Fondazione Commercialisti, il bilancio degli enti del Terzo settore

La Riforma del Terzo settore, avviata con la legge 6 giugno 2016, n. 106 recante “Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale” e in seguito attuata con successivi decreti delegati tra cui il d.lgs 3 luglio 2017, n. 117 recante il “Codice del Terzo settore” (in seguito anche “CTS”), costituisce un passaggio epocale per gli enti che operano senza fine di lucro. Il cosiddetto “Terzo settore” svolge un ruolo fondamentale per il funzionamento delle comunità locali e, contestualmente, ricopre un rilevante ruolo sociale ed economico. Il legislatore della Riforma ha attribuito al bilancio di esercizio una funzione centrale, affidano allo stesso il compito di individuare i parametri che definiscono lo status di ente del Terzo settore, la sua “commercialità” nonché i vari adempimenti e obblighi amministrativi, comunicativi e gestionali. Dal punto di vista professionale la predisposizione del bilancio degli enti del Terzo settore richiede una profonda conoscenza della materia per quanto concerne la corretta tecnica contabile e le connesse norme di governance, amministrazione e controllo e fiscalità.
Il volume ” Il bilancio degli enti del Terzo settore“, predisposto dalla Fondazione Nazionale dei Commercialisti, include un’analisi delle previsioni giuridiche e contabili contenute nel citato CTS e nel decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 39 “Adozione della modulistica di bilancio degli enti del Terzo settore”, licenziato in data 5 marzo 2020 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale in data 18 aprile 2020. In questa prospettiva, sono forniti esempi e approfondimenti, utili per il professionista e per gli studiosi della materia, in attesa dell’emanazione dei prossimi principi contabili nazionali di settore e dell’approssimarsi dell’applicazione del decreto ministeriale, la cui entrata in vigore è prevista, per gli enti del Terzo settore che hanno coincidenza tra anno solare ed esercizio amministrativo, con il 1° gennaio 2021 (fonte Fondazione Nazionale dei Commercialisti).

 

Fondo amianto per gli edifici pubblici

E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – Serie Generale – n. 288 del 19 novembre 2020 il Decreto Direttoriale n. 486 del 13 dicembre 2019 recante il bando relativo all’annualità 2018 per l’accesso ai finanziamenti del fondo per la progettazione preliminare e definitiva degli interventi di bonifica di beni pubblici contaminati da amianto, così come istituito dalla Legge 28 dicembre 2015, n. 221 (“Collegato Ambiente”).
Il fondo è finalizzato a finanziare i costi per la progettazione preliminare e definitiva degli interventi di bonifica, mediante rimozione e smaltimento. dell’amianto e dei manufatti in cemento-amianto su edifici e strutture pubbliche destinate allo svolgimento delle attività dell’amministrazione partecipante o comunque attività di interesse pubblico.
La graduatoria finale degli interventi ammessi a finanziamento è basata sui seguenti criteri di priorità:
1. interventi relativi ad edifici pubblici collocati all’interno, nei pressi o comunque entro un raggio non superiore a 100 metri da asili, scuole, parchi gioco, strutture di accoglienza socio-assistenziali, ospedali, impianti sportivi;
2. interventi relativi ad edifici pubblici per i quali esistono segnalazioni da parte di enti di controllo sanitario e/o di tutela ambientale e/o di altri enti e amministrazioni in merito alla presenza di amianto;
3. interventi relativi ad edifici pubblici per i quali si prevede un progetto cantierabile in 12 mesi dall’erogazione del contributo;
4. interventi relativi ad edifici pubblici collocati all’interno di un Sito di Interesse Nazionale e/o inseriti nella mappatura dell’amianto ai sensi del Decreto Ministeriale n.101 del 18 marzo 2003.
Le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, possono presentare domanda in via telematica esclusivamente tramite l’applicativo presente alla pagina web https://www.amiantopa.minambiente.it

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Alla Corte di Giustizia Ue la compatibilità comunitaria dell’affidamento del servizio pubblico all’in house che non ha il requisito del controllo analogo

Con sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, ord., 18 novembre 2020, n. 7161, è rimessa alla Corte di Giustizia la questione se l’art. 12 della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 osti ad una normativa nazionale la quale imponga un’aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a seguito della quale l’operatore economico succeduto al concessionario iniziale a seguito di operazioni societarie effettuate con procedure trasparenti, comprese fusioni o acquisizioni, prosegua nella gestione dei servizi sino alle scadenze previste, nel caso in cui:
a) il concessionario iniziale sia una società affidataria in house sulla base di un controllo analogo pluripartecipato;
b) l’operatore economico successore sia stato selezionato attraverso una pubblica gara;
c) a seguito dell’operazione societaria di aggregazione i requisiti del controllo analogo pluri-partecipato più non sussistano rispetto a taluno degli enti locali che hanno in origine affidato il servizio di cui si tratta (1).
(1) Ad avviso della Sezione non sussiste incompatibilità alla normativa comunitaria se la società che è succeduta è stata selezionata come “operatore economico”, con il quale effettuare l’aggregazione, proprio all’esito di una pubblica gara (il fatto è pacifico in causa), e quindi il risultato ultimo dell’operazione, l’affidamento del servizio, consegue non all’affidamento disposto dall’Amministrazione, ma a monte dalla gara esperita, in modo del tutto coerente con i principi di diritto europeo. Accogliendo questa tesi, nessun illegittimo affidamento diretto si potrebbe configurare.
Si osserva infatti che lo scopo ultimo delle norme del diritto europeo qui rilevanti è quello di promuovere la concorrenza, e che questo risultato nell’affidamento dei servizi pubblici si raggiunge, in termini sostanziali, quando più operatori competono, o possono competere, per assicurarsi il relativo mercato nel periodo di riferimento, indipendentemente dalla qualificazione giuridica dello strumento con il quale ciò avviene. In questi termini, è irrilevante che l’affidamento di un dato servizio avvenga per mezzo di una gara il cui oggetto è quel singolo servizio -isolatamente considerato ovvero assieme ai servizi per gli altri comuni dell’ambito – ovvero avvenga mediante una gara il cui oggetto è l’attribuzione del pacchetto azionario della società che tali servizi svolge, perché in entrambi i casi la concorrenza è garantita. Si sarebbe nella sostanza di fronte ad un fenomeno simile a quello del negozio indiretto, a titolo di esempio come nel caso in cui, invece di cedere un immobile con un contratto di compravendita, si preferisca cedere il pacchetto azionario della società che ne è proprietaria: il risultato economico finale è il medesimo, e quindi è corretto, in linea di principio, che le operazioni siano soggette alla stessa disciplina.
Più in generale la Sezione ha ricordato che in origine l’affidamento in house si fondava sull’art. 113, t.u. 18 agosto 2000, n. 267 nel testo allora vigente, che dava in generale competenza ai Comuni in materia di servizi pubblici di rilevanza economica di proprio interesse. Come è noto, i Comuni sono amministrazione aggiudicatrici, tenute a procedere per mezzo di pubbliche gare; peraltro, la possibilità di affidamento in house, nella specie del servizio di gestione dei rifiuti urbani, esisteva anche se né la direttiva 2014/24/UE né le norme nazionali di recepimento erano state ancora approvate, e ciò sulla base dei principi elaborati dalla giurisprudenza di codesta Corte che si è citata sopra.
Attualmente, nell’ordinamento nazionale, il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani ai sensi della norma sopravvenuta dell’art. 200, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 è gestito dalle Regioni, che vi procedono individuando ambiti territoriali ottimali ed hanno potestà legislativa integrativa al riguardo.
Ciò posto, l’art. 12 della direttiva 2014/24/UE è stato recepito quasi alla lettera dall’art. 5, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, ma come si è detto si tratta di una norma soltanto ricognitiva di un istituto già esistente la possibilità per gli enti locali di affidare il servizio costituendo a tale scopo una società di capitali a partecipazione pubblica era pacificamente ammessa sulla base dei principi, dato che gli enti locali stessi sono nell’ordinamento nazionale persone giuridiche con piena capacità, e quindi titolari anche della capacità di costituire enti del tipo descritto.
Attualmente, dispone in modo espresso il d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, che in particolare all’art. 2, comma 1, lett. c) e d), definisce il controllo analogo e il controllo analogo congiunto di cui si è detto in termini conformi a quanto previsto dall’art. 12 della direttiva 2014/24/UE. Anche in questo caso, però, si tratta di norme ricognitive, e non innovative.
Il fenomeno delle partecipazioni sociali da parte di enti pubblici è stato di recente disciplinato dal legislatore nazionale, essenzialmente allo scopo di contenere la spesa pubblica, nel senso di imporne una riorganizzazione e quindi di limitarlo. In particolare, i citati commi 611 e 612 dell’art. 1, l. 23 dicembre 2014, n. 190 prevedono che gli enti locali svolgano “un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, in modo da conseguire la riduzione delle stesse” entro un dato termine, tenendo conto di una serie di criteri indicati in modo espresso, uno dei quali è la “aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica”.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

IMU sulle piattaforme estrattive, nessuna esenzione per gli anni di imposta precedenti il 2018

La CTP di Ancona, con sentenza del 13/11/2020, n. 249/3,  nega l’esenzione parziale dal pagamento dell’IMU sulle piattaforme estrattive situate nel mare territoriale per gli anni di imposta precedenti l’entrata in vigore della legge di bilancio 2018. Secondo i giudici marchigiani la novità restrittiva introdotta dall’art. 1, comma 728, della legge n. 205 del 27 dicembre 2017 non ha efficacia retroattiva, in quanto trattasi di norma innovativa e non meramente interpretativa. I giudici di prime cure ribadiscono che “la giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato che il legislatore può adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni legislative non solo quando sussista una situazione di incertezza nell’applicazione del diritto o vi siano contrasti giurisprudenziali, ma anche in presenza di un indirizzo omogeneo della Corte di cassazione, quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore” (Corte Costituzionale, sentenze nn. 311 del 1995 e 397 del 1994 e ordinanza n. 480 del 1992). L’esame della portata letterale della nuova norma induce a dubitare che si tratti di un caso simile, pertanto la CTP anconetana ha ritenuto di confermare l’orientamento già espresso in proprie pronunce sul tema (sentenze n. 730 del 4-10-2018 e n. 217 del 18-04-2019). In particolare, ad avviso dei giudici marchigiani, la disposizione sopra richiamata, di portata innovativa e che consente di ritenere che la base imponibile IMU è limitata “alla sola porzione del manufatto destinata ad uso abitativo e di servizi civili”, non si può estendere al caso di specie. A quest’ultimo risulta applicabile la norma impositiva originaria, pacificamente interpretata anche dalla Corte di Cassazione, nel senso che l’IMU è dovuta sui manufatti complessivi serventi lo sfruttamento del sottofondo marino.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION