Non è incostituzionale la norma del TUEL sull’impignorabilità delle somme di competenza degli enti locali

La Corte costituzionale, con sentenza n. 223 del 23 ottobre 2020, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 159, comma 2 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL), sollevata – in riferimento agli artt. 24 e 117, primo comma della Costituzione – dal Giudice dell’esecuzione del Tribunale ordinario di Napoli Nord nell’ambito di un procedimento di pignoramento presso il terzo tesoriere dell’ente locale esecutato. Il Tribunale rimettente riferisce che il tesoriere dell’ente locale, rendendo la dichiarazione di terzo, ha rappresentato l’esistenza di una deliberazione di quantificazione delle somme sottratte all’esecuzione forzata, adottata ai sensi del comma 3 dell’art. 159 del TUEL e opponibile al creditore procedente. Osserva il Tribunale che il procedimento di cui è investito è fondato su un decreto ingiuntivo, non opposto, avente ad oggetto un credito che «attiene ad una delle finalità protette dalla delibera di impignorabilità», la quale preclude la realizzazione coattiva del credito stesso. In ordine alla non manifesta infondatezza, il medesimo Tribunale premette che il vincolo di impignorabilità previsto dalla disposizione censurata è efficace nei confronti sia dei creditori «ordinari», sia di quelli il cui «diritto trovi “causa” in una delle finalità protette ai sensi dell’art. 159, comma 2, TUEL». Di conseguenza, la norma denunciata, per un verso, finirebbe per contraddire sé stessa, pregiudicando proprio quei creditori alla cui protezione sarebbe preordinata; per l’altro, riserverebbe ingiustificatamente a questi creditori la medesima disciplina dettata per quelli «ordinari», ovvero titolari di crediti che non traggono origine da una prestazione connessa con le finalità di cui al comma 2 dell’art. 159 del TUEL. In buona sostanza, la tesi di incostituzionalità risiederebbe, per il Tribunale, sull’assunto secondo cui lo scopo della impignorabilità prevista dalla disposizione censurata sarebbe quello di tutelare i creditori «qualificati».
Nel merito i giudici costituzionali evidenziano che la norma non è preordinata, in sé, a garantire l’interesse individuale dei singoli creditori «qualificati», ma è essenzialmente rivolta ad assicurare, nel rispetto del complesso delle rigide condizioni, la funzionalità dell’ente locale: in quest’ottica, essa è diretta a evitare che l’aggressione, da qualsiasi creditore provenga, di una riserva essenziale di denaro possa giungere a impedire, fino in ipotesi a determinarne la paralisi, l’espletamento di determinate funzioni istituzionali ritenute dal legislatore essenziali alla vita stessa dell’ente.
La portata complessiva dell’art. 159 del TUEL non è certamente diretta ad accordare un generico privilegio di impignorabilità al pubblico denaro, essendo piuttosto volto a proteggere, sotto rigide condizioni, quanto è necessario per garantire determinate spese, giudicate dal legislatore meritevoli di particolare tutela in quanto coessenziali, in ultima analisi, alla funzionalità e all’esistenza stessa dell’ente locale: a valori quindi che trovano tutela costituzionale nel principio autonomistico. L’art. 159 nel prevedere il divieto di intraprendere procedure di esecuzione e di espropriazione forzata presso soggetti diversi dagli istituti tesorieri degli enti locali, stabilisce, al comma 2, l’impignorabilità, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio, delle sole somme di denaro di tali enti destinate: a) al pagamento delle retribuzioni dei dipendenti nei tre mesi successivi e al versamento dei connessi oneri previdenziali; b) al pagamento delle rate di mutui e prestiti obbligazionari scadenti nel semestre in corso; c) all’espletamento dei servizi pubblici indispensabili. Tale elencazione deve ritenersi tassativa, dal momento che i limiti alla pignorabilità si traducono in una deroga al principio generale per cui, salve le limitazioni previste dalla legge, ogni debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni, che possono conseguentemente essere espropriati dal creditore per conseguire quanto gli è dovuto, secondo le regole stabilite dal codice di procedura civile (art. 2910, primo comma, cod. civ.).
L’operatività di tali limiti all’esecuzione forzata è gradata, sotto l’aspetto della loro quantificazione, in relazione alle tipologie di spesa: per le retribuzioni dei dipendenti e il versamento dei connessi oneri previdenziali si prevede, infatti, un vincolo temporale trimestrale, che diventa semestrale per le rate di mutui e di prestiti obbligazionari, in modo da garantire la capacità dell’ente di ricorso al credito per soddisfare finalità pubbliche; non si prevede, invece, alcun vincolo temporale in relazione alle spese attinenti all’espletamento dei servizi pubblici indispensabili, proprio a significare la più intensa protezione della specifica missione dell’ente locale nei confronti della comunità di riferimento. L’opponibilità della impignorabilità presuppone l’adozione, da parte dell’organo esecutivo dell’ente locale, di una deliberazione semestrale, che deve essere notificata al tesoriere, di quantificazione preventiva delle somme necessarie alla realizzazione delle finalità pubbliche ritenute essenziali dal legislatore. È del tutto evidente, peraltro, che siffatta quantificazione deve essere improntata ai principi di buon andamento e di imparzialità; non potrà quindi tradursi in deliberazioni che, ad esempio, sottopongano al vincolo d’impignorabilità importi eccedenti quelli necessari per l’attuazione delle suddette finalità o afferenti a prestazioni e servizi a esse estranee. Una volta intervenuta la deliberazione di quantificazione, e sorto così il vincolo di impignorabilità, operano altre rigide condizioni, in quanto l’ente locale non può distogliere le somme necessarie per l’espletamento delle funzioni essenziali utilizzandole per altre finalità, mediante l’emissione di mandati a titoli differenti, se non nel rispetto di un rigoroso ordine cronologico: a seguito della sentenza additiva di questa Corte n. 211 del 2003, infatti, «la impignorabilità delle somme destinate ai fini indicati alle lettere a), b) e c) del comma 2 non opera qualora, dopo la adozione da parte dell’organo esecutivo della deliberazione semestrale di preventiva quantificazione degli importi delle somme destinate alle suddette finalità e la notificazione di essa al soggetto tesoriere dell’ente locale, siano emessi mandati a titoli diversi da quelli vincolati, senza seguire l’ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell’ente stesso.
L’impignorabilità, infatti, è in sostanza destinata a operare allorquando il saldo attivo presso l’istituto tesoriere sia di ammontare inferiore o eguale all’entità delle somme quantificate con la delibera semestrale dell’ente locale. In siffatto contesto, è evidente come l’aggressione individuale, ancorché basata su un credito «qualificato», in quanto maturato in relazione a una delle menzionate finalità, potrebbe comunque condurre alla decurtazione anche significativa o, addirittura, all’azzeramento delle risorse finanziarie dell’ente stesso, così compromettendone la funzionalità.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

La Corte dei conti può sindacare l’economicità e l’efficacia delle scelte amministrative

La Corte dei conti ha il potere di sindacare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell’ente, i quali devono essere ispirati ai criteri di economicità ed efficacia. Criteri che assumono rilevanza sul piano non già della mera opportunità, ma della legittimità dell’azione amministrativa. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione unite civili, con sentenza 20 ottobre 2020, n. 22811.
Nel caso di specie, è emerso che la Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana della Corte dei conti condannava il Soprintendente Speciale per il Polo Museale per il danno erariale conseguente all’irregolare affidamento, alla associazione culturale, di spazi per la realizzazione di spettacoli teatrali estivi. La Terza Sezione giurisdizionale centrale d’appello della Corte dei conti, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rilevava comunque che l’assegnazione della concessione non sia stata preceduta da una adeguata valutazione dei presupposti per la gratuità e che quindi la mancata riscossione dei canoni concessori abbia comportato la violazione della disciplina sulle esenzioni per l’uso dei beni culturali affidati alla gestione della Soprintendente. Secondo il giudice contabile, la gestione dell’intera vicenda è stata condotta in maniera molto approssimativa, per non dire irrazionale, senza considerare in alcun modo l’esigenza di valorizzazione del bene e le criticità emerse in sede istruttoria, debitamente segnalate da una nota dell’Ufficio tecnico. In particolare – ha sottolineato la Sezione giurisdizionale centrale d’appello – non è assolutamente provato nel caso di specie il diretto rapporto e l’effetto di valorizzazione tra il bene culturale concesso in uso e gli eventi organizzati dall’associazione, che ha in sostanza svolto attività destinate ad un pubblico pagante, né, tantomeno, risulta dimostrato un aumento di fruizione del bene nei valori ideali che esso esprime, ma anzi la fruibilità complessiva risulta addirittura ridotta.
Nel merito, i giudici di Cassazione hanno ribadito che l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti non comporta che esse siano sottratte ad ogni possibilità di controllo, e segnatamente a quello della conformità alla legge che regola l’attività amministrativa, con la conseguenza che il giudice contabile non viola i limiti esterni della propria giurisdizione quando accerta la mancanza di tale conformità. La valutazione operata, nella specie, dalla Corte dei conti non ha avuto, dunque, ad oggetto il “merito” della concessione in uso degli spazi, ossia un controllo volto a sindacarne l’utilità, bensì, unicamente, la verifica della conformità a legge dell’atto posto in essere, sotto il profilo del rispetto della disciplina sulle esenzioni dal pagamento del canone concessorio e dei principi in tema di valorizzazione dei beni culturali.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Corte dei conti, Linee di indirizzo per i controlli interni durante l’emergenza da COVID-19

Con la deliberazione n. 18/SEZAUT/2020/INPR, la Corte dei conti, Sezione delle autonomie, ha adottato le linee guida per indirizzare e sostenere le amministrazioni, in questo periodo delicato di emergenza sanitaria, nel rafforzamento dei sistemi di controlli interni.
L’emergenza sanitaria indotta dalla pandemia da COVID-19, senza precedenti per imprevedibilità degli esiti, per gravità, durata e dimensioni, ha aperto scenari inediti per gli enti del settore pubblico, mettendo a dura prova la loro finanza a causa degli evidenti e immediati riflessi sulle entrate, sulle spese, sugli investimenti e, in definitiva, sugli equilibri di bilancio.
In questo contesto, che ha finito per alterare tutti i processi di gestione del rischio esistenti, le varie componenti del sistema integrato di controllo interno sono chiamate a non affidarsi esclusivamente ai principi anteriormente vigenti e alle prassi, ma dovranno “modificare sostanzialmente l’approccio ai controlli sotto svariati profili, al fine di operare in modo efficace e rispondere tempestivamente alle emergenze attuali e future”, dotandosi anche di adeguati strumenti (organizzativi, informatici e metodologici).
Pur dovendo essere adattati dalle strutture di controllo interno allo specifico ambito dell’organizzazione presso cui operano, questi orientamenti mirano a fornire alcuni alert su aree o aspetti significativi, prendendo in considerazione tutte le tipologie di controllo interno: di regolarità amministrativa e contabile; di gestione; strategico; degli equilibri finanziari; sugli organismi gestionali esterni e sulle società partecipate non quotate; della qualità dei servizi.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Cassazione: No alla proroga automatica delle concessioni demaniali

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29105, Terza sezione penale, conformandosi all’orientamento giurisprudenziale oramai consolidato, ribadisce la preminenza della legislazione comunitaria in tema di libera concorrenza, che esclude il rinnovo automatico delle concessioni demaniali.
La legge n. 217/2011 ha abrogato l’art. 1, comma 2 del D.L. n. 440/1993, nella parte in cui stabiliva che “Le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per alti sei anni e così successivamente ad ogni scadenza…”. Tale abrogazione si era resa necessaria per chiudere la procedura di infrazione n. 2008/4908, avviata ai sensi dell’art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, in conseguenza di un contrasto della normativa interna, oltre che con i principi del Trattato in tema di concorrenza e di libertà di stabilimento, con la direttiva n. 2006/123/CE nella parte in cui, con l’art. 12, comma 2, esclude il rinnovo automatico della concessione.
Alla luce della Direttiva n. 2006/123/CE, con la finalità di rispettare gli obblighi comunitari in materia di libera concorrenza e di consentire ai titolari di stabilimenti balneari di completare l’ammortamento degli investimenti nelle more del riordino della materia, il legislatore con l’art. 1, comma 18, D.L. n. 194 del 2009 (avente carattere transitorio), ha prorogato i termini di scadenza delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative dapprima al 31 dicembre 2015 e, successivamente, le modifiche apportate dal D.L. 18 ottobre 2012, convertito nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, sino al 31 dicembre 2020. Successivamente la Corte di Giustizia UE, a fronte di rinvio pregiudiziale del Tar Lombardia e del Tar Sardegna, ha rilevato l’incompatibilità di tale disciplina transitoria con l’art. 12 della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio (c.d. Bolkestein), ritenendo necessario garantire una gara ad evidenza pubblica nelle operazioni di rilascio delle concessioni demaniali marittime e lacuali. A seguito della bocciatura della Corte di Giustizia Europea, il legislatore è nuovamente intervenuto con il D.L. 24 giugno 2016, n. 113, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2016, n. 160, con il quale ha previsto, all’art. 24, comma 3-septies, che “Nelle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai principi di derivazione Europea, per garantire certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare l’interesse pubblico all’ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuità, conservano validità i rapporti già instaurati e pendenti in base all’art. 1, comma 18, D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 2010, n. 25”.
Con la sentenza in oggetto, la Corte ha disposto che la concessione ad uno stabilimento balneare con scadenza al 31 dicembre 2007, non potendo essere prorogata automaticamente per effetto dell’immediata applicazione della Direttiva Bolkestein, è da considerarsi decaduta. “Essa semplicemente non esisteva più al momento dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 18, del DL 194/2009 convertito in Legge n. 25/2010, e come tale non poteva essere oggetto di proroga al 31 dicembre 2015 e quindi al 31 dicembre 2020.”
La sentenza ha accolto il ricorso del pubblico ministero contro l’ordinanza del riesame con la quale era stato annullato il sequestro di uno stabilimento balneare disposto dal Gip. Il tribunale aveva escluso l’esistenza dei presupposti per applicare la misura cautelare, sostenendo che la concessione rilasciata nel 2002 non fosse scaduta a fine 2007 per effetto di una sorta di “rinnovo automatico” oggetto di una serie di interventi normativi.
Invero la Corte, ricostruisce puntualmente la normativa ma per giungere alla conclusione opposta. Infatti, deve essere disapplicata la normativa di cui all’art. 24, comma 3 septies, del DL 113/2016, in quanto quest’ultima, stabilizzando gli effetti della proroga automatica delle concessioni demaniali marittime prevista dall’art. 1, comma 18, del DL 194/2009, contrasta con la Direttiva Bolkestein e con l’articolo 49 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).
Sempre secondo la Suprema Corte “Del tutto inconferente è il richiamo, da parte del Tribunale distrettuale, dell’omessa attivazione, da parte della P.A., del procedimento di decadenza della concessione per l’omesso pagamento del canone di concessione di cui all’art. 47, comma 1, lett. d) cod.nav., per l’assorbente ragione che, essendo la concessione scaduta, non era più in essere alcun rapporto giuridico tra l’amministrazione e lo stabilimento balneare.”
Ultimo aspetto esaminato riguarda la qualifica di reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo che, secondo la Suprema Corte, si configura anche in caso di occupazione protrattasi oltre la scadenza del titolo, a nulla rilevando l’esistenza della pregressa concessione e la tempestiva presentazione dell’istanza di rinnovo, attesa la natura costitutiva del diritto e non meramente autorizzatoria del provvedimento amministrativo di concessione.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION

Possibile riconoscere l’incentivo a favore del dipendente di altra amministrazione aggiudicatrice

L’attività di verifica preventiva della progettazione di cui all’art. 26 del D.Lgs. n. 50/2016, svolta dai soggetti o dal soggetto individuati dal comma 6, nel rispetto delle condizioni di incompatibilità di cui al successivo comma 7, nonché caratterizzata in concreto da una particolare complessità che consenta di derogare al principio di onnicomprensività della retribuzione già in godimento, è incentivabile a norma dell’art. 113 del medesimo decreto legislativo, anche a favore del dipendente pubblico di altra amministrazione aggiudicatrice posto in ausilio della stazione appaltante. È quanto evidenziato dalla Corte dei conti, Sez. Emilia-Romagna, con deliberazione n. 87/2020, in risposta ad una richiesta di parere, in merito alla possibilità di remunerare il tecnico dipendente pubblico posto in ausilio all’amministrazione appaltante, per l’attività di verifica del progetto di un’opera pubblica, ex art. 26 lettera C) Dlgs. 50/2016.
La Sezione osserva che la “verifica preventiva della progettazione” è attività disciplinata dall’intero art. 26 del Codice, e che si articola in differenti accertamenti, enucleati dal quarto comma, con elencazione non esaustiva (come si evince dall’utilizzo dell’inciso “in particolare” che precede l’elencazione).
Al riguardo, non sussistono indici normativi a sostegno della ipotesi di incentivabilità della sola attività complessivamente intesa, potendosi ben ammettere che la medesima attività sia suddivisa in sottofasi, ognuna delle queali risulti astrattamente incentivabile, evidentemente per quota parte. Parimenti, non sembrano sussistere disposizioni ostative alla possibilità di incentivare il dipendente di altra amministrazione a fronte dello svolgimento di funzioni tecniche.
L’art. 113, comma 5, quarto periodo del codice nell’affermare che “Gli incentivi complessivamente corrisposti nel corso dell’anno al singolo dipendente, anche da diverse amministrazioni, non possono superare l’importo del 50 per cento del trattamento economico complessivo annuo lordo” ammette implicitamente la possibilità per il dipendente pubblico di essere remunerato per funzioni tecniche anche da parte di altre amministrazioni aggiudicatrici.
Tale lettura appare poi coerente con la ratio della norma, che si è evoluta nel tempo passando da quella di incentivare prestazioni specialistiche poste in essere per la progettazione di opere pubbliche, per le quali le amministrazioni pubbliche che non dispongano di personale interno qualificato dovrebbero ricorrere al mercato attraverso il ricorso a professionisti esterni a quella, più generale, di accrescere l’efficienza della spesa attraverso l’incentivazione di un novero di attività, anche puramente amministrative, pur sempre funzionali alla realizzazione di appalti. Tale finalità non sembra in effetti in alcun modo contraddetta dal ricorso a professionalità reperibili nell’ambito dei soggetti qualificati come amministrazioni aggiudicatrici.

 

Autore: La redazione PERK SOLUTION