indicati;
c) il gestore non fornisca la modulistica richiesta, o la fornisca non corredata dalla sottoscrizione del legale rappresentante;
d) risulti che il gestore ha indicato elementi di costo o di investimento superiori a quelli indicati nelle fonti contabili obbligatorie; e in ogni caso laddove non si disponga degli atti, dei dati e delle informazioni necessarie alla determinazione tariffaria, la tariffa sia determinata d’ufficio ponendo il moltiplicatore tariffario teta (J) pari a 0,9 finché perdurano tali casistiche.
In tali casi, la tariffa calcolata in base all’Allegato A della richiamata deliberazione 580/2019/R/IDR, produce effetti a partire dal momento in cui sono rese disponibili le informazioni necessarie alla definizione della medesima ritenute conformi alle disposizioni vigenti da parte dell’ARERA.
Nel provvedimento di avvio della determinazione d’ufficio delle tariffe, è conferito mandato al Direttore della Direzione Sistemi Idrici, di procedere alla diffida dei gestori che ricadono nelle succitate casistiche nonché per la definizione di una disciplina di verifica e controllo ulteriore nel caso del perdurare delle situazioni ivi contemplate. Ciò deve essere fatto però anche tenendo conto di quanto previsto dell’art. 243-bis del d.lgs. 267/00 relativo alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale degli enti locali per i quali sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Restituzione ai comuni di tributi locali erroneamente versati allo Stato

Il Ministero dell’Interno, Direzione centrale delle Finanza Locale, con comunicato del 22 dicembre 2020, rende noto che con i provvedimenti del 9 e 16 dicembre 2020 sono stati disposti i pagamenti in acconto e saldo del contributo spettante ai Comuni quale restituzione ai medesimi delle somme erroneamente versate allo Stato a titolo di tributo locale (Articolo 1, commi da 722 a 727, della legge 27 dicembre 2013, n.147 e articolo 1, comma 4, del decreto-legge 6 marzo 2014, n.16, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 maggio 2014, n.68).
Il comunicato precisa che la competenza del Ministero dell’interno, e per esso della Direzione Centrale della Finanza Locale, è circoscritta esclusivamente agli adempimenti connessi all’erogazione del contributo effettuato sulla base di un prospetto trasmesso dal Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento delle finanze – Direzione Legislazione Tributaria e Federalismo Fiscale – Ufficio XII, in cui l’unico dato riportato è l’importo complessivo attribuito a ciascun Comune senza ulteriori elementi aggiuntivi.
A tal riguardo, si ricorda che con Decreto interministeriale del 24 febbraio 2016 sono state fornite indicazioni circa le procedure di riversamento, rimborso e regolazioni relative ai tributi locali. Tali procedure sono previste dall’art. 1, commi da 722 a 727, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e riguardavano inizialmente la sola imposta municipale propria (IMU). Successivamente è intervenuto l’art. 1, comma 4, del D. L. 6 marzo 2014, n. 16 convertito, con modificazioni, dalla legge 2 maggio 2014, n. 68, il quale ha esteso tali procedure a tutti i tributi locali e ha, altresì, stabilito che con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, siano individuate le modalità applicative delle predette disposizioni.
Le disposizioni in questione intervengono al fine di risolvere le criticità che si sono manifestate negli anni pregressi, durante i quali i comuni che non avevano ricevuto le somme dei tributi di loro pertinenza procedevano alla notifica di avvisi di accertamento e si rifiutavano di annullare in autotutela gli avvisi stessi nonostante che il contribuente avesse dimostrato di aver effettuato il versamento, anche se a un comune incompetente. Tale criticità era dovuta anche alla circostanza che quest’ultimo comune non riversava le somme al comune competente, fondando tale comportamento proprio sulla mancanza di una norma specifica che gli imponesse il riversamento. Il contribuente, pertanto, era costretto a proporre istanza di rimborso al comune incompetente e contestualmente a regolarizzare la propria posizione, pagando anche sanzioni e interessi, nei confronti del comune competente. Con le disposizioni in commento, invece, tale prassi, farraginosa ed estremamente penalizzante per il contribuente, non ha più ragione di sussistere, poiché la legge impone al comune incompetente di riversare le somme a quello competente.

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Gli incentivi per il recupero evasione rientrano nei limiti di spesa

La Corte dei conti Sez. Veneto, con deliberazione n. 177/2020, in risposta ad un quesito in merito alla possibilità, o meno, di escludere dal limite di spesa di cui all’art. 1, comma 557, della legge n. 296/2006, i proventi da recupero evasione IMU e TARI, previsti dall’art. 1, comma 1091, della legge n. 145/2018, destinati al trattamento accessorio del personale dipendente, ha chiarito che la peculiare caratterizzazione dell’art. 1, comma 557, della legge n. 296/2006, quale “principio fondamentale nella materia del coordinamento della finanza pubblica”, comporta che, ove la legge non abbia espressamente derogato alla suddetta disposizione, la stessa continuerà a trovare applicazione (in terminis, cfr. Sez. Lombardia, deliberazione n. 61/2019, Sez. Piemonte, deliberazione n. 4/2019). In tale ambito il legislatore è specificamente intervenuto per escludere alcune fattispecie dal calcolo del tetto di spesa di cui al citato art. 1, comma 557, come avvenuto per la ricollocazione del personale delle Province (cfr. art. 1 comma 424, della Legge 23 dicembre 2014 n. 190), o per modificare il parametro di riferimento per i comuni colpiti da calamità naturali o eventi sismici (cfr. art. 11, comma 4-ter, del D.L. n. 90/2014). Nel corso del tempo altre casistiche di esclusione dal limite sono state elaborate dalla giurisprudenza contabile con riferimento alle spese interamente gravanti sui fondi dell’Unione Europea o coperte da trasferimenti di soggetti privati (cfr. Sezione delle autonomie, deliberazione n. 21/SEZAUT/2014/QMIG), nonché le spese coperte da specifico finanziamento proveniente da altro ente pubblico, purché vi sia assenza di ulteriori oneri a carico dell’ente locale (principio della neutralità finanziaria) e correlazione fra l’ammontare dei finanziamenti e le assunzioni effettuate, anche sotto il profilo temporale (in tal senso, cfr. Sezione delle autonomie, deliberazione n. 23/2017 e Sezione regionale di controllo per la Liguria n. 116/2018). Trattasi di ipotesi di esenzione molto circoscritte, fondate in particolar modo sulle peculiari modalità di finanziamento delle spese di personale, che consentono, eccezionalmente, di ritenerle escluse dalla citata normativa vincolistica. Con specifico riferimento agli incentivi per il recupero IMU e TARI, la Sezione ricorda che il legislatore ha inteso derogare solamente al limite posto dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75/2017. Ne deriva, quindi, che la disciplina di cui all’art. 1, comma 1091, della legge n. 145/2018, in materia incentivi per il recupero IMU e TARI, non rientri tra le ipotesi di esclusione dal rispetto del vincolo ex art.1, comma 557, individuate dalla citata giurisprudenza contabile, essendo tali fondi finanziati da risorse proprie dell’ente, ovvero dal “maggiore gettito accertato e riscosso, relativo agli accertamenti dell’imposta municipale propria e della TARI, nell’esercizio fiscale precedente a quello di riferimento risultante dal conto consuntivo approvato, nella misura massima del 5 per cento”.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Erogazione dell’indennità di reperibilità, i chiarimenti dell’Aran

L’Aran, con l’orientamento applicativo CFL90a, fornisce chiarimenti in merito alla possibilità, o meno, di erogare l’indennità di reperibilità di cui all’art. 24del CCNL 21.05.2018 al personale addetto ai servizi di pronto intervento, unitamente all’indennità per le condizioni di lavoro di cui all’art. 70 bis dello stesso CCNL, per il disagio connesso ai rientri in servizio di breve durata. L’Agenzia, ricorda che la disciplina contrattuale, attualmente prevista dall’art. 24 del CCNL del 21 maggio 2018, stabilisce che l’indennità di reperibilità non compete durante l’orario di servizio a qualsiasi titolo prestato. Nei confronti del dipendente che, inserito in un servizio di reperibilità, sia chiamato a rendere effettivamente la prestazione lavorativa, trova applicazione esclusivamente la disciplina prevista dal comma 6, con esclusione di qualunque altra forma di compenso o trattamento accessorio. In particolare, la richiamata norma prevede che in caso di chiamata le ore siano retribuite con il compenso previsto per lavoro straordinario (art. 38, comma 7 ed art. 38-bis, del CCNL del 14.9.2000) o con equivalente riposo orario compensativo.
Al dipendente, collocato in reperibilità nella giornata di riposo settimanale coincidente con la domenica che, nell’ambito della stessa, sia chiamato a rendere la sua prestazione lavorativa, deve essere corrisposto per le ore di effettivo lavoro, il particolare compenso previsto dall’art. 24, comma 1, del CCNL del 14.9.2000, ai sensi del comma 7 del medesimo art. 24 del CCNL del 21.5.2018.
La richiamata disciplina, pertanto, ha già considerato e compensato, secondo le modalità ivi previste, il disagio connesso alle prestazioni effettivamente rese nell’ambito del servizio di reperibilità. Ciò impedisce che il medesimo disagio possa essere remunerato con l’attribuzione di altro compenso quale l’indennità condizioni di lavoro di cui all’art. 70 bis del CCNL del 21.5.2018.
In materia di cumulo di trattamenti economici sussiste infatti il principio generale in base al quale è legittimamente possibile cumulare più compensi o indennità “accessorie”, purché questi siano correlati a condizioni e causali formalmente ed oggettivamente diverse, come previste e disciplinate dalla contrattazione collettiva, con conseguente illegittimità della corresponsione di più di un compenso per la medesima fattispecie.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Niente incentivi ai dipendenti per le concessioni

La Corte dei conti, Sez. Lombardia, con deliberazione n. 176/2020, in risposta ad una richiesta di parere in merito alla possibilità di estendere gli incentivi tecnici alle concessioni, ha ribadito che gli incentivi di cui all’art. 113 del decreto legislativo n. 50/2016, previsti per i contratti di appalto, non si possono estendere ai contratti di concessione anche se l’amministrazione riconosce un “prezzo” (contributo pubblico) al concessionario. La questione è stata, tra l’altro, ampiamente trattata dalla Sezione delle Autonomie con la deliberazione 15/2019/QMIG, che ha enunciato il seguente principio di diritto «Alla luce dell’attuale formulazione dell’art. 113 del d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50, gli incentivi ivi disciplinati sono destinabili al personale dipendente dell’ente esclusivamente nei casi di contratti di appalto e non anche nei casi di contratti di concessione». La mancanza del requisito della “identità” del capitolo, non essendovi, per il caso di concessione, la presenza di costi di gestione a carico della stazione appaltante sicché non sarebbe integrata la fattispecie normativa, di cui al  comma 5 bis dell’art.113, a mente del quale “gli incentivi di cui al presente articolo fanno capo al medesimo capitolo di spesa previsto per i singoli lavori, servizi e forniture”. Il “di cui” al quale fa riferimento la norma (ossia il valore degli incentivi) non potrebbe costituire voce del quadro economico dello stanziamento previsto nella declinazione della spesa per l’appalto del lavoro o servizio, ma rappresenterebbe, invece, una voce inserita nello stanziamento di risorse finalizzate all’erogazione di un prezzo consistente in un contributo pubblico, che non ha comunque natura di corrispettivo a differenza del “prezzo” del contratto di appalto. La Sezione ribadisce che i contratti di appalto si differenziano dai contratti di concessione in quanto mentre i primi comportano il pagamento di un corrispettivo a carico dell’Ente, (art 3 del codice dei contratti) i secondi trovano la propria remunerazione nella gestione dell’opera o del servizio. Per i contratti di appalto il “prezzo” costituisce il corrispettivo erogato dall’amministrazione, mentre il “prezzo” eventualmente riconosciuto nel contratto di concessione ai sensi dell’art 165, ha il fine di garantire l’equilibrio economico. Nei contratti concessori il rischio di gestione rimane in capo al concessionario anche quando vi è l’erogazione di un prezzo da parte del concedente, mentre nel contratto di appalto il rischio è intestato all’amministrazione. Ne deriva che anche in presenza del pagamento di un “prezzo” da parte dell’amministrazione giudicatrice, il contesto normativo di riferimento non consente l’assimilazione della concessione al contratto di appalto ai fini dell’estensione degli incentivi tecnici.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION